Sergio Ermotti, vecchia conoscenza di Unicredit, ha aggiunto stamane un’altra medaglia nel suo palmarès di banchiere d’affari dal rocco d’oro. In meno di sei mesi da quando Berna lo ha richiamato in tutta fretta alla guida di Ubs, da cui si era dimesso nel 2020, il banchiere ticinese ha completato la fusione con il Crédit Suisse, un boccone potenzialmente indigesto, anzi velenoso per i più critici, preoccupati per il rischio monopolio rappresentato da un colosso che sovrasta, con i suoi 5 mila miliardi di assets amministrati, le dimensioni del Pil della Confederazione Elvetica.
Fusione Ubs-Crédit Suisse: il banchiere svizzero ha convinto tutti
Al contrario, Ermotti ha convinto tutti, politici, opinione pubblica ed addetti ai lavori che l’integrazione della preda una mega Ubs “è la soluzione migliore per tutti, sia per Ubs che per l’economia svizzera”. La pensano così anche gli operatori che hanno tributato stamane un rialzo del 5% abbondante ai titoli della principale cassaforte mondiale dei patrimoni dei superricchi, che in questi mesi, forte delle competenze di casa Ermotti (il fratello è uno dei più apprezzati esperti di arte cinese), ha convinto i clienti asiatici del Crédit Suisse che, nonostante le disavventure e gli scandali a Wall Street dell’istituto assorbito, una banca svizzera resta lo scrigno più sicuro in un mondo turbolento.
Dal 2025 sparisce il brand Crédit Suisse: tagli nella banca salvata
E così, a tempo di record, è finito in un museo il marchio del Crédit Suisse, nato nel 1856, destinato a scomparire del tutto nel 2025, una volta completato il trasferimento di tutti i dossier della clientela nel sistema Ubs. Non sarà un’operazione indolore perché comporterà l’eliminazione di 3 mila posti di lavoro. Ma sarà un sacrificio relativamente modesto per la nuova Ubs che, a fine giugno, contava poco meno di 120 mila dipendenti, di cui 45.286 in arrivo dall’ex Cs.
Alla scelta finale gli gnomi di Zurigo ci sono arrivati con straordinaria rapidità, specie se si pensa alla complessità dello scenario interno ed internazionale, visti i nodi (e le aree ad alto rischio) legati all’attività di Csfb su Wall Street ed alla City. Una rapidità che autorizza a pensare che, epoca non sospetta, gli gnomi di Berna avessero già messo a punto un piano di intervento per la grande malata. Una dopo l’altra, ha spiegato Ermotti, sono state scartate le soluzioni alternative, tra cui la quotazione in Borsa di una parte delle attività della banca d’affari o la scissione e successiva vendita di una parte degli assets.
A far decidere per l’integrazione è stato l’esito del complesso negoziato tra Ermotti e la Comco, la Commissione per la Concorrenza svizzera. Il banchiere è riuscito a convincere Berna che “la concorrenza sul mercato interno resta molto forte” perché la grande Ubs, proiettata com’è nella finanza globale, è solo al terzo posto sul mercato interno. In compenso, Ermotti ha già promesso un’energica dieta con l’obiettivo di risparmiare 10 miliardi di franchi (9,18 miliardi di euro) entro il 2026 con la cessione di asset considerati non più strategici.
Ubs, utili record per 29 miliardi contro 3 miliardi di spesa
Nel frattempo, la banca festeggia un record Guinness dei primati: al termine del secondo trimestre la banca ha potuto iscrivere a bilancio un utile di 28,9 miliardi su dollari, pari al valore contabile degli assets acquisito il 12 giugno a fronte di un esborso di poco più di 3 miliardi di euro. Al netto di queste partite eccezionali, peraltro, Ubs ha registrato un ottimo trimestre con un utile di 1,1 miliardi di dollari.
A completare la quadratura del cerchio per la Confederazione c’è la restituzione allo Stato dei 9 miliardi di franchi già girati a Ubs a garanzia di eventuali perdite sulle partite più rischiose di Crédit Suisse, così come il ritiro della liquidità (100 miliardi di franchi) messa a disposizione dalla banca centrale per favorire la madre di tutti salvataggi. Non ce n’è stato bisogno: anzi, l’ex Cs, prima di sparire a vantaggio di super Ubs, restituirà il prestito d’emergenza che la banca centrale aveva elargito prima dell’intervento.
Missione compiuta, insomma. Berna ha tamponato il rischio d’immagine legato alla crisi di quella che fu la seconda forza bancaria del Paese. Chissà che ne pensano gli azionisti e gli obbligazionisti scottati dalla crisi. Ma Ermotti saprà farsi perdonare.