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Salario minimo: no a soluzioni pasticciate e no a sconvolgimenti della rappresentanza sindacale senza affrontare l’articolo 39

In vista dell’incontro di venerdì tra la premier Giorgia Meloni e le opposizioni suscita molta perplessità l’idea di fissare il salario minimo per legge anzichè lasciarlo alle parti sociali – Ma non è l’unica incognita del confronto

Salario minimo: no a soluzioni pasticciate e no a sconvolgimenti della rappresentanza sindacale senza affrontare l’articolo 39

In vista dell’incontro tra il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e le opposizioni si avanzano proposte di mediazione sul salario minimo che assumono il carattere di soluzioni pasticciate destinate a complicare la materia in discussione. La proposta dell’opposizione (ad eccezione di Italia Viva) sulla determinazione del salario minimo legale a 9 euro a partire dal 15 novembre del 2024 (con esclusione del lavoro domestico) continua ad essere presentata, anche in termini espliciti, come una soluzione al lavoro povero. Per questo si prospetta in concreto l’utilizzo di fondi pubblici da destinare ad aumenti salariali. Ma, se questa è un grave errore, di cui si è discusso peraltro ampiamente, sembra essere trascurato un altro grave effetto negativo come l’intenzione di ridefinire l’impianto della rappresentanza e della rappresentatività sindacale senza passare dall’articolo 39 della Costituzione. Di quest’ultimo sono noti i limiti, essenzialmente causati dalla formulazione del quarto ed ultimo comma che stabilisce che i sindacati, “rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, possono stipulare contratti di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”.

Il nodo dell’articolo 39 della Costituzione

Il richiamo alle categorie è la conseguenza del modello rigidamente corporativo che i costituenti utilizzarono, non essendo peraltro in condizioni di prevedere l’evoluzione nel tempo delle relazioni industriali che vedono convivere contratti collettivi nazionali o aziendali come Stellantis. Oggi il perimetro entro il quale si applicano i contratti collettivi è quello stabilito dalle parti, così come il riferimento al solo ambito degli iscritti è riduttivo se confrontato con la scelta ormai consolidata di tutte le organizzazioni sindacali di coinvolgere nelle decisioni più importanti iscritti e non iscritti. Per queste ragioni l’ultimo comma del “39” è oggi incompatibile con il primo che afferma: “l’organizzazione sindacale è libera”. Ma nulla è irrimediabile, tant’è che la Costituzione è stata oggetto di “manutenzione ordinaria” diecine di volte nella storia della Repubblica.

Infatti, una modifica costituzionale con l’abrogazione del quarto comma dell’articolo 39 e il rinvio ad una legge ordinaria concordata con le parti sociali garantirebbe per ogni contratto il rispetto della rappresentatività e della democrazia sindacale in base a cui i contratti collettivi (siano essi nazionali o aziendali) sono approvati dalla maggioranza dei lavoratori o dai rappresentanti sindacali liberamente eletti, assumendo così un carattere erga omnes. Qualunque sia la formula adottata che non passi attraverso il voto dei lavoratori o dei loro legittimi rappresentanti indebolirebbe la democrazia non solo nel sindacato ma anche nel paese. Del resto, le stesse confederazioni Cgil, Cisl e Uil avrebbero ben poco da temere dal voto dei lavoratori e da una verifica degli iscritti da loro stessi sollecitata e realizzata dall’Inps ma non ancora resa pubblica. Questa indagine attribuirebbe, come del resto era facilmente prevedibile, ai sindacati “storici” una larga maggioranza nei settori privati rispetto a tutte altre confederazioni. Anzi la conferma del voto dei lavoratori o dei loro rappresentanti come norma di legge, così come avviene per i contratti del pubblico impiego, rafforzerebbe nei confronti dell’opinione pubblica un’immagine assai positiva del sindacato come modello di democrazia effettiva.

I dettagli su come realizzarlo siano decisi dalle parti sociali

Nello stesso tempo suscita perplessità l’incertezza della maggioranza di governo che pare infilarsi nell’impasse della complicata e sempre opinabile determinazione del salario minimo per decisione diretta del Parlamento anziché affidare alle parti sociali il potere e la responsabilità di determinarlo riconoscendo ad esse il ruolo di governo delle politiche salariali. D’altra parte, se anche per evitare un ritorno in alcune aree del paese al lavoro nero, si volesse applicare correttamente la definizione del salario lordo orario minimo sulla base delle regole europee (massimo 60% del valore del salario mediano) la cifre che ne risulterebbe si collocherebbe tra i 7 e gli 8 euro. Sono numeri realistici ma non accettabili da parte chi ha fatto del salario minimo uno strumento di propaganda politica

La materia è difficile e la maggioranza attuale di governo non ha mai avuto grande dimestichezza su questi temi ma sarebbe un atto di coraggio se, ai fini della determinazione del dibattito sul salario minimo orario lordo, decidesse di affrontare il nodo dell’articolo 39 della Costituzione, affidando alle parti sociali il ruolo di proporre una soluzione da condividere.

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