Fidatevi, cari investitori, “le aziende indiane sono in ottime condizioni di salute”. A dirlo stamane sono gli analisti di S&P, abituati a far le pulci ai bilanci, specie dei Paesi Emergenti. Ma la forte crescita dell’economia, la più tonica del pianeta (+6% il pil, addirittura +6,9% l’anno prossimo) nonché la rapidità con cui, senza aiuto da fuori, il Paese ha saputo superare la crisi di liquidità del gruppo Andani, hanno convinto economisti ed investitori sulla buona salute del gigante asiatico. “Secondo noi – scrive S&P – il rapporto Ebitda/debito 2024 dei gruppi indiani promette di essere pari a 2,4 volte contro 4,3 di cinque anni fa”.
Anche Elon Musk guarda alle start up di Bangalore
Non stupisce, di fronte a queste previsioni, che il Sensex, l’indice della Borsa di Mumbai, abbia ripreso la strada dei rialzi dopo la battuta d’arresto di fine anno, legata all’incertezza sulle sorti del colosso Andani. Anche perché, nel frattempo, si sono stretti i legami in funzione anticinese tra Washington e New Dehli, culminati nella visita di Modi alla Casa Bianca. L’India, fucina di talenti che hanno fatto fortuna negli Usa (da Satya Nadella di Microsoft a Sundar Pichai di Alphabet) è ormai vista come un’alternativa convincente al polo Shanghai/Shenzhen, l’area forte dell’industria digitale cinese. Non a caso, nelle scorse settimane dalle parti di Bangalore è sbarcato Tim Cook, il numero uno di Apple, mentre, durante la sua visita in Usa Modi, che ha dato lezione di yoga al Congresso, ha incontrato l’iperattivo Elon Musk, l’uomo meno zen della finanza mondiale. Un incontro fortunato: l’imprenditore Usa, che ha promesso di visitare l’India l’anno prossimo, ha annunciato l’intenzione di produrre Tesla anche in India, “non appena sarà umanamente possibile”, ovvero risolto i problemi legati ai componenti.
L’industria spaziale è il fiore all’occhiello della nuova India di Modi
Ma, a sorpresa, spunta un nuovo settore in cui la collaborazione tra Elon Musk e l’India può modificare a fondo gli equilibri dell’industria di oggi e, soprattutto, di domani: lo spazio. Pochi lo sanno ma l’India, fucina di ottimi ingegneri (a basso costo, per giunta) conta su 140 start-up nel settore spazio concentrate attorno al polo di Hyderabad, un centro tecnologico che, assicura al New York Times Pawan Kuman Chandare, di Skyroot, prevede il lancio di 30 mila satelliti di qui al 2030. L’industria spaziale è il fiore all’occhiello della nuova India di Modi, capace di crescere a tassi esponenziali grazie alle tariffe convenienti e, non meno importante, dei problemi geopolitici che sta mettendo fuori gioco la concorrenza russa e cinese. Nemmeno gli ingegneri indiani, però, sanno far di meglio di Space X, il gioiello di Elon Musk che rappresenta il must dell’industria delle stelle. Nessuno al mondo, è in grado di competere con le tariffe stracciate di Musk: 6.500 dollari al chilo per i materiali caricati sulle sue navicelle spaziali. Assai meno di quanto possano garantire le aziende indiane, nonostante i minori costi di ingegneri e tecnici.
Ma l’industria dello spazio di New Dehli ha anche altro da offrire a Musk e agli altri leader di settore. Nel corso degli ultimi anni l’industria indiana ha creato un indotto di circa 400 imprese che hanno collaborato alla crescita dell’avventura nello spazio specializzandosi nelle varie nicchie, a partire dalla raccolta dei dati delle varie missioni. Multinazionali tascabili come la Pixxer di Bangalore che ha appena aperto bottega anche a Los Angeles e vanta il Pentagono tra i clienti del suo sistema di proiezione in 3D delle sue immagini. Un esempio tra i tanti per confermare che l’India ha ormai i numeri per esser considerata nell’ambito dei mercati finanziari a vocazione hi-tech.