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Il futuro Patto di stabilità “non sarà una nuova Maastricht ma sarà ragionevole ed efficace” dice Maria Demertzis (Bruegel)

INTERVISTA A MARIA DEMERTZIS, economista del think tank Bruegel, sulla riforma del Patto di Stabilità – “Non ci sono margini per una nuova Maastricht” – “Realismo sui conti ed enfasi sulla necessità di crescere” – E sull’attuale proposta? ” Tutti i Paesi faticano ad accettare la discrezionalità che l’Ue si è data”

Il futuro Patto di stabilità “non sarà una nuova Maastricht ma sarà ragionevole ed efficace” dice Maria Demertzis (Bruegel)

La discussione sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita sta arrivando proprie in queste settimane a definire la nuova cornice di finanza pubblica che l’Unione Europea si darà da qui ai prossimi anni. Sospeso nel 2023, a meno di un peggioramento drammatico del quadro (geo)economico, il Patto di Stabilità tornerà dal 2024. Per un Paese come l’Italia, ciclicamente esposto a momenti di forte instabilità finanziaria, si tratta forse del passaggio politico-economico europeo più importante dei prossimi anni. Saggiamente l’Italia dovrà trovare più di un forte alleato a Bruxelles, soprattutto tra i big dell’eurozona, per contribuire a disegnare un impianto di riforma sostenibile anche in considerazione delle caratteristiche dei nostri conti pubblici. Chi meglio, dunque, della Francia potrà supportarci per arginare la voglia di austerità che a cadenza regolare arriva del centro-nord Europa? I rapporti tra Parigi e Roma saranno dunque da preservare con grande cura non solo per governare le questioni collegate all’emergenza migratoria. «La nuova proposta della Commissione consente una politica fiscale più personalizzata per ogni singolo Paese. Questo approccio è ragionevole ed efficace allo stesso tempo. Non è ovvio però che tutti i Paesi lo accetteranno», osserva Maria Demertzis, economista del think tank Bruegel, con esperienze alla Commissione Europea e alla Banca Centrale Olandese.

Per un nuovo livello di integrazione economica europea ci sono troppe forze euroscettiche al comando nei vari Paesi membri?

«Diciamo che non ci sono margini per una “nuova Maastricht”. In ogni caso, la proposta non tenta di modificare gli obiettivi di Maastricht in termini di debito e disavanzo. Si discute invece in modo sempre più dettagliato dell’utilizzo di strumenti più facili da monitorare per i conti pubblici».

Il Commissario agli affari economici Paolo Gentiloni ha parlato di crescita e sostenibilità del debito. Dove guarderà l’Unione per il rapporto debito/Pil?

«Realismo sui conti ed allo stesso tempo enfasi sulla necessità di crescere. È importante sottolineare che, cercando di progettare percorsi per ridurre il debito in modo sostenibile, questo tentativo, almeno in teoria, dovrebbe rendere più sostenibile la politica fiscale. I disaccordi ovviamente arriveranno su quale sia il percorso più credibile per la riduzione del debito».

E per il parametro deficit/pil?

«Questa è la parte meno importante nella proposta attuale. Ha senso ridurre l’enfasi sul deficit per guardare al modo in cui i Paesi utilizzano le risorse pubbliche».

Si parla di un percorso di aggiustamento variabile dai 4 ai 7 anni. Per l’Italia che scenari si aprono?

«Questa è forse la questione più controversa, dipende da quante discrezionalità si accetteranno. Di conseguenza ci saranno più incertezze per definire i risultati finali. L’attuale proposta suggerisce che la Commissione definisca l’orizzonte temporale in stretta collaborazione con i Paesi membri».

Una stagione di tassi di interesse alti più lunga del previsto come potrebbe cambiare la situazione per un grande debitore come l’Italia?

«In effetti, questo è un rischio molto grande per i Paesi che devono affrontare un costo del servizio del debito molto elevato. Per questo la BCE ha ideato anche un nuovo strumento per aiutare quei Paesi che potrebbero subire un rapido aumento dei tassi di interesse per ragioni non giustificate dallo stato della loro economia».

Per anni il Patto di Stabilità e Crescita è stato disatteso. Che condizionalità si prefigurano per chi non rispetterà i nuovi parametri?

«L’applicazione resta a mio avviso il problema numero uno da risolvere. La nuova proposta della Commissione mira ad infliggere sanzioni per non conformità. Sembra che possano essere più severe rispetto al passato, ma solo la pratica potrà verificarlo. Ma non è scontato che le multe siano il modo più efficace per far rispettare le regole».

Quali visioni di finanza pubblica si scontreranno in Europa? Ancora Europa del Nord versus Paesi del Sud? 

«Nell’attuale proposta l’unica cosa che i Paesi faranno fatica ad accettare è la quantità di discrezionalità che l’Unione si è data. Tutti i Paesi si sentono a disagio per questo».

Cosa si aspetta la Commissione Europea dalle finanze pubbliche italiane nei prossimi mesi? E soprattutto: cosa non vorrebbe vedere?

«La prima cosa è realizzare le riforme collegate al Recovery and Resilience Facility. L’Italia è il più grande beneficiario di sovvenzioni e prestiti in tutta l’Unione (quasi 200 miliardi), fondi che arrivano con un impegno preciso per le riforme. Deviare da tali impegni manderebbe un pessimo segnale sia ai mercati che ai partner europei. Penso tuttavia che data l’attuale congiuntura macroeconomica ci sia meno preoccupazione per i grandi disavanzi, visto che saranno in qualche modo inevitabili».

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