L’Europa torna a caccia di metalli preziosi in America Latina. Sullo sfondo dell’incontro tra Cepal (Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi) e Unione europea tenutosi qualche giorno fa a Bruxelles e del quale si è occupato anche il Financial Times, c’era soprattutto il tema delle cosiddette “materie prime critiche”, quei minerali cioè sempre più strategici per l’industria tecnologica globale, intorno ai quali si sta consumando una vera e propria guerra fredda tra Usa e Cina, con l’Europa alla finestra. Nell’incontro con Ursula Von der Leyen i capi di Stato sudamericani non hanno solo parlato dell’accordo commerciale Ue-Mercosul, in stand by dal 2019 e per il quale Bruxelles ha deciso unilateralmente di accelerare sul divieto di importare prodotti derivanti dal disboscamento dell’Amazzonia già dal 2024, scatenando le ire in particolare del presidente brasiliano Lula, che pretende un accordo condiviso e più graduale, consapevole del fatto che l’economia del suo Paese di fatto vive sullo sfruttamento del bacino amazzonico.
Alla ricerca del Gallio
Si è anzi parlato del Global Gateway, un nuovo programma di investimenti europei in America Latina e Caraibi, del valore di 45 miliardi di euro fino al 2027. In pochi però hanno notato che tra i progetti in cantiere, soprattutto in ambito energetico, non c’erano solo lo sviluppo delle fonti rinnovabili e in particolare dell’idrogeno pulito, ma anche l’estrazione di materie prime critiche e soprattutto dell’ambitissimo gallio, per il quale la Cina – che oggi ne è il primo produttore mondiale con una quota fino al 94% – ha recentemente imposto un limite alle esportazioni, forte del suo quasi monopolio. Il gallio viene usato per le batterie di ultima generazione delle auto elettriche, al posto del litio, e anche per fabbricare semiconduttori di schermi tv, smartphone, radar, pannelli solari, oltre che per la medicina nucleare. Il gallio e anche il germanio “sono metalli critici, essenziali per la nostra industria, specialmente per il loro utilizzo in settori strategici e anche per il fatto che siamo dipendenti da un unico fornitore”, ha ammesso la Commissione europea, che quindi ora cerca alternative, guardando al Sudamerica.
Ue guarda al Sudamerica per rifornirsi di materie prime
Già oggi infatti il continente latinoamericano è una delle principali fonti di approvvigionamento di materie prime decisive per il mercato tecnologico: il Brasile, su tutti, è il quinto Paese al mondo dal quale l’Europa importa materie prime critiche. Insieme agli altri Paesi dell’area fornisce in particolare nickel e silicio per le batterie, ma anche il famoso litio, per il quale ad esempio Bruxelles aveva chiuso qualche anno fa un accordo col Cile, concedendo però al Paese fornitore di costruire sul proprio suolo una centrale di produzione e trasformazione, per evitare l’effetto saccheggio che sarebbe derivato dalla semplice estrazione e esportazione del metallo. Anche in questo caso l’accordo, almeno sulla carta, è all’insegna del fair play: “Non siamo interessati a investire solo nella pura estrazione di materie prime – ha garantito Ursula Von der Leyen -, vogliamo collaborare per costruire capacità locali di lavorazione, di produzione di batterie e di prodotti finali come i veicoli elettrici. Possiamo contribuire con una tecnologia di livello mondiale e con una formazione di alta qualità per i lavoratori locali”.
Non commettere gli stessi errori fatti con la Russia
Insomma, a detta della stessa presidente della Commissione europea, l’Occidente “non vuole ripetere gli errori della pandemia e del gas russo”, cercando stavolta di giocare d’anticipo: le restrizioni all’export cinese di gallio e germanio scattano ad agosto, ufficialmente “per proteggere la sicurezza nazionale cinese”, ma di fatto è una risposta alle restrizioni che gli Stati Uniti avevano annunciato già nell’ottobre del 2022, per tagliare le esportazioni di semiconduttori chiave. Ora però c’è da convincere il Mercosul, ossia il mercato comune sudamericano, che su questo fronte è ancora abbastanza diviso: c’è chi spinge per stringere relazioni commerciali globali e chi, come Lula – che di fatto orienta le decisioni, presiedendo la prima economia dell’area – invita alla prudenza. Il presidente brasiliano infatti non ha gradito l’accelerata dell’Ue sulle politiche green, che con queste tempistiche finirebbero per penalizzare duramente le imprese del suo Paese, e di recente ha di nuovo tirato fuori il discorso per cui il Sud del mondo, in particolare l’Africa, non ha fino ad oggi beneficiato dello sviluppo allo stesso modo dell’Occidente e che dunque non gli si può chiedere di rallentare in ragione delle politiche ambientali.
Brasile e Argentina ora guardano alla Cina
Inoltre, alcuni Paesi del Sudamerica, in particolare Argentina e Brasile, sono ora sempre più legati alla Cina: lo si nota dalle posizione ambigue dello stesso Lula sulla guerra in Ucraina, sospettamente vicine a quelle di Pechino, o dal fatto che il Brasile sia diventato il primo mercato di destinazione di investimenti cinesi nel mondo, o ancora dal fatto che le imprese argentine stiano iniziando ad adottare lo yuan invece che il dollaro Usa per esportare. In questo contesto, non è detto che l’Europa riesca ancora a ricevere carta bianca.