L’intervento a gamba tesa di Ubs sugli obbligazionisti di Credit Suisse nell’ambito dell’operazione di salvataggio di inizio marzo, come era stato promesso, continua a generare ritorsioni. Ora sono due le denunce da parte degli investitori. Ma molte sono le tessere di questo puzzle e molte ne mancano ancora.
Come si ricorda, in base all’accordo di fusione UBS-Credit Suisse, i detentori di obbligazioni Credit Suisse AT1 non riceveranno nulla, mentre gli azionisti, che di solito si collocano al di sotto degli obbligazionisti in termini di chi viene pagato quando una banca o una società fallisce, riceveranno 3,23 miliardi di dollari. La faccenda di dare la precedenza agli azionisti rispetto agli obbligazionisti, invertendo le regole dettate dalla Brrd (Bank resolution regulatory directive) non va proprio giù agli investitori. E la dichiarazione di guerra annunciata è solo alle prime schermaglie.
Secondo il giornale elvetico Sonntagszeitung il Dipartimento federale delle finanze (DFF) ha ricevuto due denunce nei confronti della Confederazione.
Nel dettaglio si tratta di domande di risarcimento per responsabilità dello Stato, come ha spiegato una portavoce del Dipartimento, senza fornire ulteriori dettagli sul contenuto dei procedimenti. Sotto la lente dei bondholder e dei loro legali ci sarebbero i trattati internazionali di protezione degli investimenti firmati dalla Svizzera con molti Paesi. Tali documenti prevedono risarcimenti in caso d’espropriazione statale, una fattispecie nella quale si sta cercando di far rientrare anche l’azzeramento dei bond subordinati At1.
Ecco gli elementi su cui si basano le azioni legali
A muoversi per conto degli investitori (in gran parte asset manager ed hedge fund) è in prima linea lo studio legale californiano Quinn Emanuel Urquhart & Sullivan. I promotori dell’azione legale detengono una “percentuale significativa del valore nozionale totale degli AT1”, ha detto lo studio in una nota, e in molti casi “hanno investito nelle obbligazioni molto prima della fusione tra Credit Suisse e Ubs”. C’è ancora la possibilità “che i vari attori riconoscano e correggano gli errori commessi nell’orchestrare frettolosamente questa integrazione”, ha detto a Reuters Thomas Werlen, managing partner dell’ufficio di Zurigo dello studio Quinn Emanuel.
Giovedì 23 marzo la Finma, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari, ha dichiarato che l’accesso di Credit Suisse alla liquidità straordinaria messa a disposizione dalla banca centrale mercoledì 15 inficiava la continuità aziendale, configurandosi come un non viability point. La legge di emergenza ha insomma avuto effetto retroattivo e anche questo aspetto, sottolineano molti investitori, costituirebbe una violazione dei principi fondamentali del diritto.
Anche il Parlamento elvetico è contro la fusione
Nel frattempo si gioca anche la partita politica sulla vicenda Ubs/credit suisse, con il Parlamento elvetico del tutto contrario all’operazione. Il Consiglio nazionale ha infatti bocciato i crediti d’impegno per l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS. Ciò significa che le garanzie saranno fornite senza l’avallo del Parlamento: un voto puramente simbolico, ma che sarà anche storico, secondo quanto riportato dal giornale elvetico Tio. Il Consiglio federale ha già preso con Credit Suisse e UBS impegni vincolanti in base al diritto d’urgenza. Il “no” del Consiglio nazionale è quindi da intendersi come un voto di protesta.
Democentristi, socialisti ed ecologisti hanno spesso evocato il salvataggio di UBS nel 2008, che a loro dire sarebbe dovuto sfociare in norme “too big to fail” ben più severe di quelle poi adottate. PLR, Centro e Verdi liberali hanno da parte loro chiesto di concedere le garanzie, anche per evitare di inviare cattivi segnali ai mercati finanziari e creare un problema sistemico.
Quanto costa questa fusione alla Confederazione svizzera?
Il primo credito d’impegno riguarda una garanzia sul rischio di insolvenza di 100 miliardi che la Confederazione metterà a disposizione della BNS. Questo mutuo disporrà di un privilegio in caso di fallimento del Credit Suisse. Ciò significa che il suo rimborso avrà la precedenza sulle pretese di altri creditori (ad eccezione di salari, oneri sociali e alcuni altri impegni privilegiati), secondo quanto riporta il giornale elvetico.
Per la sola messa a disposizione di tale strumento statale, per la Confederazione si parla di 250 milioni di franchi all’anno. Il secondo credito riguarda UBS: Berna fornisce una garanzia a UBS per eventuali perdite derivanti dalla vendita degli attivi del Credit Suisse pari a 9 miliardi. Questa garanzia verrebbe applicata solo se le perdite per UBS saranno superiori a 5 miliardi.
Alle due garanzie concesse vanno però aggiunti altri costi, per cui in totale, la Confederazione e la BNS sono quindi esposte per complessivi 259 miliardi.
Ma proprio in questi giorni, sempre il giornale elevtico SonntagsZeitung, ha scritto che l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS potrebbe costare alla Confederazione altri 8 miliardi di franchi, osservando che il maggiore esborso è dovuto alle obbligazioni dichiarate prive di valore dalla FINMA, che ammontano a quasi 16 miliardi di franchi. Il valore indicativo di questi titoli si basa sulla quotazione di borsa allo scorso 17 marzo, che era appunto di circa 8 miliardi.
Il risvolto occupazionale: a rischio fino a 36.000 posti di lavoro
Un’operazione non indolore anche dal punto di vista occupazionae perché, dopo aver completato la fusione, Ubs taglierà tra il 20% e il 30% dei posti di lavoro della nuova banca che nascerà, cioè circa 36.000 posti in tutti il mondo di cui 11.000 in Svizzera, altri 25.000 in tutto il mondo, secondo SonntagsZeitung. Credit Suisse aveva annunciato 9.000 tagli prima dell’operazione di salvataggio di Ubs. I due istituti di credito insieme impiegavano quasi 125.000 persone alla fine del 2022, di cui circa il 30% del totale in Svizzera. Un portavoce di Ubs non ha commentato l’indiscrezione, si è limitato a dire che farà chiarezza sui tagli di posti di lavoro il prima possibile. Ma Deutsche Bank, Citigroup e JP Morgan Chase & Co. sono già pronti ad accaparrarsi alcuni dei banchieri e dei gestori patrimoniali che potrebbero essere lasciati a casa.
Non si fermano i deflussi della clientela Credit Suisse
Il salvataggio inoltre non è riuscito ad arrestare i deflussi di clientela per Credit Suisse. In base ai dati di Morningstar, nelle tre settimane dopo l’intervento di Ubs sono stati disinvestiti dalla banca 5,6 miliardi di dollari. Gli investitori avevano già ritirato 3 miliardi subito dopo il salvataggio, a cui si sono aggiunti 2,5 miliardi nel periodo compreso tra il 23 marzo e il 6 aprile. “C’è ancora incertezza circa l’operazione e il potenziale impatto che potrà avere su Credit Suisse Asset Management”, ha detto Johann Scholtz, analista di Morningstar.
Il tema viene monitorato con attenzione dai regolatori, perché proprio i deflussi di liquidità sono stati il fattore che ha fatto avvitare la banca su se stessa fino ad arrivare al salvataggio. Già lo scorso anno Credit Suisse aveva perso asset in gestione per 123 miliardi di franchi, per la maggior parte nell’ultimo trimestre. Nel 2023 il trend è rallentato, ma non si è fermato.
Anche la procura svizzera è al lavoro
Anche la Procura svizzera ha acceso i riflettori sulla fusione tra Credit Suisse e Ubs. L’ufficio del procuratore generale svizzero ha contattato le autorità nazionali e locali ed emesso ordini di indagine per identificare possibili reati. “Vista la rilevanza degli eventi” il procuratore federale “intende adempiere in modo proattivo al suo mandato e alla sua responsabilità di contribuire a una piazza finanziaria svizzera pulita e ha istituito un sistema di monitoraggio al fine di adottare misure immediate in caso di qualsiasi circostanze che rientrano nella sua giurisdizione”, ha detto l’authority in una nota.