E’ un momento favorevole per l’Italia, con molti aspetti che, nonostante le tensioni, risultano positivi e migliori di quelli verificatisi negli altri paesi. Per non lasciarsi sfuggire questo momento magico occorre che tutti gli attori contribuiscano in modo coordinato: dalle banche centrali, al governo nazionale, alle autorità europee, alle parti sociali, trovando un equilibrio tra il fare troppo e il troppo poco.
“La stabilità monetaria è una responsabilità comune, un bene mai definitivamente acquisito” è ricordando questa frase del Governatore Ciampi nel 1981 che l’attuale guida della Banca d’Italia, Ignazio Visco segna il ritmo del suo consueto intervento annuale in occasione del 29mo Congresso Assiom Forex che si tiene quest’anno a Milano. “Era vero allora nel nostro paese, è vero oggi nell’area dell’euro: in una fase di forte incertezza le scelte di tutti gli attori, autorità europee, governi nazionali e parti sociali, devono essere tra loro coerenti, tenendo conto del contributo che l’azione di ciascuno fornisce al risultato finale”.
Il governo nazionale può aiutare a dare risorse senza gravare sulle generazioni future
Il governo italiano ha quindi una grande responsabilità. Da una parte “la politica di bilancio può continuare a mitigare gli effetti dei rincari dell’energia redistribuendo risorse, con interventi mirati e temporanei, a favore delle famiglie e delle imprese più colpite” dice Visco.
Dall’altra occorre estremo rigore nella gestione dei conti pubblici per evitare che siano poi di nuovo le generazioni future ad essere penalizzate, beneficiando invece delle risorse messe a disposizione dall’Ue.
“Vanno evitati slittamenti ripetuti nel processo di consolidamento dei conti pubblici, che accrescerebbero l’onere dell’aggiustamento a carico delle generazioni future, già gravate del peso di un debito pubblico molto elevato” sollecita Visco. “Prudenza e responsabilità nella conduzione delle finanze pubbliche dovranno essere accompagnate da determinazione ed efficacia nella realizzazione degli investimenti e delle riforme previste nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, utilizzando appieno le risorse del programma Next Generation EU”, tanto più che nel nostro paese produttività sia i salari in termini reali ristagnano ormai da troppo tempo.
Il momento stellare dell’Italia: migliore della media europea
L’ Italia lo scorso anno è riuscita a crescere di circa il 4%, superando di quasi mezzo punto la media dell’area dell’euro. A guidare la ripresa sono stati soprattutto i servizi che hanno compensato il calo registrato nella seconda metà dell’anno dalla produzione agricola e industriale. Le attese per il 2023, in uno scenario gravato dalle condizioni geopolitiche altamente incerte, sono di una crescita dello 0,6%, comunque inferiore alla zona euro (vista a +0,5%). Il nostro paese ritroverà poi un nuovo “rafforzamento nel prossimo biennio per l’accelerazione delle esportazioni e, grazie alla diminuzione delle pressioni inflazionistiche, della domanda interna”.
Lo spread è sceso, ma non rappresenta ancora i nostri buoni fondamentali
Un’azione prudente della politica di bilancio ha contribuito, nel nostro paese, alla riduzione del differenziale di rendimento rispetto ai titoli di Stato decennali della Germania, attualmente inferiore a 190 punti base, valore che resta tuttavia ben al di sopra di quello che sarebbe giustificato dai fondamentali e circa il doppio rispetto a paesi come Spagna e Portogallo.
Le attese di una riduzione dei prezzi
In questo contesto gioca un ruolo determinante l’attesa di una riduzione della pressione inflazionistica, “Le aspettative d’inflazione a breve termine sono in forte calo sui mercati finanziari. I rendimenti dei contratti derivati (inflation‑linked swaps) indicano che il tasso d’inflazione atteso fra dodici mesi è pari al 2,3%, meno della metà dei livelli di fine novembre, quando le proiezioni dell’Eurosistema erano state appena finalizzate. Le attese sugli orizzonti più distanti restano, al netto dei premi per il rischio, su valori coerenti con l’obiettivo di stabilità dei prezzi, pari al 2% nel medio termine. L’ancoraggio delle aspettative d’inflazione è peraltro confermato dai risultati dei sondaggi condotti in gennaio presso gli analisti. Una flessione si registra anche per le attese d’inflazione di imprese e famiglie”
La delicata fase della politica monetaria tra il troppo e il troppo poco
La politica monetaria si trova in una fase delicata che vede, da una parte, la ricerca di una normalizzzione dopo la fase straordinariamente espansiva, dall’altra, un’azione restrittiva per calmierare l’inflazione. La Bce, giusto questa settimana, ha innalzato i tassi ufficiali di 50 punti base, portando il loro incremento complessivo a 300 punti. Ha inoltre confermato che essi dovranno continuare a salire per favorire il ritorno dell’inflazione all’obiettivo di stabilità dei prezzi nel medio periodo, annunciando l’intenzione di aumentarli ancora di 50 punti in marzo. Visco punta il dito sulla necessità di un giusto equilibrio. “Resta in ogni caso essenziale continuare a bilanciare il rischio di una ricalibrazione troppo graduale, che potrebbe far radicare l’inflazione nelle aspettative e nei processi di fissazione dei salari, con quello di un inasprimento eccessivo delle condizioni monetarie, che comporterebbe gravi ripercussioni per l’attività economica, la stabilità finanziaria e, in ultima analisi, la stessa dinamica dei prezzi nel medio termine”. Come il governatore ha detto recentemente occorre che “a questi due rischi si assegni analogo peso, in linea con l’obiettivo di stabilità dei prezzi – simmetrico – che dobbiamo conseguire per rispettare il nostro mandato”.
La svolta nell’orientamento della politica monetaria avviata dal dicembre 2021 è stata indispensabile. Dall’avvio della fase di progressiva riduzione dell’accomodamento monetario i tassi di interesse (overnight index swaps) a un anno sono saliti da livelli negativi al 3,3%, dice Visco. Quelli a dieci anni da valori appena positivi al 2,6. In termini reali, utilizzando come deflatore i rendimenti dei contratti legati all’inflazione, essi sono oggi rispettivamente pari a circa lo 0,9 e lo 0,3 per cento, dai valori negativi, di circa il 4 e il 2 per cento, di fine 2021.
Attenzione ora alle prossime azioni di politica monetaria
Dagli ultimi mesi dello scorso anno il Consiglio ha gradualmente ricalibrato tutti gli strumenti di politica monetaria. In dicembre è stata annunciata la riduzione delle attività detenute nei portafogli di politica monetaria attraverso reinvestimenti parziali dei titoli in scadenza.
Da marzo quelli relativi al programma di acquisto di attività avviato nel 2014 (asset purchase programme, APP) diminuiranno di 15 miliardi di euro al mese sino alla fine del secondo trimestre del 2023. Il ritmo successivo sarà definito alla luce degli andamenti della congiuntura e dei mercati. Il pieno reinvestimento dei titoli acquistati nell’ambito del programma per l’emergenza pandemica proseguirà invece almeno fino al termine del 2024. Verrà comunque mantenuta “la flessibilità per contrastare il rischio di ingiustificate frammentazioni dei mercati finanziari lungo i confini nazionali”.
Contenuti gli effetti collaterali da aumento dei tassi
I rialzi dei tassi ufficiali dovrebbero porre rischi nel complesso gestibili per le finanze pubbliche del nostro paese, dato che il costo medio del debito, grazie all’elevata vita media residua, aumenta in modo graduale. L’indebitamento delle imprese e delle famiglie italiane rimane basso nel confronto internazionale: in rapporto al PIL, esso è complessivamente pari al 112% a fronte di un valore medio del 168% per l’area dell’euro. Inoltre a settembre il debito delle imprese non finanziarie era sceso al di sotto del 70 per cento del PIL, un valore inferiore di oltre 13 punti percentuali rispetto al picco raggiunto durante la crisi dei debiti sovrani.
Dal 2011 a oggi la leva finanziaria delle imprese (il rapporto cioè tra i debiti finanziari e la loro somma con il patrimonio netto ai valori di mercato) è diminuita dal 50 al 41% e anche i rischi che derivano dalla situazione finanziaria delle famiglie si mantengono nel complesso circoscritti.
Come per le imprese, anche per le famiglie un ulteriore fattore di attenuazione dei rischi è rappresentato dall’ampia disponibilità di attività liquide: lo scorso settembre i depositi e il circolante superavano 1.600 miliardi di euro, un livello elevato nel confronto storico, anche quando valutato in termini reali, e pari a più di un terzo del totale degli attivi finanziari del settore.
Nel sistema bancario possibili altre significative rettifiche sui crediti
Il sistema bancario resta nel complesso positivo, con una qualità del credito che si mantiene buona: lo scorso settembre l’incidenza dei prestiti deteriorati al netto delle rettifiche di valore era pari all’1,5%. Per le banche significative essa è sostanzialmente in linea, all’1,2%, con quella media dei paesi che aderiscono all’Unione bancaria. Inoltre resta basso, intorno all’1% dei finanziamenti, il flusso di nuovi prestiti deteriorati. Tuttavia in prospettiva non va escluso un incremento anche significativo delle rettifiche su crediti che potrebbero salire, in rapporto al totale dei finanziamenti, da meno di mezzo punto percentuale a quasi un punto quest’anno e nel 2024, anche se ancora la metà rispetto al picco toccato nel biennio 2013-14 a seguito della crisi dei debiti sovrani, un livello superiore anche a quello che si realizzerebbe in uno scenario avverso.
Nel 2023 e 2024 nessuna banca italiana chiuderà in perdita
Secondo i dati più recenti, per quest’anno e per il 2024 viene previsto un ROE in media vicino all’8%. Tre gruppi registrerebbero una redditività prossima o superiore al 9%, nessuno dovrebbe chiudere l’esercizio in perdita. Oltre all’effetto sui conti economici, il rialzo dei tassi di interesse ha anche un effetto diretto sul patrimonio di vigilanza degli intermediari, riflesso del calo dei corsi dei titoli obbligazionari, sovrani e non, valutati ai prezzi di mercato. Un aumento parallelo di 150 punti base della curva dei rendimenti dai livelli di fine anno porterebbe a una diminuzione del CET1 ratio di circa 80 punti base. Considerando che questa stima non incorpora le strategie di mitigazione del rischio eventualmente predisposte dagli intermediari per mezzo, ad esempio, di derivati di copertura, l’impatto sui coefficienti patrimoniali risulterebbe pertanto gestibile.
Il cruccio dei fondi comuni: faro sugli immobiliari
Nel comparto della gestione del risparmio il rilevante aggiustamento dei prezzi delle attività finanziarie a seguito dello scoppio della guerra e del rialzo dei tassi di interesse, pur riducendo la redditività dei fondi comuni italiani, è stato assorbito in modo ordinato senza dar luogo a forti disinvestimenti. La raccolta netta si è mantenuta stabile, mentre nel resto dell’Europa è diminuita.
Ma le prospettive sono incerte e crescono i rischi di liquidità, di mercato e di credito. Non tanto per i fondi aperti italiani che sono “in generale nelle condizioni di poterli fronteggiare” visto che la leva finanziaria è bassa, le attività gestite sono caratterizzate da una durata contenuta e il grado di liquidità (definito dal rapporto tra le giacenze di conto corrente e il patrimonio netto) è elevato nel confronto storico. A preoccupare Visco sono invece i fondi immobiliari che “hanno un indebitamento relativamente elevato, prevalentemente nei confronti delle banche, caratteristica che li rende più di altri una potenziale fonte di contagio”. Anche alla luce della forte crescita delle attività gestite da questi fondi, guidata da quelli che investono in immobili commerciali, stiamo avviando approfondimenti specifici, i cui risultati consentiranno di valutare meglio i rischi per la stabilità dei singoli intermediari e per il sistema nel suo complesso.
La necessità di mercati uniti per affrontare meglio shock avversi: il caso cripto
Bisognerebbe che si continuasse in quel processo di integrazione dei mercati dei capitali già auspicato dalla Commissione europea alla fine dello scorso anno. “È necessario procedere lungo questa strada, così da promuovere lo sviluppo dei mercati, favorire l’integrazione e rendere maggiormente diversificate le fonti di finanziamento dell’economia europea, rafforzandone la capacità di reagire a shock avversi”. E in questo ambito Visco esamina il mondo delle criptovalute che ha visto lo scorso anno un aumento della volatilità.
Non tanto per l’ Italia dove “le nostre indagini indicano che solo una piccola quota delle famiglie, stimabile intorno al 2%, deterrebbe questi strumenti, con importi mediamente modesti e anche l’esposizione degli intermediari italiani verso questi mercati è molto contenuta”.
Ma il problema a livello internazionale rimane visto che la capitalizzazione di queste attività “ha registrato una brusca caduta, passando da circa 2.400 a 800 miliardi di dollari. Alla contrazione hanno contribuito sia una generalizzata riduzione dell’esposizione degli investitori istituzionali verso questi strumenti altamente rischiosi, sia i fallimenti di alcuni importanti operatori di mercato, dovuti a gravi lacune nei processi di gestione dei rischi e a comportamenti fraudolenti”.
Per foturna il crollo del mercato delle criptoattività, pur determinando perdite significative per alcuni investitori, non ha avuto conseguenze sistemiche, grazie alle limitate interconnessioni con gli intermediari finanziari tradizionali, con il sistema dei pagamenti e con l’economia reale.
Ma occorre definire un adeguato sistema di regole e di controlli, dice Visco, affinché questo comparto non si sviluppi in modo incontrollato. Occorre distinguere, in particolare, gli strumenti e i servizi altamente rischiosi come le criptoattività prive di valore intrinseco, da quelli che possono determinare benefici tangibili per l’economia, favorendo ad esempio una riduzione dei costi dei pagamenti transnazionali e una maggiore efficienza del sistema finanziario. La diffusione dei secondi può essere favorita attraverso lo sviluppo di norme e controlli equivalenti a quelli già applicati nel sistema finanziario tradizionale;i primi, invece, devono essere fortemente scoraggiati. L’azione della Banca d’Italia pone particolare attenzione alla necessità di individuare gli ambiti in cui le nuove tecnologie basate sui registri distribuiti (distributed ledger technologies, DLT) possono contribuire alla stabilità complessiva del sistema finanziario e alla tutela della clientela.