Con il crollo della Silicon Valley Bank torna lo spettro “Lehman Brothers”. È un crollo lampo quello di SVB, istituto californiano di credito specializzato nel finanziamento di start-up e che a fine 2022 aveva circa 209 miliardi di dollari di attività totali e circa 175,4 miliardi di depositi totali. Ma che per una serie di eventi a catena si è tradotto in una fuga di depositi e un crollo di fiducia da parte degli investitori tale da portarla al fallimento.
Dall’implosione del sistema finanziario statunitense nel 2008, Wall Street teme un nuovo “momento Lehman”, un evento scatenante che prende il nome dalla sfortunata banca d’investimento e che ha portato al più ampio crollo del sistema bancario e dell’economia. Ma bisogna dire che SVB era una banca molto particolare in quanto raccoglieva la liquidità delle start up della Silicon Valley e dei fondi di venture capital che le finanziavano.
Perché Silicon Valley Bank è fallita?
Tutte le analisi che circolano in queste ore sono concordi: Svb ha adottato una strategia finanziaria rischiosa e ora ne paga le conseguenze.
Durante la fase più acuta della pandemia da Covid-19, le imprese tech avevano ottenuto dagli investitori – i fondi di venture capital – tantissima liquidità e quindi l’hanno parcheggiata sui conti correnti della banca californiana.
Poiché i clienti della SVP erano pieni di dollari in cerca di investimenti (e di certo non avevano bisogno di prestiti), la domanda di credito era bassa, e così la banca ha iniziato a investire i depositi in titoli che garantivano una buona remunerazione. Cioè obbligazioni a lungo termine che pagano cedole e tassi più alti proprio perché più rischiosi. Il valore dei titoli del Tesoro americano è però diminuito notevolmente nel corso del 2022, conseguentemente alla crescita dei tassi di interesse che da una parte ha asciugato la raccolta di nuova liquidità e dall’altra ha inflitto perdite nel portafoglio obbligazionario all’attivo delle banche.
Una mano di poker andata male
L’aumento dei tassi della Fed per combattere l’inflazione ha aumentato i rendimenti da pagare ai depositanti sui loro conti correnti, perché le imprese pretendono tassi in linea con il mercato per lasciare i loro soldi parcheggiati. Quando salgono i tassi sul mercato, i prezzi dei bond si adeguano al ribasso. Questo ha pesato sulle startup tecnologiche – i principali clienti della Silicon Valley Bank – perché ha reso i loro investitori più avversi al rischio e a caccia di cash. Anche perché il comparto tech è entrato in una stagione di tagli e grande ripensamento degli investimenti.
La corsa ai depositi
Per finanziare i rimborsi, mercoledì 8 marzo la Silicon Valley Bank ha venduto un portafoglio obbligazionario di 21 miliardi di dollari, composto per lo più da Treasury statunitensi. Il portafoglio rendeva in media l’1,79%, molto al di sotto dell’attuale rendimento del Tesoro a 10 anni, pari a circa il 3,9%. Questo ha costretto SVB a registrare una perdita di 1,8 miliardi di dollari, che ha cercato di colmare con un aumento di capitale. Il giorno dopo il valore del suo titolo è crollato del 60%. Una decisione che ha colto di sorpresa, gli operatori e i clienti: la banca aveva un disperato bisogno di liquidità, perché altrimenti non avrebbe venduto in perdita T-bonds per un controvalore pari a un decimo dell’attivo di bilancio. A quel punto si è scatenata la corsa ai prelievi. E il tentativo (fallito) di raccogliere sul mercato la stessa cifra vendendo azioni ha costretto la Fdic ad intervenire e congelare tutto. La Fdci ha aggiunto che cercherà di vendere le attività di SVB e che i futuri pagamenti dei dividendi potrebbero essere effettuati ai depositanti non assicurati.
Il tonfo di SVB in Borsa contagia le banche di tutto il mondo
Il crollo del titolo Svb ha trascinato con sé, in un effetto domino, anche le azioni delle quattro più grandi banche americane, JpMorgan Chase, Bank of America, Citigroup e Wells Fargo che hanno bruciato miliardi di dollari di valorizzazione. E il contagio si è diffuso anche in Europa e Asia.
Negli ultimi anni, il numero di banche fallite è diminuito, grazie anche alle normative più severe introdotte a seguito della crisi finanziaria. Prima della Silicon Valley Bank, l’ultima impresa a fallire è stata alla fine del 2020, quando la pandemia stava devastando il Paese.
Fallimento SVB: si teme il contagio
Non è chiaro se il crollo della Silicon Valley Bank si estenderà a tutto il settore. La banca era nota soprattutto per i suoi prestiti alle start-up tecnologiche e sanitarie, e alla fine dello scorso anno aveva un patrimonio di 209 miliardi di dollari, che la rendeva la 16esima banca più grande della nazione. Ma è ancora poco rispetto alle prime tre, che detengono più di mille miliardi ciascuna e hanno modelli di business e basi di clienti molto più diversificati.
La normativa introdotta per le banche più grandi del Paese dopo la crisi finanziaria prevede requisiti patrimoniali rigorosi, il che significa che devono avere una certa quantità di riserve per i momenti di crisi, oltre a stabilire quanto devono essere diversificate le loro attività.
Inoltre, la Silicon Valley Bank e altre banche delle sue dimensioni non hanno la stessa supervisione normativa. Nel 2018, il presidente Donald J. Trump ha firmato una legge che ha ridotto i controlli per molte banche regionali. L’amministratore delegato di SVB, Greg Becker, è stato un forte sostenitore della legge. Tra le altre cose, la legge ha modificato i requisiti per la quantità di liquidità che queste banche devono tenere in bilancio per proteggersi dagli shock.
Che differenza c’è con Lehman Brothers?
Ecco la differenza: Il debito ipotecario sommerso di Lehman, che ha causato la sua insolvenza, si trovava in tutti i bilanci delle grandi banche, da cui la necessità di un salvataggio governativo per evitare l’Armageddon finanziario.
Mentre la Silicon Valley Bank serviva principalmente società di venture capital che hanno iniziato a ritirare il denaro dai conti quando le perdite tecnologiche sono aumentate. Le grandi banche come JPMorgan hanno una base di clienti più diversificata; quindi, non devono preoccuparsi di scaricare i Treasury per far fronte a una corsa agli sportelli, almeno non ancora. Ma il pericolo cresce per le banche che hanno molti bond in pancia, come Pacific West, Western Alliance e First Republic che ieri hanno subito forti perdite in Borsa.
Ma questo non significa che l’esperienza di SVB non sia preoccupante.
È abbastanza chiaro che la fine dell’epoca dei tassi bassi lascerà qualche cicatrice, costruite in anni di “denaro regalato” dalle banche centrali e di svalutazioni fiscali da parte dell’amministrazione Biden che hanno distorto a tal punto l’impianto idraulico del sistema bancario che i recenti aumenti dei tassi di interesse stanno iniziando a creare scompiglio: deprimendo le obbligazioni detenute non solo dalla SVB, ma da tutte le principali banche.