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La Shoah che non finisce mai: un libro di Gabriele Nissim che va oltre la memoria e non trascura gli altri genocidi

“Il libro Auschwitz non finisce mai” di Gabriele Nissim è intenso e ricco di rimandi. Il libro sollecita la necessità di riflettere sulla responsabilità delle scelte umane e di creare un’alleanza internazionale per la prevenzione dei genocidi

La Shoah che non finisce mai: un libro di Gabriele Nissim che va oltre la memoria e non trascura gli altri genocidi

“Le faccio una confessione. Mi chiedo spesso se gli ebrei abbiano fatto qualcosa di male che abbia poi scatenato tutto questo. Io sono religiosa e non riesco a capire. Secondo lei c’entra Dio in tutto questo?” È il capitolo – Una suorina ad Auschwitz – dell’ultimo libro di Gabriele Nissim, “Auschwitz non finisce mai – La memoria della Shoah e i nuovi genocidi”, edito da Rizzoli, 259 pagg, 19,00 euro.

La memoria ebraica della Shoah: trappola o salvagente?

Un libro intenso, ricco di rimandi, anche problematico, sin dalla premessa. “Considero la Shoah il male estremo del Novecento, lo sterminio paradigmatico, l’accadimento che ha fatto ragionare l’umanità intera sulle conseguenze dell’antisemitismo e sul concetto stesso di genocidio…..Ma il discorso per certi versi “sacro” sull’unicità della Shoah, espressione di un male assoluto che ha colpito soltanto gli ebrei in tutta la storia dell’umanità e ripetuto quasi fosse un dogma da non mettere mai in discussione, come se si rischiasse di tradire la memoria di milioni di vittime abbandonate dal mondo è una trappola o un salvagente?”

E ancora: “L’insistenza, l’ossessione nel ribadire la memoria della Shoah come evento unico nella storia rischiano di creare una divisione profonda tra me come ebreo e gli altri esseri umani”, anche o tanto più quando vengono inglobate nella interpretazione religiosa e sono poste a fondamento dell’identità ebraica. 

La lezione di Primo Levi

La suorina di Auschwitz “aveva bisogno di salvare l’operato di Dio. È lo stesso meccanismo dei Lubavitch e degli ebrei ortodossi”, nota Nissim, e la confutazione di una responsabilità divina nello sterminio compiuto dai nazisti diventa il filo rosso che percorre tutto il libro, compresa la questione sospesa ma tuttora incendiaria del riconoscimento dello Stato Palestinese. 

È il concetto della responsabilità delle scelte umane quello che Nissim pone a fondamento del testo, facendo spesso riferimento a Primo Levi “capace di spiegare come nessun altro, con una prosa priva di retorica, il progetto di scientifica disumanizzazione delle vittime senza il quale non sarebbe stata possibile la soluzione finale”. Scrive Nissim: “Levi mi ha insegnato a guardare la Shoah come un male estremo che tocca tutta l’umanità. Non è qualche cosa che riguarda soltanto gli ebrei, come se la posta in gioco fosse  solo quella della ridiscussione della identità ebraica dopo lo sterminio. Era prima uomo e poi ebreo, come mi sento io”.

Impossibile qui dar conto della complessità di un testo che dedica sì molte pagine alle riflessioni che si sono susseguite fino ad oggi – dalle citazioni di grandi filosofi e intellettuali, da Spinoza a Elie Wiesel (lui stesso sopravvissuto all’Olocausto) a Yehuda Bauer a Simone Veil (anche lei sopravvissuta ad Auschwitz)  a Raphael Lemkin, il giurista polacco “padre” della definizione di genocidio, alle citazioni del processo di Norimberga e del processo al gerarca nazista Eichmann – ma guarda anche in faccia la difficoltà di creare un percorso condiviso tra chi dice: non accadrà più a noi e una minoranza che dice: questo non succederà mai più.

Un’alleanza internazionale per prevenire i genocidi

 “L’impatto delle memorie, che ha funzionato soprattutto per ribadire il diritto al riconoscimento di uno sterminio e di conseguenza il diritto alla giustizia e alla sopravvivenza, direbbe Spinoza, non si è però trasformato in un’alleanza internazionale per incalzare il mondo alla prevenzione dei genocidi come problema di tutta l’umanità”, scrive Nissim. 

E ancora “Non si tratta di uniformare le memorie, perchè ogni popolo che ha subìto un genocidio giustamente mette sul piatto la sua storia, ma in ogni memoriale, da Israele a Erevan, a Kiev dove si ricorda l’Holodomor, alla Cambogia a Sarajevo, ci dovrebbe essere una finestra per sollevare in ogni commemorazione il tema dei meccanismi internazionali atti a porre ogni volta un freno alle nuove degenerazioni che portano gli esseri umani a condiderare legittimo annientare altri uomini”.

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