Et voilà. Si torna a respirare l’odore (o il profumo) della polvere da sparo attorno alla fortezza di Generali/Mediobanca. Merito dello scoop di Repubblica che ha rivelato il via libera dell’Ivass (la Consob delle assicurazioni) a Delfin ad acquistare nuovi titoli del Leone aprendo la via ad un possibile, nuovo, tentativo di scalata al Leone.
Immediata la reazione di Piazza Affari sia sulla compagnia che su Mediobanca, l’altro bastione di quello che fu l’impero eretto da Enrico Cuccia a difesa degli equilibri della finanza di casa nostra (laica e familista), oggi una sorta di linea Maginot sorvegliata dagli alleati internazionali di Alberto Nagel. Generali, in particolare, mette assieme un balzo in avanti del 5%. Quasi altrettanto euforica Mediobanca, su del 2,5%, probabile prossimo terreno di confronto tra il management “assediato” e le ondate degli assalitori: Delfin, cassaforte degli eredi Del Vecchio, forte oggi del 10% a Trieste più il 19,8% in Mediobanca. E non meno agguerrito, Francesco Gaetano Caltagirone, che può contare oggi sul 6,23% di Generali e il 9,9% in Piazzetta Cuccia.
A fine mattinata però Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio, con una nota raffredda gli entusiasmi: “La richiesta all’Ivass non sottintende strategie particolari”. Generali tuttavia resta al top del Ftse Mib con + 3,41% e Mediobanca lima il rialzo a +1,69%, comunque tra i migliori.
Borse ultime notizie: il via libera dell’Ivass a Delfin
La situazione sembrava congelata, dopo l’assemblea Generali che ha decretato l’anno sorso la vittoria dell’asse Nagel-Donnet, ovvero la fiducia accordata dai grandi investitori internazionali al management in carica. Ma, fulmine a ciel sereno, a spezzare gli equilibri è arrivata la decisione dell’Ivass a favore di Delfin. La holding finanziaria della famiglia Del Vecchio, è stata autorizzata dall’Ivass, l’authority di vigilanza sulle assicurazioni, a salire oltre il 10% del capitale di Generali fino alla quota del 20%, diventando così di gran lunga primo azionista del Leone.
Per la scalata servono 2,8 miliardi ma ora Delfin frena
Un’operazione molto impegnativa sul piano finanziario (occorrono, ai prezzi attuali poco più di 2,8 miliardi di euro) ma senz’altro alla portata di Delfin, che, complici i profitti stellari di Luxottica-Essilor nel solo 2022 ha messo a segno un utile di 650 milioni di euro. Difficile però che Francesco Milleri, l’erede designato la Leonardo Del Vecchio, si lanci in un assalto all’arma bianca contro l’attuale vertice. Come dimostra del resto la manovra soft (quasi clandestina) per strappare il sì dell’organo di controllo. La richiesta di salire in Generali era stata presentata senza squilli di tromba lo scorso 17 aprile perché – avendo già il 9,8% del capitale di Generali – Delfin aveva superato la soglia del 10% per effetto del riacquisto di azioni proprie da parte della compagnia. Di qui la sensazione che MIlleri si accinga a recitare per ora un ruolo solo di sostegno all’affondo con Caltagirone che già in occasione dell’assemblea di Trieste aveva sostenuto il ruolo dell’antagonista numero uno.
In ogni caso il comunicato diffuso a fine mattinata dice testualmente: la richiesta all’Ivass”si è resa necessaria – ai sensi di legge – in conseguenza del piano di acquisto di azioni proprie avviato da Assicurazioni Generali nell’agosto del 2022 e implementato nei mesi successivi, piano che ha determinato il superamento involontario, da parte di Delfin, della soglia del 10% dei diritti di voto esercitabili in Assicurazioni Generali, alla luce della sospensione dei diritti di voto per le azioni proprie acquistate dalla società. “Tale richiesta, accolta in data 30 giugno 2023 dall’Autorità, non sottintende dunque alcuna particolare strategia di Delfin, se non quella di agire in conformità alle regole rispetto alla propria posizione quale azionista della compagnia assicurativa triestina”, si aggiunge.
Mediobanca: il test di ottobre e il ruolo di Benetton
Non è affatto detto, del resto, che l’assalto a Generali, lo scrigno dei 600 miliardi in Bot e Btp, nonché le altre ragioni che rendono la compagnia uno dei pochi protagonisti italiani di calibro almeno europeo, debba passare direttamente da Piazza Affari. Da sempre la chiave di accesso alla compagnia passa per Mediobanca, forte di quel 13% di Generali che rappresenta l’asset più prezioso della banca, come contestava a Nagel proprio Leonardo del Vecchio, suggerendo business plan più aggressivi, specie sul fronte internazionale. L’ad tre anni fa riuscì a spuntare la conferma con un ampio margine, pur non potendo contare sul voto di Delfin. Ad ottobre, in occasione dell’assemblea che Enrico Cuccia volle fissata per il giorno 28 (giorno comunque di lavoro in spregio all’anniversario della marcia su Roma), stavolta Nagel dovrà vedersela con Delfin ma anche con il 9,9% di Caltagirone e con il 5% del gruppo Benetton. Oltre ad una new entry decisa a farsi valere: Danilo Iervolino, patron della Salernitana, deciso a bruciar le tappe della sua affermazione nel mondo della finanza.
Prove di scalata a Generali: il comma Caltagirone
La vittoria in assemblea potrebbe valere poco o nulla se Delfin non troverà un partner bancario gradito alle autorità monetarie. Infatti, la Bce non solo ha posto un limite del 20% a Delfin ma si è anche raccomandata che questa partecipazione abbia solo un valore finanziario, senza incidere sulla gestione dell’istituto. Almeno per ora questo vincolo è parso invalicabile come un ponte levatoio di un castello medievale. Ma esiste una terza via per attaccare la fortezza di Nagel. Ove non bastassero le catapulte finanziare ecco le alchimie sapienti di Merlino Caltagirone: il finanziere si è presentato in Parlamento per caldeggiare una proposta di legge che vieti che i titoli presi a prestito possano essere utilizzati per votare la lista del cda. Una norma in vigore un po’ ovunque ma che per l’ingegnere romano non si addice ad un mercato finanziario come il nostro. Manco a dirlo, proprio quei titoli sono serviti finora a sostenere le ragioni del mercato contro quelle dei “padroni” dei pacchetti più importanti. Almeno così la pensava Mario Draghi, in ossequio ad una governance in linea con i mercati più avanzati.
Da Draghi a Meloni: come cambia lo scenario su Generali
Ma i tempi sono cambiati. Di sicuro non dispiace a Giorgia Meloni l’obiettivo dichiarato da Caltagirone di fare delle Generali “una grande multinazionale con sovranità italiana“ magari capace, come chiedeva Del Vecchio, di mettere a segno un qualche merger di livello internazionale. Da presentare in un’assemblea che, forse, non si terrà più il 28 ottobre, data luttuosa per Cuccia, ma non per i sovranisti rampanti.
Si vedrà. Per ora prendiamo atto che l’assedio di Trieste (se si farà) permette a Piazza Affari di strappare nuovi record in avvio del secondo trimestre: 28.511 punti a fine mattinata con un guadagno di un punto percentuale, meglio degli altri listini comunque positivi: EuroStoxx 50 +0,3%. Dax di Francoforte +0,3%, Parigi + 0,2%.
Ultimo aggiornamento alle 15:00 del 3 luglio 2023