“Una rockstar e un capo dotato di forti poteri, come se in una stessa persona dovessero convivere Mick Jagger e il generale De Gaulle”. È il vestito che la V Repubblica francese chiede al proprio presidente di indossare secondo quanto racconta Richard Ferrand, capo dell’Assemblea dei deputati ad Arthur Berdah, il giornalista del Figaro che segue l’Eliseo e che ha scritto una bella biografia di Emmanuel Macron, “Verités et légendes”, edito da Perrin.
Il giovane presidente francese (45 anni il prossimo dicembre), candidato alla sua successione, ha ottenuto il 10 aprile scorso 9.784.985 voti, pari al 27,8%, dei suffragi. Il 24 aprile prossimo dovrà riconquistare la poltrona più alta della Francia di fronte alla sfidante dell’estrema destra Marine Le Pen che, dal canto suo, ha guadagnato 8.135.456 voti, cioè il 23,1% delle preferenze. La stessa sfida di cinque anni fa.
Ballottaggio in Francia: decisivi i voti di Mélenchon
Entrambi per vincere devono spartirsi il bottino raccolto da Jean-Luc Mélenchon, l’ex socialista leader della sinistra radicale, “La France Insoumise”, arrivato al 22% dei suffragi, pari a 7.714.574 voti. E che ha invitato i suoi a “non dare nemmeno un voto a madame Le Pen” senza però indicare di scegliere Macron, il che vuol dire assecondare l’antipatia viscerale che hanno i suoi elettori per il “presidente dei ricchi”, come lo definiscono, preferendo presentare scheda bianca o andare al mare. Se va bene, perché secondo uno degli ultimi sondaggi pubblicati dai giornali francesi, almeno un terzo dei mélenchonisti potrebbe scegliere perfino Le Pen al secondo turno, perché “tutti tranne Macron”.
Resta da vedere a chi andranno i voti di Melenchon al ballottaggio.
Chi è Emmanuel Macron: una rockstar a capo della Repubblica francese
Per tornare al presidente, l’abito bicolore, un po’ rockstar, un po’ capo di Stato, sembra fatto su misura per lui, come riporta Berdah.
Egli ha l’”allure”, il portamento, della guida suprema, come gli ha concesso la stragrande maggioranza dei francesi nei sondaggi realizzati prima del voto, quando cercava di convincere Putin a non invadere l’Ucraina; ma nello stesso tempo ha anche lo stile di una rockstar, a vedere come è a suo agio sotto i riflettori su qualunque palco, di provincia o della capitale.
Ma chi è oggi Emmanuel Macron dopo cinque anni di governo durante i quali ha dovuto affrontare prima una crisi sociale terribile, quella dei gilet gialli, e poi una sanitaria ancora più difficile? A essere onesti per molti è ancora un politico non bene identificato. O meglio: qualcuno al quale si incollano molte etichette politiche, pur se quella di liberal-socialista è quella che si avvicina di più alla realtà.
È amatissimo a Parigi, dove nel primo turno di queste elezioni ha ottenuto il 35% dei voti; è detestato nelle città in crisi (al Nord come al Sud del Paese), dove è arrivato dietro a Mélenchon (Lille) o a Le Pen (Marsiglia).
Da banchiere a ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale
Laureato in filosofia, un master in amministrazione pubblica nella prestigiosa scuola Ecole nationale d’administration (l’Ena), è stato socialista (2006-2009), poi Indipendente (2009-2016), poi creatore e capo del movimento “En Marche!” (2016), ribattezzato nel 2017, dopo l’elezione a presidente della Repubblica, “La République En Marche”, partito che ha oggi, insieme all’alleato di Movimento Democratico, il liberale MoDem, la maggioranza nell’Assemblea nazionale francese. Prima di entrare in politica il suo mestiere è stato quello di banchiere.
Macron è stato per due anni (2014-2016) ministro dell’Economia, dell’Industria e del Digitale nel governo guidato da Manuel Valls, durante la presidenza di François Hollande. Era il suo periodo socialista e dentro al partito occupava la parte centrista, quella per intenderci associata alle politiche della “Terza via” avanzate da Bill Clinton, Tony Blair e Gerard Schroeder, e di cui Valls era appunto il portavoce in Francia.
Cosa curiosa per noi italiani è che, in quanto capo della Repubblica francese, è Protocanonico d’onore della Basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma, carica onoraria che spetta ai presidenti d’Oltralpe e da loro ereditata dai re di Francia.
Il presidente che ha rotto lo schema tradizionale sinistra-destra
Nel 2017 Macron si presentava così ai giornalisti: “Sono posizionato piuttosto a destra sul piano economico, ma per quanto riguarda i valori mi sento a sinistra”. Traduzione del suo staff all’epoca: “la sinistra del cuore, la destra dei valori; sinistra senza lassismo, destra senza razzismo”.
Ma in definitiva il messaggio è stato letto, con il passare degli anni, in maniera diversa: troppo a destra per la sinistra, troppo a sinistra per la destra.
E oggi? Oggi Macron continua a essere un politico di tipo nuovo, incarnazione del leader di un “partito pigliatutto”, secondo la formulazione del politologo tedesco Otto Kirchheimer, che negli anni Sessanta, interrogandosi sulla evoluzione delle organizzazioni di massa, ne teorizzava l’avvento. Questo tipo di partito mette in secondo piano le ideologie per cercare di conquistare il massimo numero di elettori possibile. È in realtà il nuovo mondo della politica occidentale, quello in cui viviamo oggi: riferirsi a ciascuno senza lasciarsi rinchiudere da nessuno. E in cui l’unica distinzione è: essere conservatore o progressista.
Bene? Male? Realistico, più che altro. E comunque è quello che Macron ha fatto nel corso degli ultimi anni guardando soprattutto a destra (ha scelto per due volte primi ministri provenienti da questa area), è quello che intende fare adesso, girando però lo sguardo a sinistra, verso chi si è lasciato attrarre dal populismo di Mélenchon.
Macron a caccia di voti dopo il primo turno
Non aspettando un minuto dopo la chiusura delle urne di domenica scorsa, lunedì mattina era già nel Nord della Francia, nelle cittadine operaie, dove è arrivato addirittura terzo, dopo Le Pen e Mélenchon.
Ha detto ai giornalisti che andava soprattutto per rinnovare i patti che sottintendono le tre divise della Francia: liberté, égalité, fraternité.
Ma in termini più concreti? Chi ha votato per la sinistra radicale (così come coloro che hanno votato per Le Pen) molto semplicemente si aspetta dallo Stato più accudimento, magari lo stesso che ha avuto negli anni delle vacche grasse e al quale non vuole rinunciare: no alle pensioni a 65 anni, no alle aziende nuove che espellono i lavoratori, no alle ore di lavoro obbligatorie per chi prende il reddito di solidarietà.
Come farà Macron a convincere chi ha votato Le Pen e Mélenchon proprio per bloccare questi progetti?
La parola magica che usa il presidente è “rassemblement”, o meglio “ascolto”. Tutti i capi dei movimenti che si sono presentati alle elezioni sono stati invitati all’Eliseo per perorare i loro convincimenti; e se si troverà un modo per applicarli – ha sostenuto – sarà stato un “arricchimento” per il suo progetto finale.
Gli è stato chiesto: anche il razzista Eric Zémmour? Anche lui, perché rappresenta milioni di francesi, ha risposto. Si vedrà a partire dal 25 aprile.
Ai cittadini che ha incontrato nei bagni di folla, quelli che non ha fatto durante il primo turno della campagna elettorale, ha spiegato che la pensione allungata da 62 a 65 anni è indispensabile per non pesare sulle spese dello Stato, ma che è un traguardo da raggiungere, non un’imposizione: l’obiettivo si può ottenere in varie tappe. E non ha escluso nemmeno un referendum a chi glielo proponeva.
Mentre sulle ore da lavorare obbligatoriamente per ottenere il reddito di solidarietà ne ha fatto una questione di dignità del lavoratore: non si tratta di fare la carità, ma di accompagnare chi ha più bisogno verso un impiego. Anche se, pure in questo caso, ha detto che ascolterà le parti sociali.
La sovranità europea al centro della visione di Macron
Sul posizionamento internazionale della Francia non ha avuto invece nessun tentennamento: Parigi è pienamente nella Nato, pienamente in Occidente, pienamente in Europa.
Ed è proprio l’Europa la sua passione più grande. Un articolo del New York Times lo ha descritto recentemente come “ardentemente pro Europa”, anche in momenti in cui gli altri leader sembravano vacillare.
E non è un segreto per nessuno che il suo sogno sia quello di essere eletto primo presidente dell’Europa unita. Ha l’età per aspettare e anche la tenacia per poterlo diventare.
Facile per lui contrastare Le Pen sul terreno internazionale visto che la leader dell’estrema destra dice no alla Nato, vuole una Unione europea come Confederazione di Stati nazionali, una specie di Frexit, e pretende la protezione dei prodotti agricoli e industriali francesi. Un po’ come Mélenchon.
Insomma, ne viene fuori una Francia isolata e oggettivamente più sotto l’influenza della potenza europea rimasta, la Russia, che sotto quella degli Usa, respinta oltre oceano. Non va dimenticato infatti che Le Pen è l’alleata europea sulla quale Putin può contare di più: anche di fronte ai massacri recenti in Ucraina non si è mai esposta più di tanto a criticare Mosca, richiedendo al massimo un’inchiesta dell’Onu sul terreno. Senza contare il debito di oltre 9 milioni di euro che il suo partito ha contratto nel 2014 (anno dell’annessione della Crimea) con una banca di Mosca e che deve ancora pagare.
Insomma, Macron in linea teorica ha le carte in regola per vincere la sfida finale. Ma, si sa, il gioco democratico è come quello del calcio: fino a che l’ultimo gol non è stato segnato la partita non è finita.