Si è chiusa una stagione ben precisa della politica monetaria europea. E di conseguenza il debito italiano ritorna a “ballare”. L’annuncio della BCE di alzare i tassi di interesse, atteso da tempo a fronte di un’inflazione troppo alta e persistente, ha trasversalmente scosso i mercati finanziari. L’impatto dell’aumento dei tassi nell’eurozona non sarà uguale evidentemente per tutti. A differenza di altri, il debito sovrano italiano, con la sua taglia di oltre 2.740 miliardi di euro, deve essere maneggiato con estrema cura, finanziaria e soprattutto politica. L’economista della Cattolica Massimo Bordignon è uno dei massimi esperti della struttura e della formazione del nostro debito pubblico. Con il collega Gilberto Turati ha appena pubblicato il libro “Debito pubblico. Come ci siamo arrivati e come sopravvivergli” (ed. Vita e Pensiero).
Professor Bordignon, subito dopo l’annuncio della BCE i buoni del Tesoro sono andati pesantemente sotto pressione. Il debito ritorna un grande problema?
«Nell’immediato direi di no, forse anche per il 2023 non si avranno particolari criticità. I mercati in parte avevano già scontato l’annuncio della BCE. Un’inflazione così elevata e non anticipata aiuta i grandi debitori. Gran parte dello stock del debito italiano non è indicizzato. Con l’inflazione aumentano anche le entrate fiscali e il rapporto debito/Pil tende a migliorare».
Se dopo l’estate dovesse rallentarsi fortemente la crescita economica?
«Le previsioni sulla crescita sono ancora positive, quest’anno dovremmo crescere più del 2% e anche nel 2023, a meno di sconquassi in tema di energia e blocco del gas russo, ci sarà un segno positivo. Ci sono segnali buoni dal turismo e dalla propensione alla spesa dopo due anni di consumi in parte rimandati per la pandemia. Poi c’è la messa a terra del Pnrr».
Rispetto al passato, una stagione di inflazione persistente che effetti potrebbe avere nel medio termine sui nostri conti pubblici?
«Abbiamo circa 2.700 miliardi di debito pubblico, con una durata media di 7-7.5 anni. Ogni anno scadono circa 350-400 miliardi di titoli, solo sul nuovo debito si incorpora l’effetto dell’aumento dei tassi. Sullo stock residuo invece l’inflazione produce un effetto positivo».
La BCE ha comunicato anche una sorta di rallentamento significativo nell’acquisto di titoli sovrani. I mercati hanno scontato anche questo cambio di strategia?
«La BCE a partire dal 2015, con le politiche di rilassamento monetario e poi con la pandemia, ha comprato quasi il 30% del debito italiano. Fino a che i titoli italiani rimangono nel portafoglio della BCE non ci sono effetti, anzi su quel debito non paghiamo neppure interessi. E la BCE li terrà nel suo bilancio a lungo. Il problema è un altro, se lo spread dovesse tornare a salire vertiginosamente, che tipo di intervento sarebbe disposta a mettere in campo la BCE?».
Quindi dopo le elezioni del 2023 si potrebbe tornare a ballare?
«Le BCE potrebbe limitarsi a comprare il debito italiano in sostituzione di quello in scadenza nel suo portafoglio. Potrebbe non bastare».
Oltre all’azione di Francoforte, la sostenibilità del nostro debito sovrano è legata alla fiducia complessiva sul sistema Italia. Che è un dato immateriale.
«Un nuovo patto fiscale, basato su un nostro impegno credibile a ridurre gradualmente il rapporto debito su Pil, potrebbe essere la soluzione. In questo quadro bisogna anche rispettare il piano di riforme concordato con Bruxelles per utilizzare i fondi del Pnrr».
Che garanzia serve per dimostrare di poter gestire questo piano di riforme? Il governo Draghi ha un orizzonte di pochi mesi.
«E’ chiaro che la caratura istituzionale del governo Draghi ha garantito una fiducia molto ampia sugli impegni presi dall’Italia. Tra un anno che garanzie ci saranno?».
Ormai votano anche i mercati finanziari.
«Le paure sulla tenuta del debito italiano sono anche collegate all’instabilità del nostro quadro politico. Proviamo ad immaginarci un futuro dove le forze politiche al governo ritornano a contestare le regole europee, la moneta unica e i piani del Pnrr. Lei non si spaventerebbe?».
Gli economisti classici da Monti a Bordignon vedono solo l’aumento del debito ma non essendo piu economisti industriali validi ,non sanno far spingere il PIL industriale troppo basso oggi meno del 15% per farlo raddoppiare al 30%.Sono 400 miliardi ogni anno di PIL additivo passando da fossili a pompaggi e chimica verde.Cioe un Pil annuo sui 3500 miliardi.