Calde sere di luglio, rese ancora più torride dal Covid, dalla siccità, dalle tragedie in montagna, dalla guerra in Europa. Un mondo sconvolto e inimmaginabile per molti, se non per tutti, fino a pochi anni fa. A questo drammatico film di fantascienza vorrei aggiungere, sperando di non apparire frivola, i disagi dei viaggiatori in questi giorni: sciopero taxi, carenza di personale negli aeroporti, tempeste impreviste e imprevedibili. Insomma, viaggi da incubo. Cosa nuoce di più al turismo? A me personalmente sono costati un bel po’ di stress e il rischio di fare 20 chilometri a piedi, all’una del mattino, per tornare a casa dopo un volo di 45 minuti Olbia-Bologna. Ecco il racconto in diretta.
Un viaggio da incubo: da Olbia a Bologna, una corsa a ostacoli
Le cose sono andate così: lunedì 4 luglio alle 21,20 parte il nostro volo da Olbia con destino Bologna circa un’ora dopo. VoloTea ci informa per tempo dicendo che avremo un ritardo di 25 minuti sulla tabella di marcia. Arriviamo quindi in aeroporto alle 20,45, senza fretta, tanto abbiamo già fatto il check-in online e come bagaglio abbiamo solo i computer e una piccola borsa da donna, non ci resta che aspettare. Lo scalo di Olbia è pienissimo, la maggior parte delle persone non indossa la mascherina. Noi, per alzare la media, ne abbiamo due, una Fp2 sotto e una chirurgica sopra, non si sa mai.
Alle 21,55 stiamo ancora aspettando l’imbarco. Verso le 22,15 circa (non guardavamo costantemente l’orologio) finalmente saliamo e dieci minuti dopo decolliamo. Il pilota vola a tutto gas e intorno alle 23 siamo sopra Bologna. Qui, invece di atterrare, continuiamo a fare giri intorno alla città per almeno venti minuti. Piove e ci sono dei lampi (le previsioni non davano nulla di tutto questo) ma il problema, probabilmente, è che si sono altri aerei in coda. Una voce dal fondo azzarda: non ci devieranno verso Firenze?
Per fortuna no, alle 23,30 finalmente atterriamo e aspettiamo il via libera della hostess a scendere, ordinatamente una fila dietro l’altra.
Ma no, non accade nulla, portelloni chiusi. Il pilota ci avverte che manca l’energia a terra. Cosa vorrà dire? Boh. Dopo una decina di minuti arriva finalmente l’energia e in effetti l’aria condizionata va più forte, ma i portelloni restano chiusi. Siamo un bel po’ di gente, stipata in una scatoletta e molti tossiscono e si soffiano il naso. Mia nipote è tornata ieri l’altro da Catania, con tre ore di ritardo e ora ha il Covid. In quegli spazi angusti dell’aereo mi sembra di stare in una nursery per il coronavirus. Non ho più mascherine da infilarmi e ormai soffoco.
La voce del comandante ci avverte che ora non si trova personale per portarci la scaletta. Lo stanno cercando. Vedo una bella scala ferma, parcheggiata poco lontano da noi e sogno che qualche eroe si cali con una corda e ce la porti.
Passa altro tempo. Finalmente arriva la scaletta. Non vediamo l’ora di scendere, ma i portelloni restano chiusi.
Il pilota ha ancora qualcosa da dirci: ora la scaletta c’è, ma mancano gli autobus che ci devono portare all’aerostazione. O manca il personale, non ho capito.
Altro tempo, ci rimettiamo a leggere e sono stupita della calma dei passeggeri. Forse è rassegnazione.
Finalmente ci liberano. È mezzanotte e un quarto circa e insieme a tutti gli altri ci fiondiamo verso i taxi, non vediamo l’ora di arrivare a casa, la nostra è fuori città e dista circa 20 chilometri dall’aeroporto. Prudentemente avevamo prenotato un autista, ma poco prima della partenza ci ha chiamato per dirci che aveva il Covid e nessuno poteva sostituirlo. Avevamo pensato: che problema c’è? Lo sciopero dei taxi comincia domani.
Ora però ci accorgiamo che è già domani. Ed è scattato lo sciopero taxi.
Taxi, scatta lo sciopero selvaggio: tutti a piedi anche a 87 anni
I taxi bianchi sono tantissimi, tutti lì, in fila e non hanno alcuna intenzione di muoversi.
Appena scesi abbiamo incontrato una nostra amica che ha 87 anni, in gamba, ma stanchissima e anche lei non ha un trasporto fino a casa.
Chiediamo gentilmente ai tassisti se possono dare un passaggio almeno alla nostra amica: la risposta è “arrangiatevi, prendete l’autobus”, assai sgarbati. In lontananza vediamo un autobus stipato di gente, che si incammina verso la stazione dei treni. Ormai lo abbiamo perso e poi sia noi sia lei abitiamo lontani dalla stazione dei treni. In ogni caso non sappiamo quando passerà un altro autobus. La notte s’infittisce.
A questo punto Elvia va a cercare la figlia di una sua amica che potrebbe darle un passaggio e noi tentiamo di noleggiare una macchina. No auto a disposizione. Allora cominciamo a chiamare tutte le auto blu che conosciamo e che compaiono su internet, ma non nessuna è disponibile da qui a dopodomani. Svegliare amici e parenti a quest’ora è davvero impensabile. Che fare?
Taxi, un autista non se la sente: “Sciopero senza regole, effetto boomerang per Uber”
“Andiamo a piedi” propongo impavida. Sono almeno 20 chilometri di strade non proprio semplici, ma non vedo altre soluzioni. Lasciando l’aeroporto provo l’autostop, ma nessuno va nella nostra direzione. Quando siamo fuori dall’area vedo un taxi fermo, con l’abitacolo illuminato e l’autista che traffica con il suo telefonino. Non ho più speranze, ma ormai chiedo, chiedo, chiedo a tutti. “Lei sarebbe disponibile a portarci a casa?”.
Alza gli occhi perplesso, tace per qualche secondo e poi dice: “salite sù”. Sembra un miracolo. Mentre sfrecciamo con quest’anima buona (che rischia la faccia con i suoi colleghi) telefono alla nostra amica Elvia.
“Sei arrivata?”. Mi risponde in lacrime che no, è ancora lì. Non ha trovato la ragazza e non ha trovato nessuno disponibile a portare a casa una donna di 87 anni.
Non ci credo. Allora chiedo al nostro angelo custode se può fare qualcosa e lui sì, è disponibile, purché si diano appuntamento un po’ distante dal centro della protesta. Non lo fa per i soldi, lo fa perché pensa che uno sciopero non può essere così, che bisogna fissare dei paletti – dice – stabilire degli orari e garantire dei servizi, soprattutto alle persone anziane. Se poi l’obiettivo della categoria è tenere lontano Uber, questo sciopero avrà un bell’effetto boomerang sull’opinione pubblica. Se l’opinione dei cittadini conta ancora qualcosa…
Ecco, noi finalmente scendiamo. Non siamo ancora arrivati, perché abbiamo scordato la chiave del cancello e per rientrare a casa dobbiamo passare dalla campagna. Un paio di chilometri a piedi ormai non sono nulla, è piovuto ed è persino fresco e poi il Comune di Bologna ha deciso di assumere spazzini e di restituire al lavoro di pulizia delle strade e al nome di chi lo fa la dignità che merita. Questo mi dà speranza. Forse non c’entra niente con la mia storia, ma forse sì. Forse tornare un po’ indietro per andare avanti non è una brutta cosa.
Chiamo Elvia, piange di felicità questa volta. È arrivata prima di noi.