Isadora Duncan, avversa dalla fortuna nella vita privata, e tuttavia una grande artista che aprì la via alla danza moderna e che ebbe una forte influenza sul balletto e sul teatro di oggi. Si muoveva con grazia malinconica e con irresistibile intensità secondo il nuovo stile che aveva creato, così fluido, così diverso dalle rigide forme del balletto. Sentiva che il balletto d’allora distorceva la figura umana, e seppe influenzarlo per far accogliere i propri principi di movimento naturale ed espressivo. Il modo in cui muoveva le mani e le braccia e quello in cui attraversava di corsa il palcoscenico si adattavano bene ai suoi balletti.
Le piaceva far parlare di sé, anche a costo di scandalo, ma era sempre serissima nel lavoro
Nata a san Francisco nel 1878, ultima di quattro fratelli, Dora Angela Duncan ricordava la sua infanzia, padroni di casa reclamavano pigioni arretrate e precipitosi traslochi da una catapecchia a un’altra. Il padre aveva abbandonato la famiglia poco prima che lei nascesse, ma la madre teneva insieme la nidiata dando lezioni di pianoforte e lavorando a maglia guanti e sciarpe che i ragazzi andavano a vendere di porta in porta.
Dorita, come la chiamavano allora, cominciò ad improvvisare piccole danze sull’aria di composizioni romantiche, quando era appena capace di camminar. A dieci anni aveva già lasciato la scuola e cominciava a dare lezioni di ballo. Da adolescente era slanciata con lunghe gambe e una bellezza prorompente. Danzava in un giardino pensile di Chicago, quando conobbe l’impresario Augustin Daly, che le offrì una scrittura nella sua compagnia di repertorio a New York.
Di scarso successo come attrice, ben presto si lanciò in una serie di esibizioni di danza
Gli scandali non tardarono. Era quell’epoca in cui la parola “gamba” non veniva mai pronunciata nella buona società. Tuttavia ecco Isadora volteggiare sul palcoscenico con braccia, collo e gambe nudi, e appena qualche lembo di chiffon qua e là. Quaranta signore uscirono ,indignate, nel bel mezzo di una rappresentazione. Pochi artisti ebbero mai recensioni così velenose. Una concludeva con l’annuncio della partenza d’Isadora per Londra, “il che è triste, se si considera che, in questo momento, siamo in pace con l’Inghilterra”. Tuttavia Isadora affascinò Londra fin dall’inizio. La sua bellezza vibrante e la sua sensuale freschezza conquistarono la società londinese. Danzò in case private, e tre delle sue rappresentazioni furono patrocinate nientemeno che della principessa Elena, figlia della regina Vittoria. A Parigi l’accoglienza fu altrettanto entusiastica.
Lo scultore Augusto Rodin ne disegnò il ritratto e disse di lei:” Ha preso in prestito dalla natura quella forza che non può essere chiamata talento, ma che è genio”
Ma la sua caotica vita privata fu in stridente contrasto con il successo artistico. La sua tragedia era che non riusciva a conciliare l’amore e l’arte; non sapeva vivere senza l’uno o l’altro. A Budapest, nel 1902, un attore ungherese voleva sposarla. Dopo una relazione tempestosa, si convinse che l’uomo non era per lei. Conobbe poi il principe Ferdinando di Bulgaria che subito le offrì la sua villa italiana. Isadora accettò e i circoli di corte ne furono scandalizzati. Motivo ancor maggiore di scandalo fu il costume da bagno che indossava. In quei giorni le signore facevano il bagno di mare vestite pudicamente di nero, con gonne a mezza gamba, calze e scarpe nere. Isadora comparve con una tunica celeste che le arrivava appena sopra il ginocchio, scollata, con sottili spalline, senza calze né scarpe. Il principe era solito passeggiate lungo la costa balneare, con il binocolo da teatro puntato su Isadora, mormorando: “Ah, la Ducan! Splendida, meravigliosa!”.
Idolo d’Europa, ora la Duncan pretendeva e riceveva enormi compensi. Berlino l’acclamava come la “Sacra, divina Isadora!”
I suoi spettacoli ispirati all’antichità greca e al periodo rinascimentale, in cui esordiva scalza, a chiome sciolte ed avvolta in parei e veli fluttuanti, ebbero ben presto grande successo in tutta Europa.
Fu proprio qui che conobbe lo scenografo Gordon Craig, che doveva diventare padre del suo primo figlio, Deirdre (1906). A Monaco gli studenti staccarono i cavalli e tirarono la sua carrozza per le strade dopo aver applaudito lo spettacolo con travolgente entusiasmo. Invece di spendere il suo denaro in abiti, pellicce e gioielli, Isadora volle adottare 20 bambine povere e fondare in Germania una piccola scuola per insegnare loro le sue teorie sull’arte e sul movimento. Pensava di poter dare loro una vita migliore, in modo che in seguito potessero diffondere gioia e bellezza, come uno sprazzo di luce su questo triste pianeta.
Per quanto stravagante fosse, l’idea della scuola la ossessionò fino alla fine dei suoi giorni
Dovunque andasse e qualunque cosa facesse, la scuola era il suo principale interesse e cercava di raccogliere fondi a quello scopo. A quell’epoca Isidora andò a conquistare la Russia, culla del balletto classico ch’ella detestava. Nei suoi semplici costumi, sullo sfondo di semplici panneggi, danzò musiche di Gluck, Bethoven, Chopin. Le più famose ballerine russe, Anna Pavlova compresa, andarono a vederla. Un esperto autorevole di Sergei Diahilev in persona affermò che Isadora aveva dato uno scossone irreparabile al balletto classico della Russia Imperiale. Il Principe Peter Lieven, patrono del balletto, disse che lei era la prima ad esprimere nella danza il significato della musica, la prima a danzare la musica e non a danzare con l’accompagnamento della musica.
Al culmine del successo, Isadora conobbe Paris Singer uno degli eredi dei ricchissimi Singer, delle macchine da cucire. Benché fosse sposato e padre di cinque figli, Isadora ebbe da lui un figlio, Patrick
In quel momento aveva una splendida carriera, denaro per la scuola, due figli, la fama, poi giunse il 19 aprile 1913. I due figli di Isadora, di sette e due anni, andavano in automobile a Versailles con la loro bambinaia. A curva lungo la Senna, il motore della vettura si fermò. L’autista, senza tirare il freno a mano, scese a girare la manovella per riavviare il motore. L’auto senza guida dette un balzo in avanti e piombò sulla Senna, profonda in quel punto di 12 metri. Passarono diverse ore perché l’auto fosse ritrovata. Quella notte, dopo che i corpi di Deirdre e Patrick furono condotti allo studio di Isidora, centinaia di allievi delle Belle Arti coprirono di fiori bianchi i cespugli all’esterno dello studio. Al funerale Isadora continuava a ripeter. “ Niente lacrime, niente lacrime. Voglio essere così coraggiosa da rendere bella la morte, per confortare tutte le madri che hanno perduto i loro piccoli”.
Da allora la sua vita fu un continuo frenetico spostarsi da Parigi a New York, a Napoli, a Montevideo, a Buenos Aires, a San Francisco, ad Atene. Allo scoppio della prima guerra mondiale, la Marsigliese divenne il suo più grande trionfo. La danzò per la prima volta nel 1916 al Trocadéro a Parigi, mentre i cannoni tedeschi martellavano Verdun.
Per lo spettacolo Isadora era vestita completamente di rosso
La sua profonda emozione traspariva dai movimenti intensi e superbamente evocativi. Quando giunse la frase “Aux armes, citoyens!” il pubblico, commosso fino alle lacrime, si alzò in piedi e intonò il coro con fervore. Lasciando un seno scoperto sembrava la personificazione della Libertà. Tuttavia il riconoscimento che Isadora desiderava di più era quello dell’America, e questo non l’ebbe mai. Fece trasecolare Indianapolis, Louisville e Milwaukee.
Nel suo modo franco e ingenuo chiedeva: “Perché una parte del mio corpo dovrebbe essere più immorale di un’altra?”
In un’intervista a Boston affermò che avrebbe riferito danzare nuda piuttosto che pavoneggiarsi nel semi-abbigliamento provocante delle ballerine di fila. A un pubblico di Boston disse: “Voi qui, un tempo eravate selvaggi. Non lasciatevi addomesticare. Voi non sapete cos’è la bellezza”. Si lacerò la veste e indicò il proprio corpo dicendo: “Questa, questa è bellezza!”
Provocò altri furori quando nel 1922, sposò il poeta russo Sergei Esenin, di 17 anni più giovane di lei. Era uno dei più squisiti poeti del suo tempo, ma anche un supremo egoista e un bevitore accanito. Era stato idolatrato nella sua patria, l’Unione Sovietica, ma chi rifulgeva, ogni volta che i due comparivano insieme, era Isadora, e questo Esenin non lo sopportava. La gelosia verso di lei rasentava la paranoia, fino al punto di usare su di lei feroce violenza, derubarla, tradirla e infine tentando anche di ucciderla. Una sera, a Berlino, Isadora stava piangendo su un album di fotografie dei suoi figli scomparsi che sopraggiunse Esenin e, con furia da ubriaco, afferrò l’album, lo gettò nel fuoco e uscì. Infine all’Hotel Angleterre di Leningrado, nella stessa stanza in cui lui e isadora avevano trascorso la luna di miele, Esenin si impiccò. Ma prima si tagliò le vene di un polso e scrisse col sangue la sua ultima poesia: “Addio, amica mia, addio!” Tu sei ancora nel mio cuore, adorata.”
Benchè Isadora non fosse la sua unica vedova, la magistratura sovietica scoprì che era tuttavia l’erede legittima di Esenin. Per cinque volumi di versi le furono attribuiti 300.000 rubli in diritti d’autore. Era quasi in miseria, ma regalò il denaro alla madre e alle sorelle di lui.
Le ombre del crepuscolo scendevano ora su di lei
I capelli un tempo fiammeggianti erano striati di tintura rossiccia. Era tormentata dalla superstizione e ossessionata dall’idea che i merli fossero messaggeri di morte. Insisteva a dire di aver visto tre merli volteggiare sul soffitto della stanza dei suoi figli poco prima che annegassero.
Ma anche in quei giorni d’autunno del 1927, a Nizza, Isadora non perse mai il gusto della vita. Una sera aveva un appuntamento per una passeggiata dopo cena su una Bugatti sport. Nell’attesa aprì il suo grammofono, il disco scese era il successo del momento “Bye Bye Black-bird”. Stava danzando quando arrivò il suo accompagnatore. Prese il lungo scialle rosso e, con gesto caratteristico, se lo gettò intorno al collo lasciandolo cadere a terra da sopra una spalla. Salendo in auto salutò con la mano gli amici. “Arrivederci” gridò ridendo “Vado verso la Patria.”
Le sue ultime parole
La bassa vettura a due posti balzò in avanti, l’estremità dello scialle s’impiglio nei raggi d’una ruota posteriore e in un istante le spezzò il collo. Mentre lo scialle veniva reciso il suo corpo sollevato dalla macchina, il grammofono echeggiava metallico, attraverso l’acciottolato della strada: “Riponi ogni mia pena, ogni affanno, Me ne vado cantando pian piano…Addio, caro merlo, addio.”