La crisi italiana non è tanto economica, ma soprattutto culturale, sociale, etica. Compito della politica non è quello di lisciare il pelo della pancia degli elettori, ma quello di far diventare popolari le scelte che si devono adottare per il bene comune. Il paradosso del nostro paese è che i cittadini apprezzano Draghi e Mattarella, ammirano la loro “Gravitas” da uomini di Stato, ma poi votano per chi strilla più forte, per chi promette la luna.
La speranza sta nella sensazione che molte persone siano stufe delle promesse irrealizzabili da parte delle forze politiche e vogliano rivolgersi ad un partito che invece di fare tanti regali ad ogni corporazione piccola o grande, si ponga l’obiettivo molto più ambizioso si rifondare il legame di appartenenza dei cittadini ad una comunità. Ridare il senso del destino comune al nostro paese superando la cultura dei desideri individuali che si sono trasformati in diritti, per recuperare un equilibrio in cui tornano ad essere valorizzati anche i “doveri” dei singoli verso la collettività.
La politica deve quindi essere lungimirante, offrire sicurezza contro gli eventi geopolitici, sanitari o economici che i singoli non possono vedere o contrastare. Deve offrire giustizia ed equità sociale, deve creare un ambiente adatto allo sviluppo delle singole personalità, senza cadere nell’individualismo esasperato fatto solo di diritti e di nessun dovere.
Carlo Calenda: il progetto politico
Questo l’ambizioso progetto politico di Carlo Calenda è descritto nel suo ultimo libro, “La libertà che non libera – Riscoprire il valore del limite“, edito da La nave di Teseo. Si tratta della conclusione, più politica, dei due saggi precedenti Orizzonti Selvaggi e i Mostri, che è alla base dell’impegno politico di Calenda che ha fondato qualche mese fa un partito “Azione” e che si presenta ora alle elezioni politiche del 25 settembre insieme a Italia Viva di Matteo Renzi.
Un terzo polo basato su un’idea totalmente diversa da quella dei due poli tradizionali che peraltro hanno dato pessima prova di sé ogni volta che sono andati al Governo. Non a caso l’Italia è ferma da oltre vent’anni. Le coalizioni di destra e di sinistra sono state sempre un puro cartello elettorale. I loro governi non sono durati a lungo e quando pure sono riusciti a completare la legislatura, non hanno avuto la capacità di fare le riforme che davvero sarebbero state necessarie per mettere l’Italia nelle condizioni di affrontare le crisi mondiali o per cogliere le opportunità della globalizzazione.
Repubblicanesimo e liberalismo sociale
Calenda spiega nel libro – uscito peraltro prima della crisi di governo e del ricorso alle elezioni – il senso della sua proposta di un nuovo “repubblicanesimo”, di un liberalismo sociale, che rifiuta da un lato l’esasperato liberismo individualistico e dall’alto lo statalismo assistenziale.
Nel primo caso si è creata nei paesi occidentali una incertezza totale verso il futuro, una sfiducia verso la politica apparsa incapace di gestire così grandi trasformazioni, insomma una situazione di depressione ed immobilismo che si rivolge allo Stato per la soddisfazione di qualsiasi bisogno. Nasce così un eccesso di richieste che i poteri pubblici, anche quando appaiono propensi ad accettare ogni domanda di assistenza, non sono in grado di soddisfare. La stessa democrazia viene messa a rischio. La gente comincia a pensare che il nazionalismo e una buona dose di autoritarismo, possano essere la giusta ricetta per sconfiggere le paure, per affrontare i nemici interni ed esterni, con il necessario piglio, battendo “i pugni sul tavolo”.
Regimi autoritari vs democrazia
Non è vero che i regimi autoritari siano più efficienti di quelli democratici nella salvaguardia degli interessi di una comunità. L’ignobile aggressione di Putin all’Ucraina sta mettendo in luce l’impreparazione dei regimi dittatoriali, la loro corruzione, la necessità di compensare l’incapacità con la brutalità nei confronti sia dei propri cittadini che dei “presunti” nemici.
I tanti cittadini che nei paesi Occidentali, ed in particolare in Italia, si sono distaccati dalla politica, tanto che negli ultimi anni è molto diminuita la partecipazione al voto, si stanno forse rendendo conto che le scelte dei governanti influiscono (eccome!) sullo nostre vite quotidiane. E non solo per questa o quella provvidenza che può deliberare il Governo (riduzione delle tasse, anticipo del pensionamento, bonus vari) ma per quello che determina per le opportunità che ci vengono offerte, per la libertà di esprimersi, per la possibilità di andare avanti senza i vincoli di una cappa ideologica e burocratica. Cioè per i grandi temi che sembrano distanti, ma che invece hanno riflessi immediati sui singoli e sul modo di stare insieme in una società.
Gli slogan politici tradizionali e il bisogno di cambiare passo
L’offerta politica tradizionale batte sui soliti slogan: ridurre le tasse ed aumentare le spese. Ma questa ricetta che in pratica abbiamo adottato da diversi decenni non ha dato buoni risultati: l’economia si è bloccata, siamo cresciuti meno di tutti gli altri paesi europei; è degradata la burocrazia, la Giustizia non funziona, la scuola non forma i nostri giovani tanto che siamo diventati il paese più ignorante dell’Occidente.
Dobbiamo cambiare passo. Bisogna capire che non esiste solo il presente, ci vuole una nuova idea capace di ricreare la convenienza a far parte di una comunità verso la quale ciascuno deve sentire il dovere di fare qualcosa per poter beneficiare del progresso collettivo. Calenda cita Mazzini per riscoprire il valore dei doveri civici, per far capire che senza una coesione sociale basata su equità e giustizia l’intero paese non può progredire e i singoli cittadini dovranno patire per un susseguirsi di illusioni e di inganni da parte di politici rozzi e spregiudicati.