C’è stata un po’ in tutto il mondo, ma in particolare nel nostro paese, una incredibile cecità dei politici e di larga parte della pubblica opinione sulle prospettive energetiche.
Basti pensare che, nel novembre dello scorso anno, alla conferenza dell’ONU a Glasgow, si è discusso di come bandire i combustibili fossili, compreso il gas, per ridurre o azzerare le emissioni di CO2. Ancora a gennaio, la UE ha faticato non poco per inserire nella tassonomia (cioè nelle indicazioni-guida per la transizione ecologica energetica) il gas e il nucleare sia pure considerandoli come sistemi temporanei, utili per facilitare il primo passo relativo al superamento del carbone e del petrolio.
Improvvisamente invece il mercato, fin dalla metà dello scorso anno, e poi la drammatica invasione russa dell’Ucraina, ci hanno posto di fronte alla scarsità del gas e in parte del petrolio, con i prezzi che sono schizzati alle stelle, fino ad oltre 10 volte quelli di prima della crisi, per poi stabilizzarsi su quattro-cinque volte quelli di inizio 2021.
E’ chiaro che dobbiamo ripensare la nostra strategia energetica. E questo vale soprattutto per l’Italia, unico paese, tra quelli più sviluppati, ad aver bandito il nucleare dal suo mix energetico, salvo però dover comperare circa il 15% del proprio fabbisogno elettrico dai paesi vicini che lo producono nelle centrali nucleari.
Umberto Minopoli, esperto di problemi energetici e presidente dell’Associazione Italiana Nucleare, interviene nel dibattito con un agile volume Edito da Guerini e Associati, intitolato “Nucleare, ritorno al futuro – L’ energia a cui l’Italia non può rinunciare” in cui prende di petto i luoghi comuni e le ipocrisie che hanno distrutto un settore industriale in cui, negli anni 60 e 70 del secolo scorso, l’Italia deteneva un primato, e hanno costretto il nostro sistema produttivo e i cittadini a pagare l’energia elettrica un buon 30% in più rispetto ai nostri vicini d’oltralpe.
Quando si parla di energia, la prima cosa da capire è che non può esserci crescita economica senza la disponibilità di energia in abbondanza e a buon mercato. In secondo luogo bisogna essere consapevoli che se vogliamo veramente raggiungere gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione, che le UE si è data per il 2055, non ci basteranno le rinnovabili, o l’idrogeno, oppure i sistemi di cattura della CO2, ci vuole una produzione di energia elettrica stabile e a zero emissioni di CO2, come appunto è il nucleare.
Minopoli ricorda che, nella Unione Europea, l’elettricità prodotta dalle centrali nucleari è già oggi il 28% del totale e deve per forza crescere, anche considerando che il fabbisogno di elettricità aumenterà molto più di altre fonti energetiche, in quanto dovrà sostituire gas e petrolio. Oggi nel mondo ci sono 441 centrali in funzione e ben 54 in costruzione. Recentemente la Finlandia ha messo in esercizio una nuova centrale che le ha permesso di non soffrire per il blocco del gas russo decretato da Putin.
Dopo aver ripercorso la triste storia italiana dell’abbandono del nucleare con i due referendum del 1987 e 2011, mettendo in risalto la scarsa lungimiranza dei politici italiani, mossi da considerazioni demagogiche di breve periodo quando non da interessi inconfessabili, Minopoli entra nel cuore del problema, confutando le obiezioni più frequenti mosse alla costruzione delle centrali. Infatti molti continuano a sostenere che il nucleare non è conveniente per gli alti costi di costruzione, per i rischi che errori umani possano provocare una catastrofe e infine per il problema dello stoccaggio delle scorie.
È semplicemente vergognoso sostenere che il nostro paese ha dovuto rinunciare al nucleare a causa delle caratteristiche “inaffidabili” dei suoi cittadini che sarebbero – cosa non vera – incapaci di gestire una tecnologia complessa, rigorosa e difficile come questa. Già oggi, le centrali a fissione (la fusione non sarà disponibile prima del 2050) di terza generazione sono sicure e peraltro si stanno mettendo a punto quelle di piccola taglia che presentano ulteriori vantaggi anche dal punto di vista dei costi e dei tempi di realizzazione.
La cattiva informazione genera paure, spesso sfruttate dai populisti di ogni colore per i loro fini politici. L’agile volume di Minopoli confuta tutti i luoghi comuni, offre dati e considerazioni di grande interesse, fugando anche il pregiudizio sullo stoccaggio delle scorie. Va letto, dunque: anche chi volesse resiste sulle barricate del NO, dovrebbe quantomeno sforzarsi di presentare argomentazioni serie e non fare appello solo alle immediate emozioni della gente. D’altra parte se tutti i paesi sviluppati del mondo hanno una quota di produzione elettrica fatta con centrali nucleari, perché l’Italia dovrebbe essere diversa? Più furbi o più sciocchi?