Era molto attesa la visita, a Washington, del presidente brasiliano Lula, appena rieletto per il suo terzo mandato totale, al suo omologo statunitense Joe Biden. E l’incontro, a suo modo, non ha tradito le attese: è stato l’occasione per riallacciare saldi rapporti tra i due giganti del Nord e del Sudamerica, che si erano un po’ freddati negli oscuri anni delle presidenze di Trump e Bolsonaro, i quali andavano sì d’accordo ma si erano entrambi isolati rispetto alla comunità internazionale. Con la vittoria di Biden e, poi, il ritorno di Lula, il Brasile torna invece protagonista sulla scena globale, in un momento delicato tra guerra in Ucraina, emergenze climatica e migratoria, inflazione e riposizionamenti geopolitici.
Biden-Lula: posizioni diverse sulla guerra in Ucraina
È proprio per questi motivi che l’incontro, seppur formalmente positivo, ha riservato in fin dei conti più ombre che luci. Il primo motivo di tensione è stato ovviamente la guerra in Ucraina: sul tema Lula ha da sempre tenuto una posizione ambigua, opponendosi all’invio di armi per sostenere la resistenza ucraina e dichiarandosi anche contrario alle sanzioni contro la Russia. Il presidente brasiliano ha persino l’intenzione di farsi promotore di un “club della pace”, un forum di Paesi neutrali che includa Cina, India e Turchia, e dopo averlo confessato a Biden ne parlerà anche di persona con Xi Jinping, in occasione della visita a Pechino in programma a marzo. A Brasilia l’opinione prevalente è che coinvolgere nei negoziati la Cina, che è di gran lunga il primo partner commerciale del Brasile (vale il 27% dell’export), sia semplicemente inevitabile.
Biden su questo è sempre stato freddino ed è dalla prima ora un fautore del sostegno incondizionato a Kiev, a difesa dei confini della Nato. E anzi avrebbe chiesto al suo omologo latinoamericano di fornire munizioni per i carrarmati mandati in Ucraina dalla Germania. Richiesta respinta, così come l’aveva respinta il predecessore Bolsonaro: i fertilizzanti russi sostentano il 30% del mercato agroalimentare brasiliano, ed è dunque meglio non mettersi contro Putin, considerando che tra i principali prodotti esportati dal Brasile ci sono soia (che è il primo), mais e carne bovina. Ma consapevole del fatto che gli Usa sono comunque il terzo partner commerciale dopo appunto Cina e Unione europea (11% dell’export, per 37 miliardi di dollari), Lula ha evitato lo strappo: le diplomazie hanno convenuto di non citare la discordanza nel comunicato stampa congiunto, limitandosi più genericamente a menzionare la stretta collaborazione tra i due Paesi sulle sfide globali.
Biden-Lula: gli Usa entrano nel Fondo Amazzonia
Una sintesi fredda, così come è stata fredda la reazione brasiliana all’annuncio, fatto dallo stesso Biden, dell’ingresso degli Usa nel Fondo Amazzonia, un programma di aiuti destinato alla tutela del polmone del pianeta, al quale fino ad oggi contribuivano solo Germania e Norvegia. La notizia di per sé sarebbe epocale, ma a deludere Brasilia è stato l’importo ipotizzato dall’amministrazione statunitense: appena 50 milioni di dollari, mentre il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in occasione del recente viaggio in Brasile, ha annunciato aiuti per 200 milioni di euro e la sola Norvegia, che partecipa al fondo sin dalla creazione, nel 2008 (sospendendo i finanziamenti sotto la presidenza di Bolsonaro), ha promesso al governo Lula l’equivalente di oltre mezzo miliardo di euro. Per l’Amazzonia c’è però una buona notizia: l’impegno Usa sarà minimo ma aprirà la strada ad altre adesioni, tra cui quella dell’Unione europea, della Francia, del Regno Unito e della Svizzera.