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Petro, un anno da presidente di sinistra della Colombia: tra riforme mancate e guai giudiziari, ecco il non entusiasmante bilancio

Il 63 enne ex sindaco di Bogotà è il primo presidente socialista della storia del Paese sudamericano: eletto 12 mesi fa, la sua popolarità è ancora discreta ma i risultati, ad oggi, non gli danno ragione

Petro, un anno da presidente di sinistra della Colombia: tra riforme mancate e guai giudiziari, ecco il non entusiasmante bilancio

Gustavo Petro, primo presidente di sinistra della storia della Colombia, ha compiuto pochi giorni fa un anno da presidente. E il 63 enne ex sindaco di Bogotà, con cittadinanza italiana, lo fa con un bilancio in chiaroscuro, anche se per la verità nelle ultime settimane sono più le ombre che le luci. Sebbene la metà del Paese lo sostenga ancora (il 48% dei cittadini ne ha una opinione positiva, contro il 45% negativa), Petro ha finora abbastanza deluso le attese, visto che non è riuscito a far approvare le riforme promesse, dalle pensioni alla salute fino al lavoro e alle carceri, e che anche la tanto declamata “pace totale”, cioè la lotta alla violenza armata, che avrebbe dovuto far seguito all’accordo con le FARC del 2016 coinvolgendo altri gruppi criminali (in particolare l’ELN, Esercito di liberazione nazionale), si è in realtà arenata.

A inizio anno Petro, che ha un passato da attivista della guerriglia bolivariana (fu anche arrestato dall’esercito nel 1985), aveva annunciato un accordo con l’ELN per la fine delle ostilità, ma i ribelli avevano invece smentito, concedendo però lo scorso giugno un cessate il fuoco di sei mesi. Incassata questa parziale vittoria, il presidente colombiano si è però successivamente fatto travolgere dallo scandalo del figlio Nicolas, accusato di aver ricevuto denaro da un narcotrafficante per sostenere la campagna elettorale del padre, l’anno scorso: Nicolas ha ammesso di aver commesso il fatto, sostenendo però che il padre non ne sapesse nulla. L’opposizione ha subito colto la palla al balzo per chiedere alla Commissione d’inchiesta alla Camera dei Rappresentanti di indagare sul possibile coinvolgimento del presidente. I membri della Commissione sono in maggioranza “petristi” (12 contro 6), ma a presiederla è da poco un esponente del Partito conservatore.

Al di là delle grane giudiziarie, finora il flop di Petro è stato nella gestione politica ed economica. Quando è arrivato al potere, la Colombia veniva da un periodo di grande crescita, e stava uscendo molto bene dalla pandemia: nel 2021 la crescita del Pil è stata del 10,6%, record dal lontano 1906, il che è stato sufficiente non solo a recuperare il livello del 2019 ma anche il trend precedente al Covid. Pure nel 2022 il prodotto interno lordo è aumentato del 7,5%, mentre quest’anno la Banca mondiale prevede una battuta d’arresto, con una crescita solo dell’1,1%, a testimonianza della crisi di un po’ tutte le economie andine: il Perù rallenta al 2,4%, il Cile dovrebbe addirittura scendere dello 0,7%. Quella colombiana è però senza dubbio l’economia più fragile, e proprio per questo avrebbe avuto di riforme che Petro finora non è riuscito a realizzare: l’inflazione è una delle più alte dell’area, al 12,8% (dato di maggio 2023); la pandemia ha interrotto gli sforzi di consolidamento fiscale e ha contribuito alla perdita dello status “Investment Grade” presso le agenzie di rating; il deficit delle partite correnti è rimasto ampio, pari al 6,2% del Pil nel quarto trimestre del 2022.

Soprattutto, l’economia colombiana rimane ancora troppo basata sulle materie prime e la diversificazione del tessuto produttivo è stata troppo lenta negli ultimi decenni: il peso elevato di imprese capital-intensive ha penalizzato la creazione di posti di lavoro, il che ha fatto salire il tasso di disoccupazione oltre il 10% e soprattutto sta rendendo sempre più difficile ridurre le diseguaglianze, tra le più alte di tutta l’America Latina. Ecco perché, nonostante i buoni dati del Pil, l’approccio eccessivamente business-friendly dell’ex presidente, il conservatore Duque, gli era valso una popolarità appena al 20% e la bocciatura alle elezioni. Petro rappresentava così una speranza per le fasce più deboli ed emarginate, e proprio per questo ha subito fatto passare, tra le polemiche, una riforma fiscale che aumentava le tasse per i ricchi, con l’obiettivo di raccogliere 14 miliardi di pesos da destinare ai meno abbienti e all’istruzione. In quella occasione Petro aveva anche inserito la famosa sugar tax di cui si era parlato anche in Italia, cioè un’imposta sulle bibite zuccherate e sugli alimenti ultraprocessati, facendo infuriare il mondo imprenditoriale.

Le altre riforme promesse sono invece rimaste al palo, o sono passate per il rotto della cuffia: quella del lavoro ad esempio è naufragata nel dibattito alla Camera, per assenza di quorum; quella del sistema elettorale, che voleva istituire le liste bloccate con quote rosa al 50%, è stata respinta dal Senato; quella del sistema sanitario è passata parzialmente, provocando le dimissioni di alcuni ministri contrari al progetto e anche l’allontanamento dell’ala parlamentare più centrista della maggioranza. Petro è in sella da appena un anno e andrà valutato su un arco temporale più ampio, ma la prima esperienza di un presidente socialista alla guida della Colombia non è iniziata nel migliore dei modi.

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