Dopo settimane di paura del peggio, è andata molto meglio del previsto. Macron ha avuto la seconda più forte maggioranza per la rielezione di un Presidente (cosa non molto frequente nella V Repubblica). In Europa e sul piano internazionale ne esce sicuramente molto rafforzato. È stato scritto che il risultato è una sconfitta per i populisti e sovranisti in Europa. È vero nel senso che una vittoria di Marine Le Pen li avrebbe enormemente rafforzati. Tuttavia, la caratteristica dei nazionalismi è di essere (come avrebbe detto Tolstoy) ciascuno forte e pericoloso a modo suo; ognuno mosso da obiettivi determinati dallo specifico terreno in cui opera. I populisti devono quindi essere sconfitti ciascuno a casa propria.
Il compito più difficile: promuovere l’unità della Ue di fronte a Putin
Macron ha ora la possibilità di dare un colpo di acceleratore alle tre priorità europee: un nuovo programma d’investimenti finanziato in comune, organizzare l’uscita dell’Europa dalla dipendenza dal gas russo senza compromettere la transizione climatica e promuovere una difesa e politica estera europee alla luce della guerra in Ucraina. I tre obiettivi sono legati fra loro, ma il terzo è il più complicato perché implica dare un senso a quella “autonomia strategica” che è la linea guida del suo europeismo.
I primi due mesi di guerra hanno visto non solo un’inaspettata coesione europea, ma anche una rinata unità transatlantica in seno alla NATO. Questi due elementi dell’unità dell’occidente sono del resto lati della stessa medaglia. Macron avrà quindi il compito non facilissimo per un Presidente francese, di promuovere l’unità dell’Ue di fronte a Putin tenendo conto da un lato della maggioranza di paesi che non vogliono compromettere la solidarietà atlantica, dall’altro dell’obiettivo prioritario di accelerare l’uscita della Germania dalla posizione di compiacenza e di diniego in cui è vissuta finora. Lo stesso è vero sul piano economico ed energetico: l’autonomia rischia sempre di trasformarsi in protezionismo. Come ha efficacemente scritto Gideon Rachman sul Financial Times, Macron avrà bisogno di due qualità che gli sono finora mancate: la pazienza e l’empatia.
Il principale banco di prova sarà però la politica interna
Il buon risultato elettorale non deve mascherare alcuni segnali inquietanti. Macron non è popolare. Il voto in suo favore è stato almeno per la metà motivato dalla volontà di sbarrare la strada all’estrema destra: un riflesso “repubblicano” peraltro meno forte che in passato. La Francia è attraversata da fratture politiche e sociali che non possono essere trascurate. Contrariamente a una facile vulgata esse non riflettono le tradizionali disuguaglianze sociali; la Francia è uno dei paesi più prosperi, meno disuguali e con i migliori servizi sociali del continente. Riflettono invece problemi identitari legati a un’immigrazione mal integrata e poi disuguaglianze territoriali e generazionali.
Le città hanno votato per Macron, le campagne per Le Pen. I giovani hanno votato in massa per Mélanchon e poi si sono astenuti. La prima sfida di Macron sarà di cambiare stile di governo e dimostrarsi capace di parlare alla gente con un linguaggio comprensibile. Dovrà anche correggere l’accentramento che ha finora praticato e ridare un ruolo al Parlamento. Le sue prime dichiarazioni lasciano pensare che abbia capito il messaggio.
La prova cruciale sarà quella delle elezioni legislative che avranno luogo fra meno di due mesi. Persino nella V Repubblica non si governa senza maggioranza parlamentare. Macron deve gestire una situazione caratterizzata dal crollo dei partiti tradizionali a destra come a sinistra; un crollo che in gran parte ha lui stesso provocato. Al loro posto sono sorti due grandi blocchi di estrema destra e di sinistra radicale; il primo intorno a Le Pen, il secondo intorno a Mélanchon, una abile tribuno che incarna una sinistra alla Corbyn o (si parva licet) alla Fassina. Blocchi entrambi populisti, antieuropei e anti-occidentali. Entrambi privi di un programma minimamente credibile, ma con un forte richiamo emotivo.
Per difendere la maggioranza di cui dispone in Parlamento, Macron dovrà dar corpo alle promesse fatte fra i due turni elettorali: più misure securitarie per elettorato di destra, più misure ecologiche e sociali (smentendo l’immagine di “Presidente dei ricchi”) per l’elettorato di sinistra. Una capriola politica non facile in un paese con un livello di indebitamento non troppo lontano da quello italiano.
Elezioni legislative: tre scenari possibili
Il sistema elettorale perverso e distorsivo di maggioritario con ballottaggio, rende aleatoria ogni previsione. Ci sono fondamentalmente tre scenari possibili. Il primo è che Macron riesca a far giocare l’abituale effetto di traino che ha spesso assicurato al presidente rieletto una maggioranza in Parlamento. Allo stato attuale sembra il meno probabile. Uno degli errori di Macron, che de Gaulle e i suoi successori non avevano mai commesso, è stato di non preoccuparsi di avere un partito vero su cui appoggiarsi. En Marche era e resta un partito di plastica, con poco o scarso radicamento sul territorio. La migliore speranza di avere una maggioranza “Presidenziale” in Parlamento è di poter contare su un consistente contingente di forze amiche, di destra o di sinistra moderate. Un’ipotesi non molto lontana da quella che sostiene oggi Draghi in Italia.
Ciò ci porta al secondo scenario: che, malgrado la grave sconfitta elettorale, la destra e la sinistra moderata siano ancora abbastanza radicate sul territorio per compensare il riflesso di “voto utile” che alle presidenziali ha premiato le estreme. Sarebbe un risultato complicato da gestire, ma non negativo. Il problema è che la sconfitta dei “moderati” è stata talmente devastante che c’è il rischio (terzo scenario) che ogni recupero sia impossibile. Ciò spingerebbe di nuovo molti elettori moderati nelle braccia di Le Pen e Mélanchon. Sarebbe un vero disastro perché nessuna democrazia può funzionare con un centro obbligato a difendersi da due forti schieramenti estremisti. Il pericolo è particolarmente presente a sinistra. La sinistra francese non ha mai veramente compiuto la sua evoluzione socialdemocratica, la mitologia rivoluzionaria ha ancora un forte richiamo e la sirena di Mélanchon rischia di essere efficace.
La verità è che la Costituzione della V Repubblica fu inventata su misura per De Gaulle e per la crisi eccezionale che il paese attraversava a causa della fine dell’impero coloniale. Non è più adatta al mondo attuale. Anche in Francia comincia finalmente un dibattito su questo problema. Sappiamo però molto bene quanto siano lunghi e tormentati i tentativi di cambiare le Costituzioni anche quando si rivelano palesemente obsolete. La Francia non è il solo caso. Secondo la Costituzione, questo è l’ultimo mandato di Macron. In fondo, il successo o il fallimento della sua presidenza si misureranno sui modi e la qualità della sua successione. Nel frattempo dovrà fare grande uso nelle due virtù consigliate da Rachman: pazienza ed empatia. Più la qualità di cui Napoleone non si stancava di richiamare l’importanza: la fortuna.