Parlare di recessione in Cina, il Drago che ci ha abituato a tassi di crescita elevati, spesso a doppia cifra, è un po’ come parlare di neve alle Hawaii. Eppure i segnali di una discesa profonda dell’economia emergono come macigni nel giorno del Labour day, specie nell’atmosfera surreale delle strade a 7-8 corsie di Shanghai. Deserte di traffico per il lockdown.
La Cina frena la crescita economica: in aprile brusco rallentamento
Gli indici economici hanno confermato per aprile una nuova, brusca frenata sia dell’industria che, soprattutto, dei servizi, entrambi sotto i livelli del febbraio 2020, data ufficiale della scoperta del Covid-19. E dai numeri delle statistiche emergono segnali ancor più inquietanti: la produzione di cemento è scesa del 40% rispetto ad un anno fa, le vendite delle macchine movimento terra per l’edilizia sono crollate del 61%. Pagano un alto prezzo pure gli smartphone, il 18% in meno di vendite.
La Cina frena: colpisce il calo dell’occupazione
Ma le statistiche non rendono giustizia al disagio che, qua e là, emerge sotto la vernice di una società votata al consenso. Non sono poche le aziende che, come spiega il titolare della TaoTao Vehicles, hanno ridotto l’attività a soli quattro giorni alla settimana (con un taglio dei salari di un quinto). E secondo le stime dell’agenzia del lavoro basate su 31 città, la disoccupazione è oggi superiore al picco registrato dopo la quarantena imposta a Wuhan. In particolare, colpisce il calo dell’occupazione giovanile: i senza lavoro rappresentano, secondo i dati ufficiali, il 16 % della popolazione, un numero che colpisce perché si riferisce ad una generazione ancora segnata dalla politica del figlio unico.
E potrebbe peggiorare dopo l’estate, quando arriveranno sul mercato del lavoro più di dieci milioni di nuovi diplomati, record assoluto che, secondo l’osservatorio dell’Università Renmin di Pechino, però faranno fatica a trovare un’occupazione adeguata in un quadro segnato da pandemia e lockdown in cui almeno 200 milioni di persone non sono rientrate al lavoro nelle metropoli dopo le vacanze di febbraio. E merita attenzione la storia del signor Du, riportata dai giornali. Il nostro Du, agente immobiliare di Guangzhou sotto pseudonimo, confessa che sta cercando di cambiare mestiere dallo scorso novembre. Invano. Lui, che ha lavorato per Evergrande e gli altri colossi del mattone, spiega che non si vende nemmeno una cantina: un po’ per sfiducia, molto perché la classe media non ha più quattrini.
Sarà recessione? Forse non in Cina ma in Occidente sale il rischio
Di qui il rischio recessione, senz’altro esagerato per un Paese che, come la Cina, dispone di molti mezzi per compensare il calo delle attività con operazioni di vario tipo e che comunque ha alle spalle un trimestre da +5,5%.
Nomura, che calcola che i lockdown stanno interessando il 40% circa dell’apparato produttivo del Paese, riduce la crescita del pil al 3,9%. Altri sono più severi: la crescita “vera”, secondo Craig Botham di Pantheon Macroeconomics non ha superato il 2,5 nei primo trimestre e si avvia ad uno striminzito +1,3%. Ma il pericolo è assai più reale per il resto del pianeta che, per poco meno di un quarto circa del suo giro d’affari, conta sull’economia del Drago.
Vale per gli Stati Uniti, come dimostra il calo del Pil nel primo trimestre. Il calo degli acquisti cinesi ha obbligato Texas Instruments ha ridurre gli investimenti per il secondo trimestre di fila mentre Ford ha accusato un calo del fatturato cinese del 20% circa. Vale per la Germania, di cui Pechino è il primo cliente ma anche per le economie emergenti, sia quelle legate al rame ed al ferro, che i Paesi petroliferi: nonostante le prossime sanzioni europee, il prezzo del Brent torna a scivolare attorno ai 100 dollari.
Il letargo del Drago e la scure sui contagi Covid
Ma quanto potrà durare il letargo del Drago indotto in parte dalle decisioni di Xi JingPing, deciso a stroncare con ogni mezzo il contagio prima del Congresso che in ottobre dovrà incoronarlo per la terza volta segretario del Partito? Almeno per ora non si vedono segnali di cambiamento. Xi insiste nella politica della “stabilità”, a suo avviso la più efficace per assicurare la leadership cinese nel XXI secolo. E, come conferma la recente riunione con le grandi banche (non solo cinesi) si preoccupa di contrastare le eventuali sanzioni Usa contro il Celeste Impero nel caso di conflitto con Washington. Nel frattempo le misure contro le sviluppo della tecnologia ma anche le briglie ai videogiochi ed all’espansione dell’educazione privata hanno provocato una vera e propria voragine nelle Borse (1.700 miliardi in meno).
Di fronte a questi numeri è probabile che Pechino si accinga a lanciare una politica più espansiva. Ma, per ora, si è visto poco. La Banca centrale ha sì tagliato le riserve obbligatorie, però non ha toccato i tassi, preoccupata dal calo dello yuan e dalla paura di fuga dei capitali.