L’ultimo dato negativo ha raggiunto il cancelliere Olav Scholz a Pechino, in attesa dell’incontro con il presidente Xi per la prima visita ufficiale di un leader occidentale dallo scoppio della pandemia. Gli ordini all’industria tedesca sono scesi del 4%, più del previsto -1% a settembre appesantiti da un forte calo della domanda estera (-7%). Numeri che non sorprendono i big tedeschi in viaggio verso la Cina assieme al cancelliere Scholz, deciso a cedere una porzione del porto della “sua” Amburgo alla cinese Cosco, ma che spiegano ancor di più l’attenzione del made in Germany per il Celeste Impero. Specie nell’industria dell’auto, l’asse della collaborazione cresciuta nel corso degli anni (Angela Merkel ha effettuato dodici missioni ufficiali oltre la grande Muraglia) tanto da fare di Audi la marca leader sul mercato cinese che garantisce una buona metà dei profitti del gruppo Volkswagen. Ma anche la porta aperta per assicurare l’espansione delle vendite dell’auto elettrica cinese nel Vecchio Continente, l’ultima onda asiatica dopo giapponesi e coreani in grado di ribaltare la classifica delle vendite grazie anche al controllo delle materie prime.
Scholz da Xi difende le scelte pro-Cina e divide gli industriali
Nasce così uno dei motivi di conflitto tra Francia e Germania, cioè quello che è stato finora uno degli assi portanti della politica economica del Vecchio Continente. A fronte delle scelte pro-Cina di Berlino, c’è il fallimento conclamato della joint venture di Stellantis con la Gac di Shanghai proclamato in settimana. Renault intanto rafforza l’asse nell’elettrico con i giapponesi di Nissan annunciando un accordo a breve, forse entro il 15 dicembre.
Diversa la musica oltre Reno. La Cina, da sei anni, è il primo partner commerciale della Repubblica Federale che grazie ai suoi acquisti garantisce un milione di posti di lavoro in Germania. Un tesoro messo a dura prova dalle crisi geopolitiche, dal Covid 19 al conflitto ucraino, che Scholz e Xi Jingping cercheranno di tutelare nel corso di questa visita storica che, peraltro, suscita critiche anche in Germania. Basti, al proposito, notare che nella squadra che sta accompagnando Scholz a Pechino figurano il nuovo numero di Volkswagen Oliver Blume e l’amministratore di Bmw, ma non i vertici di Mercedes e di Daimler oltre quelli di Continental e di Bosch. Non solo. Rispetto alle delegazioni fiume del recente passato, quando centinaia di manager scortavano Angela Merkel, stavolta ci sono solo 12 capi azienda, comunque tra i più importanti come Martin Brudenmueller di Basf che ha confermato il mega investimento (10 miliardi di dollari) a Zhanjang entro il 2030. Così come ha fatto Volkswagen: “La Cina è per noi indispensabile – aveva dichiarato a giugno Herbert Diess poco prima del cambio della guardia a Wolfsburg – sia per le vendite che per il potenziale di innovazione. Spesso non ci rendiamo conto in Germania di quanto la Cina conti per la nostra prosperità”.
Scholz da Xi in Cina: allarme di Tavares, Francia critica
Insomma, a fronte dell’allarme di Carlos Tavares per l’eccessiva liberà offerta all’export cinese nell’elettrico, supportata dal controllo delle batterie e dal quasi monopolio delle principali materie, c’è la posizione di buona parte dei grandi dell’auto (ma anche di Siemens e Basf) che difendono le posizioni dell’auto gialla. Un conflitto geopolitico sotto traccia che ha fatto dire giovedì a Josep Borrell, alto rappresentante della politica estera della Ue, che “i Paesi occidentali devono ridurre la propria dipendenza dalla Cina, ma non possono mettere il Paese in un’unica categoria con la Russia”. “È chiaro – ha aggiunto – che vogliamo ridurre le nostre dipendenze, affrontare le nostre vulnerabilità e rafforzare la nostra resilienza. Ma al momento molti Stati membri hanno forti rapporti economici con la Cina e non credo che possiamo mettere Cina e Russia sullo stesso piano”.
Tra Cina e Usa la Ue cerca di mediare. Le prospettive per l’Italia
Una formula di compromesso che si giustifica con l’imbarazzo Ue a gestire il passaggio dal mondo dell’economia globale ad un sistema “glocal” in cui le aziende, pur di mantenere le posizioni sui mercati devono spostare, in Cina come in Usa, parte delle produzioni sul posto. E’ una strada più costosa e complicata che possono permettersi solo i grandi gruppi e che indirettamente investe anche l’Italia: il pianeta Stellantis ormai guarda agli Usa, i satelliti di Volkswagen ai mercati d’Oriente. Intanto il neo protezionismo americano e la carenza di chips complicano ancor più il quadro d’assieme , condizionato dall’eccessiva dipendenza da un Paese, la Cina, sempre più sensibile alla politica di potenza che non al business.