Dieci giorni di sciopero promossi da tutti i sindacati e un clima di violenza scatenato dai Black bloc: la Francia brucia da settimane, ma così non può durare. Il Presidente Emmanuel Macron ha avuto il coraggio dell’impopolarità promuovendo una riforma delle pensioni di cui lui stesso avrebbe volentieri fatto a meno ma che “è necessaria” perché mette in sicurezza il sistema previdenziale francese anche per il futuro. Ma il Paese non l’ha capito e tra l’Eliseo e la Francia c’è un divorzio sentimentale che è già molto di più dell’incomunicabilità e della sfiducia reciproca. Ma si può continuare così? No, non si può: lo sa Macron e lo sanno i sindacati o, per lo meno, lo sa il più intelligente e realista di loro, Laurent Berger, leader della Cfdt, il secondo sindacato francese, una specie di Cisl e un tempo amico di Macron. “Macron torni al dialogo, altrimenti aiuta Le Pen” ha dichiarato mercoledì scorso in un’intervista a la Repubblica. Ma il suo non è il solo timido segnale di disgelo, anche se l’elezione a sorpresa di Sophie Binet alla guida del sindacato comunista Cgt, una specie di Elly Schlein in versione sindacale, non è precisamente un buon viatico.
FRANCIA: DAL SINDACALISTA BERGER E DALLA PREMIER BORNE PRIMI SEGNALI DISGELO
Nello stesso giorno in cui Berger lanciava i primi segnali di disponibilità al dialogo, la premier Elisabeth Borne ha invitato i sindacati a un incontro senza ordine del giorno per il 5 aprile. Il che vuol dire che si potrà discutere di tutto. Anche di pensioni? Non della sospensione della riforma come chiedono i sindacati ma forse di alcuni suoi aspetti applicativi e poi di lavoro e di giustizia. Le distanze tra Governo e sindacati sono abissali ma l’apertura di un tavolo di confronto è già qualcosa.
A quell’incontro ci sarà però un convitato di pietra: il Consiglio costituzionale, presieduto dall’ex premier socialista Laurent Fabius, che il 14 aprile dovrà decidere se il testo della riforma è o no conforme alla Costituzione e il 20 aprile se ammettere o no un referendum popolare sull’innalzamento da 62 a 64 anni dell’età pensionabile previsto dalla riforma Macron.
FRANCIA: IL CONSIGLIO COSTITUZIONALE PUO’ GIOCARE UN RUOLO DECISIVO
Insomma, giorni caldi, caldissimi per la Francia e per il destino non solo della riforma pensionistica ma per il futuro dello stesso Macron. Tutti capiscono che la Francia non può continuare in uno scontro che la spacca verticalmente, che la paralizza e che offre sempre di più spazi di manovra alla violenza e che alla fine fa solo il gioco della destra. Ma chi farà il primo passo verso il disgelo? Forse non ha del tutto torto Nicolas Domenach quando scrive sul settimanale economico Challenges che paradossalmente “Macron deve sperare nella censura del Consiglio costituzionale”, non totale ma parziale, per riavviare il dialogo con i sindacati senza perdere la faccia. Ma che cosa faranno il 14 aprile i 9 membri del Consiglio costituzionale? C’è chi dice che Fabius potrebbe cogliere al balzo l’occasione per vendicarsi della censura subita nel maggio di 3 anni fa dallo stesso Macron che criticò pubblicamente il Consiglio per la lentezza nel convalidare la proroga dello stato di emergenza voluto dall’Esecutivo. Ma sarebbe una meschina piccineria. Più realisticamente Le Monde pensa che il Consiglio costituzionale boccerà sì ma solo parzialmente la riforma delle pensioni offrendo a Governo e sindacati la possibilità di riprendere il dialogo su basi nuove e più costruttive.
FRANCIA: IL RITORNO ALLA RAGIONE PREVARRA’ SUL RISENTIMENTO E SUL RANCORE SOCIALE?
Macron sta sperimentando a sue spese che la modernizzazione della Francia non è un pranzo di gala e che è impossibile fare le riforme senza il consenso, ma tra i sindacalisti più pragmatici come Berger quanti potrebbero giurare che senza una profonda riforma il sistema previdenziale francese sia in grado di reggere malgrado l’allungamento della vita media, la riduzione dei lavoratori attivi e la crescita dei pensionati? I prossimi giorni ci diranno se in Francia il ritorno alla ragione riuscirà a prevalere sul rancore e sul risentimento sociale.