Lunedì 19 giugno si è svolto il primo vero incontro del 2023 tra i sindacati metalmeccanici e il ministro Urso al Minit. “Riconosciamo che è stato ripreso concretamente – commenta Massimiliano Nobis, segretario presso Fim Cisl nazionale – il confronto sulla politica industriale del settore e per la prima volta è stato inserito il comparto degli elettrodomestici tra i comparti manufatturieri strategici. Senza interventi significativi troppe filiere e posti di lavoro a rischio. Ma ciò che occorre è un sostegno agli investimenti per proteggere la supply chain, per rafforzare i processi industriali, i distretti e cioè tutte le potenzialità che ancora sono presenti nel settore. È il made in Italy della casa, del design che va sostenuto. Electrolux lo sta facendo, ha confermato gli impegni proseguire”. L’incontro tecnico specifico sul caso Electrolux che si doveva tenere ieri, martedì 20 giugno, presso la sala Parlamentino del Ministero, è stato rinviato probabilmente alla prima settimana di luglio. Ed è convocata anche la Haier. La notizia che avevamo anticipato sull’intenzione del Ministero di far valere, come è accaduto per la Pirelli, il Golden power nei confronti dell’eventuale acquirente di Electrolux per salvare non tanto il big svedese, quanto la manifattura, le ricerche, il valore cioè degli stabilimenti italiani è stata ripresa dalla stampa italiana e da quella internazionale ma ha destato le perplessità degli esperti. La dichiarazione di intenti del governo infatti è rimasta tale, non esistono approfondimenti, non sono state richiesti pareri a competenti e a specialisti. Il ministro ha nuovamente assicurato ai sindacati che Electrolux, con i cui vertici sarebbe in contatto, ha negato l’intenzione di vendere…
L’incontro Blinken-Xi Jinping cambia qualcosa?
Eh si, cambia e cambierà. Il mini-disgelo tra gli Usa e la Cina, ha diverse motivazioni tra le quali il fatto che la Cina gestisce come vuole la gigantesca supply chain, che fornisce alla struttura industriale americana, al suo big-mercato dei consumi e alle le gigantesche catene del retail, immense quantità di beni di consumo, beni strumentali e soprattutto componentistica strategica. E oggi questa supply chain non ha assolutamente raggiunto i livelli pre-Covid creando ingorghi, carenze pesanti, inefficienze record nella logistica. C’è poi la faccenda complicata dei chip, perché come avevamo previsto, la mega “fab” di Taiwan – con il palese sostegno dell’occidente e degli americani soprattutto – che doveva essere costruita in questi tre anni (dal Covid) si è dissolta. Mentre la Cina (per quel che se ne sa) sta diventando quasi indipendente. Oggi il mercato dei chip è quasi crollato mettendo in difficoltà l’altro pretendente – o supposto tale – del gioiello svedese, la Samsung che, da n.1 mondiale del mercato dei tv, proprio in questi giorni sta facendo i conti con il calo delle vendite che nel primo trimestre è stato – a livello globale – del 24,3 per cento, mentre la prevista ripresa del secondo quarter non si è verificata e anzi prosegue la caduta”. Cosa significa tutto ciò? Che il governo americano non sembrerebbe più contrario ai movimenti di M&A cinesi in Europa, nemmeno in America. E che probabilmente Samsung non è più l’alternativa preferita a Midea.
Golden Power, i cinesi reagiscono
Se un gigante come Midea, e come gli altri cinesi, ha deciso di espandersi con acquisizioni importanti, l’affaire Kuka – il big tedesco della robotica acquisito da Midea – insegna che ci riescono. Nessun Golden power del governo tedesco, nessuna opposizione di politici, banche, sindacati e governo hanno potuto impedirlo e oggi Kuka è diventato un pilastro dell’espansione industriale (e militare) di Midea cioè della Cina. All’opposizione della Germania venne data una serie di riservatissimi avvisi: “la Germania è il primo paese esportatore in Cina…”. Quanto all’Italia, in questo momento la potenza d’acquisto dei cinesi, dal turismo al food, dalla meccanica al sistema-moda e al sistema-casa italiani sta crescendo enormemente. E i primi avvisi sono già discretamente partiti.
Un altro comparto ad altissimo rischio
Una delle grandi potenzialità del nostro Paese è l’attrattiva che sempre di più esercita l’intero sistema legato all’alimentare e uno dei pilastri è costituito dalla produzione e dall’export degli apparecchi per la cottura e delle cappe. Smeg, Bertazzoni, i piani e i forni di cottura Electrolux fabbricati a Forlì (ex Becchi, un gioiello, grazie agli investimenti Electrolux), Indesit e Whirlpool (fabbricati a Melano ex Merloni) Elica, Franke (società svizzera ma tutti i piani e i forni sono made in Italy), Faber (Franke, tutto in Italia), Falmec, Fabita, Foster, Fulgor, Meneghetti (oltre 1 milione di apparecchi l’anno, un gigante del terzismo), Baraldi, Barazza, Jokodomus e altri ancora. E infine altri gioielli come la veneta Lofra acquisita dopo aver chiuso da un gruppo estero e che esporta tutto ma proprio tutto negli Usa e Verona, altro produttore di cucine che in Italia non vende nulla.
Tutti sono forti esportatori (tra il 70 e il 90%) in grazia e in nome del design e delle innovazioni ecocompatibili italiane. E dietro i distretti della cottura (in Emilia, Veneto, Marche) ci sono centinaia e centinaia di Pmi fornitori di componenti, finiture, servizi. Per fabbricare un frigo occorrono pochi componenti, per realizzare grandi cucine italiane, ambitissime nei mercati mondiali e soprattutto in Usa, costruite con tecnologie artigianali e industriali inimitabili, occorrono quasi un centinaio di componenti e lavorazioni e nessuno può farlo come viene fatto in Italia. Ma un tornado sta cambiando tutto: il passaggio dalla cottura a gas a quella a induzione dove i componenti sono pochissimi e fabbricati da un duopolio, costituito da due giganti, uno è tedesco e uno è francese. Man mano che si realizza questo passaggio epocale della cottura molte Pmi dei distretti hanno chiuso, chiudono e chiuderanno. Le aziende che abbiamo citato ancora resistono grazie all’adeguamento alla induzione ma quando non avranno più alle spalle i distretti innovativi cosa accadrà? Non basta il design, qui un vero Golden power deve investire e sostenere i distretti facendo valere il made in Italy perché questi anni sono particolarmente favorevoli a ciò che viene inventato, progettato e venduto dal nostro Paese.