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Donna è una parola scomparsa nel linguaggio degli americani che parlano di aborto: ecco perchè

In un articolo di Michael Powell apparso sul New York Times e qui riprodotto in versione italiana si evidenziano gli abissi linguistici nella discussione sull’aborto in America che, sotto la spinta degli attivisti transgender, sta adottando un linguaggio neutro dal punto di vista del genere

Donna è una parola scomparsa nel linguaggio degli americani che parlano di aborto: ecco perchè

Pubblichiamo in traduzione italiana questo articolo di Michael Powell apparso sul numero di 8 giugno del New York Times. Discute un aspetto precipuamente americano, che però inizia a percolare anche nel dibattito europeo sui temi del genere, della sessualità e dell’aborto. Negli Stati Uniti sta succedendo che nel giro di pochi anni la parola “donna” è quasi totalmente scomparsa dai discorsi sull’aborto e sulla gravidanza delle organizzazioni mediche e degli attivisti più giovani di orientamento progressiste. Però l’adozione di un linguaggio neutrale e inclusivo crea degli abissi linguistici che rischiano di danneggiare la causa stessa dei diritti civili e delle donne e anche delle persone non cisgender.

Dove sono le donne?

L’American Civil Liberties Union (ACLU), la cui attività in difesa dei diritti civili ha più di mezzo secolo di vita, ha recentemente twittato il suo allarme sulla precarietà nel quale si è venuto a trovare l’aborto legale. Ha scritto: “Il divieto di aborto danneggia in modo spropositato le persone di colore, la comunità LGBTQ, gli immigrati, i giovani, chi lavora per sbarcare il lunario, le persone con disabilità. Proteggere l’accesso all’aborto è una questione urgente di giustizia economica e razziale”.

Questo tweet elenca tante cose e tante persone, eppure ha trascurato di menzionare il gruppo demografico più coinvolto: le donne. Non si è trattato di una svista, né della particolare coloritura del linguaggio favorito dall’ACLU. Il linguaggio sta cambiando rapidamente di fronte agli eventi che possono innescarsi se la Corte Suprema, come sembra, rovescerà la garanzia costituzionale al diritto all’aborto.

I progressisti si stanno preparando di dare battaglia su tutti i fronti e mettersi alla testa del movimento di opposizione. Ed è successo che la parola “donna” è scomparsa quasi del tutto nei discorsi su aborto e gravidanza portati avanti da organizzazioni come il Planned Parenthood, il NARAL Pro-Choice America, l’American Medical Association, come pure dai dipartimenti sanitari delle città e degli Stati e soprattutto dagli attivisti più giovani.

Sotto la spinta degli attivisti transgender, le organizzazioni mediche, pubbliche e quelle progressiste hanno adottato un linguaggio neutro dal punto di vista del genere, che evita di fare distinzioni tra donne e uomini transgender, così come tra coloro che rifiutano del tutto questo tipo di identità.

Verso un linguaggio neutrale

La velocità del cambiamento è evidente. Nel 2020, il NARAL ha pubblicato una guida per gli attivisti sull’aborto che sottolineava la necessità di parlare di “scelta della donna”. Due anni dopo, la stessa guida sottolineava la necessità di passare a un “linguaggio neutro rispetto al genere”.

L’anno scorso, il direttore di “The Lancet”, una rivista medica britannica, si è scusato per una copertina che faceva riferimento a “corpi con la vagina” (bodies with vagina) piuttosto che a donne. Oggi, si parla di “persone in stato di gravidanza” e “persone partorienti“, non più di “donne incinte” o “donne partorienti”.

I Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie hanno una sezione dedicata alle “cure per le persone che allattano al seno”, il governatore di New York ha emanato, durante il Covid, una guida per i partner che accompagnano le “persone partorienti” e i dipartimenti sanitari delle città e di alcuni Stati offrono alle “persone in stato di gravidanza” consigli sull'”allattamento al seno”.

La Cleveland Clinic, un noto ospedale no-profit, si è posto questa domanda sul suo sito web: “Chi ha una vagina?”. La risposta è: “Sono le persone AFAB (Assigned Female At Birth, femmina assegnata alla nascita) ad avere una vagina”. Il sito web dell’American Cancer Society raccomanda lo screening del cancro per “le persone con la cervice uterina”.

Questo riflette il desiderio dei medici di trovare un linguaggio che non escluda nessuno e dia conforto alle persone che partoriscono identificandosi come non binarie o transgender. Nessuna agenzia sta raccogliendo dati sulle gravidanze transgender e non-binary, ma l’Australia ha riferito che circa lo 0,1% di tutte le nascite riguarda uomini transgender.

Voci femministe dissenzienti

Michael Powell del New York Times ha iniziato a raccogliere varie opinioni di attiviste del movimento femminista che iniziano a mostrare segni di insofferenza nei confronti di questa deriva del linguaggio inclusivo che inizia a confondere ruoli e obiettivi.

Ti-Grace Atkinson, di Cambridge Mass, si reputa una femminista radicale e lo è stata per la maggior parte dei suoi 83 anni. Ha lasciato la National Organization for Women negli anni ’60 quando questa si è rifiutata di spingere in modo deciso la lotta per il diritto all’aborto. Adesso è stanca delle battaglie sul genere e sul linguaggio, che, a suo dire, sono sostenute da attivisti transgender e da progressisti impazienti di confrontarsi con i politici di destra.

Si tratta di un approccio che lei vede molto distante ed estraneo ai bisogni urgenti delle donne, che rappresentano il 50,8% della popolazione. È convinta che: “Deve esserci un cambiamento concreto. Togliere il diritto all’aborto renderà più dura la battaglia. Si tratta di donne e dei nostri diritti, non è un gioco linguistico”.

Sara Dahlen – della redazione del British Medical Journal –, menzionando le pressioni esercitate sui medici della Gran Bretagna, dove le questioni di genere non sono meno impellenti, per usare termini come “latte umano” al posto di “latte materno”, mette in guardia sul rischio di perdere un pubblico più vasto concentrandosi su tali aspetti tutto sommato secondari.

“Se l’obiettivo è quello di promuovere il rispetto per ogni persona, ne consegue che non ci si può attendere che le pazienti di sesso femminile le quali si considerano semplicemente donne, “si adeguino passivamente a un linguaggio in cui non esistono”, ha scritto l’autrice, criticando i sostenitori del linguaggio neutrale rispetto al genere.

Il linguaggio è politica

Il passaggio a un linguaggio neutro nelle discussioni di genere non è una cosa secondaria. Ma è parte integrante della battaglia per certi diritti. Louise Melling, vicedirettore dell’ACLU, osserva che non molto tempo fa i pronomi maschili e termini come “uomo” erano considerati sufficienti per includere tutte le donne. Il linguaggio è uno strumento potente e contribuisce anche a determinare la coscienza politica.

In una intervista la Melling ha detto: “Il linguaggio si evolve e può escludere o includere. Per me è molto importante parlare di persone in stato di gravidanza. È la verità: non solo le donne partoriscono, non solo le donne cercano l’aborto”.

Il NARAL ha enfatizzato questo punto in un tweet dell’anno scorso in cui difendeva l’uso dell’espressione “persone che partoriscono”. Ha detto: “Usiamo un linguaggio neutro rispetto al genere quando parliamo di gravidanza, perché non sono solo le donne cisgender a poter rimanere incinte e partorire“.

Femministe come la Atkinson e la scrittrice J.K. Rowling hanno dichiarato apertamente che le donne hanno diritto a spazi specifici – spogliatoi, ripari per abusi domestici, prigioni – separati dagli uomini e dalle donne transgender.

Queste e altre critiche puntuali hanno fatto imbufalire gli attivisti transgender e i loro sostenitori, che le hanno bollate come transfobiche. Alcuni contestano anche il linguaggio del movimento per il diritto all’aborto, che parla di “guerra alle donne”. “È davvero difficile”, ha scritto un’attivista transgender, “essere presente in un movimento che è così incredibilmente cisgender”.

Il mondo della politica

A New York, il partito progressista Working Families Party e i Socialisti Democratici d’America sono una potenza politica. Quando “Politico” ha ottenuto la draft opinion della Corte Suprema per annullare la sentenza Roe v. Wade, che prevede un diritto costituzionale all’aborto negli Stati Uniti, questi partiti hanno lanciato denunce eclatanti, in un linguaggio studiatamente neutro dal punto di vista del genere.

Il mondo della politica democratica mainstream dà voce a questi sentimenti con un linguaggio più tradizionale, rivolto agli elettori piuttosto che agli attivisti. L’anno scorso l’amministrazione Biden ha pubblicato alcuni documenti di bilancio che risentivano del discorso di genere dei progressisti e si riferivano a “persone che partoriscono”. I conservatori si sono scatenati.

Ma questo mese, quando è trapelata la notizia di una potenziale svolta della Corte Suprema, il Presidente Biden è stato inequivocabile e concreto nelle sue scelte linguistiche. “Credo che il diritto di scelta della donna sia fondamentale”, ha detto. “L’equità e la stabilità della nostra società richiedono che non venga annullato”.

Alcuni rappresentanti del Congresso orientati a sinistra hanno adottato il linguaggio del movimento. L’anno scorso la rappresentante Cori Bush, democratica del Missouri, ha parlato di “persone che partoriscono”.

Ma è molto più comune sentire senatori e rappresentanti del Congresso, sia uomini che donne, riferirsi alle donne. “Non possiamo tornare ai tempi in cui le donne dovevano rischiare la vita per interrompere una gravidanza indesiderata”, ha dichiarato il senatore Bernie Sanders, socialista democratico che rappresenta il Vermont.

La parola “donna”

La professoressa Laurel Elder dell’Hartwick College e il professor Steven Greene della North Carolina State University hanno studiato la crescita dell’identità femminista in base all’età e all’istruzione. Molte giovani attiviste, ha osservato la professoressa Elder, rifiutano del tutto le distinzioni tra uomini e donne. “Ma – ha precisato – la realtà è che la società in generale non è ancora arrivata a questo punto”.

Il professor Greene ha messo in discussione l’avvedutezza degli attivisti nell’insistere sull’abbandono da parte dei democratici della loro identità sessuale di base. Perché non insistere, ad esempio, sul fatto che le donne e gli uomini transgender sono anch’essi in difficoltà quando si tratta di aborto?

“Gli attivisti stanno adottando simboli e un linguaggio che sono sgraditi non solo alla destra, ma anche alle persone di centro e persino ai liberali”, ha osservato. Per questo motivo dice di non essere rimasto sorpreso quando la maggior parte dei politici democratici ha rifiutato adottare linguaggio delle organizzazioni progressiste. “Non si diventa candidati alla presidenza o speaker della Camera se si ignora ciò che funziona in politica”, ha detto. “I democratici non dovrebbero avere paura di usare la parola ‘donne'”.

Da Michael Powell, A Vanishing Word in Abortion Debate: ‘Women’, “The New York Times”, 8 giugno 2022.

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