I rifiuti alimentari, per i quali l’Italia ha messo in campo decine di progetti d’economia circolare, possono diventare imballaggi biodegradabili. Se in casa si avesse più cura di ciò che viene acquistato e non consumato e i Comuni, a loro volta, fossero più attivi a trasformarlo in ricchezza, avremmo meno illegalità e più rendita. Del resto, le discussioni sulla gestione dei rifiuti non hanno mai fine. Dal Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale dell’Università di Pisa arriva una ricerca sui materiali sostenibili ricavati proprio dagli scarti agroalimentari. Il progetto europeo Ecofunco ha dato il via a una sperimentazione che potrà modificare molti processi industriali del packaging .
Dai rifiuti, infatti, vengono estratte molecole essenziali per i rivestimenti dei substrati di carta-cartone e plastica. Ben 17 partner europei, sia di ricerca sia industriali, si ritroveranno a Pisa il 17 e il 18 giugno nella conferenza internazionale di Chimica Verde e imballaggi sostenibili. Lì spiegheranno perché e per come, a partire da casa propria, si avvia una nuova fase di gestione degli imballaggi. Intanto, fanno sapere che gli scarti domestici di frutta e verdura sono i privilegiati rispetto agli altri per avere buone rese negli imballaggi. Poi, se pensiamo che quasi il 60% della plastica non riciclabile viene da imballaggi alimentari, ci rendiamo conto del valore economico e commerciale di questa piccola nuova rivoluzione.
Gli scarti alimentari avviano una rivoluzione negli imballaggi
Ecofinco ha messo a punto gli strumenti per una economia circolare nel monouso. Dà nuova vita agli scarti agro-alimentari, da impiegare per avere materiali sostenibili che dovranno sostituire la plastica non biodegradabile. Le difficoltà nel riciclo dei packaging per alimenti, di contenitori e posate monouso e di prodotti per la cura della persona derivano sia dall’uso di materiali non sostenibili sia dalla loro composizione, spiega Patrizia Cinelli, coordinatrice di Ecofunco.
Dalla buccia del pomodoro e dal melone si estrae la cutina, le proteine da scarti dei legumi, chitina e chitosano dall’esoscheletro dei crostacei. Nessuno ci aveva mai pensato? A livello industriale nell’agroalimentare il 70% della plastica adoperata non viene riciclata ed è una fonte di guai e sperperi economici. Purtroppo quella plastica è dispersa nel suolo e nel mare e le campagne per bloccare lo scempio non bastano mai.
L’Università Pisa è avanti anche con altri progetti per contenere la diffusione incontrollata della plastica, ma il punto sociale è che bisogna puntare solo sulle confezioni biodegradabili. E le speranze dei ricercatori (e dell’Europa che li finanzia) sono tutte nelle mani delle aziende affinché producano su vasta scala packaging alternativo.