L’inflazione non è il male assoluto: anzi, per chi è indebitato rappresenta addirittura una buona notizia, perché l’aumento dei prezzi erode il valore del debito. Il discorso vale anche per lo Stato italiano, fra i più indebitati al mondo: l’inflazione fa calare il valore reale dei nostri titoli di Stato non indicizzati e quindi alleggerisce il peso del debito pubblico.
Inflazione e conti pubblici: con il tempo sale anche la spesa per interessi
Questo meccanismo, però, non porta benefici eterni all’Erario. Con il tempo, mentre il valore reale dei bond scende, il loro rendimento reale aumenta per riflettere l’avanzata dei prezzi. In altri termini, gli investitori richiedono rendimenti nominali più alti sulla base delle nuove aspettative di inflazione, perciò lo Stato è costretto a rinnovare i titoli in scadenza o a emettere nuovo debito a tassi di interesse più elevati.
Ma sul breve periodo il rapporto debito/Pil si riduce
Ciò non toglie che, nel breve periodo, la corsa dei prezzi regali allo Stato un po’ di sollievo sul versante del debito, perché “l’aumento della spesa per interessi è lieve – si legge in un articolo dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani, guidato da Carlo Cottarelli – e non compensa l’erosione del valore reale dei titoli di stato, ossia la tassa da inflazione: l’effetto netto riduce il rapporto debito/Pil”.
I titoli indicizzati pesano solo per il 10,9% del debito
Bisogna poi considerare che lo Stato non ottiene alcun vantaggio sui cosiddetti Btp€i, i titoli di Stato che prevedono la rivalutazione indicizzata all’inflazione del capitale e delle cedole. A fine 2021, tuttavia, i buoni del Tesoro indicizzati valevano solo il 10,9% del debito pubblico italiano.
Nel 2022 atteso un effetto netto positivo di 35 miliardi
Rispetto alle previsioni contenute nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza pubblicata lo scorso settembre, “oggi il tasso di inflazione previsto (variazione del deflatore del Pil) è aumentato di 1,8 punti percentuali e i tassi di interesse di 2,5 percentuali”, prosegue l’articolo. Sulla base di questi nuovi dati, quindi, l’Osservatorio Cpi stima “una tassa di inflazione più alta di 43 miliardi”, il 2,3% del Pil, “a fronte di un aumento della spesa per interessi di circa 8 miliardi”, lo 0,4% del Pil, “nell’arco di dodici mesi”. Di conseguenza, gli analisti prevedono un effetto netto positivo pari a circa 35 miliardi (l’1,9% del Pil) sul rapporto debito/Pil di quest’anno.
Una manna che però, come detto, non è destinata a durare: “Col passare del tempo e col progressivo rinnovo dei titoli a tassi di interesse che riflettono a pieno (o anche più) l’aumento dell’inflazione – conclude l’Osservatorio – l’effetto netto della tassa di inflazione su rapporto debito/Pil tende a esaurirsi”.