Si capirà nelle prossime ore se l’aumento di capitale di Banca Monte dei Paschi di Siena potrà partire nei tempi previsti, cioè lunedì 17 ottobre, come sono convinti a Roma e a Siena, oppure se servirà ragionare su un piano B e un ulteriore slittamento, in ogni caso entro la data ultima del 12 novembre. Ma il mercato fiuta la fumata bianca come testimonia il forte balzo del titolo in Borsa che oggi ha guadagnato il 10%.
La trattativa per l’operazione sul capitale da 2,5 miliardi della terremotata banca senese, il settimo in 15 anni, è complessa e sono in campo molti attori e molti soldi ma qualcosa sembra finalmente muoversi.
Ieri pomeriggio il Cda – in una riunione fiume- non ha potuto procedere, come atteso, alla definizione del prezzo delle nuove azioni e l’inserimento delle necessarie integrazioni al prospetto, in vista della definitiva approvazione da parte della Consob – attesa questa settimana, probabilmente già domani- poiché non sono arrivati le firme e gli impegni alla sottoscrizione di una quota dell’aumento da parte di alcuni investitori privati. La trattativa prosegue oggi. Da Siena alcune fonti finanziarie hanno detto a Firstonline che “c’è una moderata fiducia che le trattative si possano concludere positivamente nelle prossime ore” dopo la nuova convocazione del cda.” Anima e Axa sono orientate ad aderire all’aumento di capitale da 2,5 miliardi, di cui 1,6 a carico dell’azioni Tesoro, e le banche del consorzio sembrano disponibili a farsi carico dell’inoptato. D’altra parte l’intervento del consorzio rappresenta l’indispensabile rete di salvataggio per il buon esito dell’operazione, in una situazione di mercato non certo facile. Rocca Salimbeni e il Tesoro sono confidenti di far prevalere il contratto di pre-sottoscrizione già firmato a giugno.
Nell’operazione il Tesoro, azionista al 64% circa della banca, è l’attore principale, tenuto a impegnarsi con 1,6 mld, mentre il cosiddetto inoptato – la quota di azioni non sottoscritte rimasta sul mercato a operazione conclusa- è pari a 900 milioni.
Otto le banche del consorzio di garanzia che potrebbero partecipare per circa 400-500 mln: Banco Santander, Barclays Bank Ireland, Société Générale e Sitfel Europe Bank, in qualità di joint bookrunners, unendosi a BofA Securities Europe, Citigroup, Credit Suisse e Mediobanca entrando a far parte del consorzio l’aumento di capitale. Nelle ultime ore, secondo alcune fonti, si sarebbe rischiata anche la rottura del consorzio, con l’uscita di scena di una delle banche componenti, scenario che costringerebbe a ricostruire l’intero pool con esiti imprevedibili. Così il ceo Luigi Lovaglio sta lavorando per ricucire gli strappi e trovare una soluzione.
Chi altri parteciperà all’aumento di capitale ?
Di quei 900 milioni, una parte – circa 100-150 milioni – ha già assicurato che li sborserà Axa, partner assicurativo di Mps, con un impegno di sub-accollo da inserire nel prospetto. A far la loro parte potrebbero essere poi alcune Fondazioni, soprattutto toscane: sul tavolo c’è un impegno di massima di circa 30 milioni di euro, di cui 10 già deliberati dalla Fondazione Cr Firenze. Attesa anche CariLucca con l’apporto di 8 milioni. In forse la decisione della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, che in un primo momento aveva escluso di intervenire, ma ora valuta un contributo che dovrebbe in ogni caso fermarsi a 3 milioni. Inoltre è atteso un contributo anche dalle Casse previdenziali come Enpam e Cassa Forense, e Inarcassa, con cui il Mef avrebbe avviato alcuni contatti.
Anima Holding potrebbe ridurre al minimo la propria partecipazione
Ma si tratta di un ammontare ancora troppo esiguo per le banche del consorzio.
L’attenzione è anche per l’altro partner di Mps, Anima Holding, ma il discorso sembra anche più complesso: da una parte essa richiederebbe una revisione degli accordi di distribuzione (su garanzie, proroghe e commissioni) con l’aspirazione a restare la principale società indipendente del risparmio gestito in Italia, dall’altra potrebbe investire per una quota limitata.
In questi giorni il Tesoro ha messo in campo un nuovo progetto per Anima che potrebbe far quadrare il cerchio: Poste Italiane (controllata dallo Stato attraverso Cdp con il 35% e Mef con il 29,3%) potrebbe incrementare la sua attuale quota in Anima, una sorta di golden power operativo, il che oltretutto difenderebbe la società da una potenziale offerta estera. Inizialmente Anima aveva detto che avrebbe potuto partecipare per un ammontare tra i 100 e i 200 milioni. Stamane invece fonti finanziarie citate dall’Ansa dicono che Anima Holding sarebbe intenzionata a convocare un CdA per deliberare il suo intervento nella ricapitalizzazione, per soli 25 milioni.
Altre banche sono guardate con attenzione. Stamane l’amministratore delegato di Unipol, Carlo Cimbri, a margine di un convegno, rispondedo ai giornalisti che gli chiedevano se Unipol fosse stata contattata dal Tesoro per la ricapitalizzazione di MPS ha detto: “Nessun contatto dal Tesoro per una partecipazione all’aumento di capitale di MPS”.
Secondo le indiscrezioni una quota potrebbe arrivare dall’imprenditore francese Denis Dumont, ex azionista di Creval, la cui partecipazione all’operazione viene data quasi per certa. Contatti in fase avanzata sarebbero in corso anche con Algebris, Pimco e Amundi e con gestori che hanno in portafoglio consistenti ammontari di obbligazioni subordinate.
C’è poi anche un piano B di emergenza nel cassetto Bce
Nei giorni scorsi alcune fonti di mercato hanno parlato anche dell’esistenza di un Burden sharing già nel cassetto della Bce come piano B in caso di fallimento del piano principale. Verrebbero cioè coinvolti dei bondholers nel capitale, con tutte le conseguenze intuibili, dice il quotidiano. Il Tesoro starebbe pensando a una cordata di sistema salva-Mps nella quale potrebbero essere presenti gli anchor investors contattati da Lovaglio, dunque Anima e Axa, ma anche le grandi banche e le grandi compagnie di assicurazione: “Intesa, UniCredit, BPM, Bper, Agricole Italia con una richiesta di 300 milioni. Le assicurazioni Generali e Unipol per un totale di 100 milioni.
Questa settimana è intervenuta anche la Commissione Europea che ha varato un documento in cui precisa in 22 punti alcuni passaggi chiave della situazione senese con la revisione degli impegni presentati dall’Italia e approvati da Bruxelles.
La storia di 15 anni di iniezioni di liquidità
Negli ultimi 15 anni la banca senese ha rafforzato il patrimonio per 5 miliardi di euro nel 2008, nel 2009 ancora 1 miliardo sottoscritto dalla Stato attraverso i Tremonti Bond. Di nuovo, nel 2011, altri 2,15 miliardi di euro, nel 2013 furono invece 4 miliardi sottoscritti dallo Stato (i Monti Bond). Nel 2014 si trattò di altri 5 miliardi, nel 2015 di 3 miliardi, nel 2017 di 8,3 miliardi di cui 5,4 miliardi versati dallo Stato come ricapitalizzazione precauzionale e la restante quota di 2,9 miliardi come conversione di prestiti subordinati.