L’acqua consumata dall’industria è sprecata? Per niente. Ci sono settori produttivi che senza risorse idriche non riuscirebbero nemmeno a nascere. Le cartiere e le industrie tessili, tra tante, hanno cicli produttivi connaturali alla disponibilità di acqua. Nella revisione del PNRR, quasi per beffa contro tutte le criticità, vengono tagliati oltre 2 miliardi di euro. Le rassicurazioni del Ministro Gilberto Pichetto Fratin sul “recupero” con altri finanziamenti dovranno essere dimostrate. In Italia l’industria consuma circa 5,5 miliardi di m3 di acqua e l’agricoltura è il primo settore. Nei 27 Paesi europei il consumo è pressoché identico a quello italiano. La siccità dei mesi scorsi ha messo in crisi una quantità infinita di piccole e medie aziende, facendo scoprire che l’Italia è più a corto di invasi rispetto agli altri.
I ricercatori dell’Enea i mediante il progetto RECIProCO hanno sviluppato una metodologia di analisi per valutare l’impatto delle industrie sulle risorse idriche. La sperimentazione è stata condotta su due cartiere e un’industria tessile nei sottobacini del Brenta-Baccaglione in Veneto e dell’Arno in Toscana. L’impresa tessile studiata, invece, è vicina al fiume Ticino, in Lombardia. Luigi Petta, Gianpaolo Sabia, Davide Mattioli , Michela Langone sono i ricercatori che hanno messo in campo tre indicatori per capire cosa succede durante le lavorazioni industriali. Il primo indicatore è l’indice di stress idrico e descrive lo stato delle risorse locali. Il secondo misura l’impatto dello stabilimento sul bacino idrografico, registrando prelievi, consumi e perdite d’acqua. Il terzo è l’Indice di riuso idrico aziendale e valuta l’efficienza dell’uso dell’acqua da parte dell’industria. Cosa è stato scoperto? “L’Arno è quello che presenta le maggiori criticità per lo sfruttamento idrico, la quantità d’acqua disponibile e la variabilità stagionale”, dice Luigi Petta, responsabile del Laboratorio ENEA per l’uso e gestione dell’acqua. I test hanno accertato una significativa differenza tra Nord e Centro Italia per il primo indicatore dello stress idrico. A ben vedere si tratta di una conferma. La cartiera sull’Arno, tuttavia, riutilizza quasi completamente l’acqua prelevara.
Lo studio di Enea utile alla politica
I risultati del lavoro di Enea dovrebbero essere utilizzati dalle Regioni e dalle Autorità di bacino per governare diversamente dall’oggi la captazione e utilizzo dell’acqua nelle industrie. Sono proposte tecniche che la politica dovrebbe trasformare in progetti con soldi. In questi giorni accade il contrario, guarda caso esattamente nei comparti dove tutto dovrebbe correre. La metodologia sperimentata è in grado di valutare l’impatto effettivo di un insediamento produttivo su fiumi, laghi e falde acquifere. Può “fornire alle amministrazioni locali, ai consumatori e alle stesse imprese informazioni utili per conoscere e valutare l’impatto sullo stress idrico locale” aggiunge Petta. Però deve essere sempre più incalzante, diciamo così, l’approccio delle aziende a creare sistemi interni di riuso e riciclo dell’acqua che si prende in profondità. Le riserve italiane sono già sotto pressione con squilibri territoriali storici. Verissimo, ma “l’incremento della popolazione e il cambiamento climatico sono tra le cause principali di un’insostenibile pressione sulle riserve idriche a livello globale” dicono all’Enea. La domanda di acqua attuale è di 4.600 miliardi di m3 all’anno con i 5,5 miliardi dell’industria che contengono anche quote di riutilizzo. Entro il 2050 la richiesta complessiva potrebbe arrivare a 6 mila miliardi di m3 l’anno. È chiaro che il sistema non potrà reggere né per la mancanza di strutture né per la governance. Ma nel PNRR Giorgia Meloni e i suoi Ministri hanno tagliato oltre 2 miliardi per queste finalità.