Nel 2023 l’Italia entrerà ufficialmente in recessione. Lo sostiene il Fondo Monetario Internazionale nel suo aggiornamento al World economic outlook. Il nostro Paese però sarà in buona compagnia: non solo perché anche la Germania chiuderà il 2023 col segno meno, ma anche perché tra la fine del 2022 e il 2023, Paesi che rappresentano circa un terzo dell’economia globale registreranno un calo del Pil per due trimestri consecutivi, entrando in quella che viene chiamata recessione tecnica.
Italia in recessione nel 2023: le previsioni del Fmi
Il 2023 si concluderà per l’Italia in recessione con un calo del Prodotto Interno Lordo dello 0,2 per cento. Lo scorso luglio, il Fmi aveva stimato un aumento dello 0,7%. L’anno in corso, invece, si chiuderà con una crescita del 3,2%, lo 0,2% in più rispetto a quanto previsto 3 mesi fa. Un incremento dovuto soprattutto alla ripresa del turismo e dalla produzione industriale.
Passando agli altri dati, il debito pubblico nel 2022 e nel 2023 rimarrà intorno al 147%, mentre il deficit sarà pari al 5,4% quest’anno e al 3,9% nel 2023.
Crescita globale al 3,2%
Nel 2022 la crescita globale si attesterà al 3,2%, mentre nel 2023 scenderà (-0,2%) al 2,7%. “Il rallentamento del 2023 sarà di ampia portata”, scrive il Fmi, spiegando che “Paesi che contano per un terzo dell’economia globale sono destinati a contrarsi quest’anno o il prossimo. Le tre economie maggiori – Usa, Cina ed Eurozona – continueranno a stagnare”. Secondo l’istituzione di Washington, infatti, “il peggio deve ancora venire e per molte persone il 2023 sarà un anno di recessione”.
Parlando dei singoli, negli Usa, la politica monetaria portata avanti dalla Federal Reserve ridurrà la crescita del 2023 al +1% (+1,6% nel 2022). In Cina l’anno prossimo si chiuderà con un +4,4%, mentre quest’anno la crescita si fermerà al 3,2%, la più bassa in più di 40 anni, eccezion fatta per il 2020. A pesare su Pechino non è solo la guerra, ma anche la crisi del settore immobiliare e i ripetuti lockdown effettuati in nome della politica Zero Covid. Prosegue invece la crescita dell’India: +6,8% (-0,6%) nel 2022, +6,1% atteso per il 2023.
E le due nazioni in guerra? Per la Russia il 2022 si chiuderà con un calo del Pil del 3,4%, seguito da un -2,3% nel 2023. Gravissima la situazione dell’Ucraina, il cui prodotto interno Lordo nel 2022 crollerà del 35%.
Le stime sull’Europa: anche la Germania va in recessione
Andrà decisamente peggio in Europa, dove la crisi innescata dalla guerra in Ucraina e dal caro energia provocherà un rallentamento della crescita, che si fermerà al +0,5% nel 2023, mentre nel 2022 si attesterà al 3,1%.
A fare peggio dell’Italia sarà l’ex locomotiva d’Europa, la Germania, che nel 2023 registrerà un calo del Pil dello 0,3%, dopo il +1,5% stimato per il 2022. Si salvano, ma rallentano Francia e Spagna, il cui prodotto interno lordo nel 2023 crescerà rispettivamente dello 0,7% e dell’1,2%.
Fuori dall’Ue, anche il Regno Unito rallenterà la sua corsa: +3,6% nel 2022, +0,3% nel 2023.
L’impennata dell’inflazione e lo shock energetico
“L’elevata inflazione nel 2021 e nel 2022 ha sorpreso molti analisti, compreso lo staff dell’Fmi”, si legge nel report, in cui il Fmi raccomanda alle banche centrali di proseguire sulla strada della stretta monetaria per tenere sotto controllo i prezzi e ai Governi di evitare misure che vadano in senso opposto. Leggendo quest’ultima precisazione, è difficile non pensare alle inusuali critiche che il Fmi ha rivolto al Regno Unito dopo l’annuncio del maxi taglio alle tasse dei ceti più ricchi, poi cancellato.
Parlando in termini percentuali: secondo Washington l’inflazione raggiungerà il picco verso la fine del 2022 al 9,5% globale annuo, per poi rallentare al 4,1% nel 2024.
Per quanto riguarda la crisi energetica, il Fmi avvisa il Vecchio Continente: “Lo shock energetico non è transitorio. Il riallineamento geopolitico delle forniture energetiche, sulla scia della guerra in Ucraina, è ampio e permanente. L’inverno del 2022 sarà una sfida, ma quello del 2023 sarà probabilmente peggiore”, si legge nel report, in cui il Fmi sottolinea che “Controlli sui prezzi, sussidi non mirati o divieti di esportazione sono fiscalmente onerosi e portano a domanda eccessiva, offerta insufficiente, cattiva allocazione e razionamento. Raramente funzionano. La politica fiscale dovrebbe invece puntare a proteggere i più vulnerabili attraverso trasferimenti mirati e temporanei”.