Sull’ex Ilva i sindacati metalmeccanici chiamano in causa il Governo, “che non può continuare ad essere spettatore”. È di ieri una dura presa di posizione di Fiom, Fim e Uil, che prende spunto da un incidente negli stabilimenti ex Ilva di Genova ma allarga il discorso e il grido d’allarme allo stato di tutto il gruppo siderurgico.
Ex Ilva: il grido d’allarme dei sindacati metalmeccanici
“La situazione all’interno degli stabilimenti della ex Ilva – oggi Acciaierie d’Italia – ha ormai raggiunto un livello di insostenibilità che, sia chiaro al Governo, rischia di causare gravi conseguenze industriali, anche per l’intero sistema manifatturiero italiano, sociali – con 3 mila addetti diretti in cassa integrazione, oltre a 1.700 ancora in Cigs in Ilva A.S.- per l’intero sistema dell’indotto, a pezzi, con altrettante ripercussioni occupazionali”. È quanto sostiene una nota congiunta firmata da Fiom-Cgil, Fim-Cisl e Uilm.
“Non si può pensare di gestire la più grande fabbrica d’acciaio d’Europa – continua la nota sindacale – senza assumere la sicurezza degli impianti e la sicurezza dei lavoratori come preliminare a qualsiasi ipotesi di prospettiva industriale”, aggiungono i sindacati, che non mancano di evidenziare anche “l’inadeguatezza della governance di Acciaierie d’Italia”, a suo tempo concordata dal Governo Conte con ArcelorMittal, che gestisce oggi il gruppo siderurgico italiano: “Acciaierie d’Italia necessita di un piano urgente di manutenzione degli impianti, di un piano industriale dettagliato (sulla base dell’accordo del 6 settembre 2018 sottoscritto in sede istituzionale), di un piano di investimenti e – soprattutto – di una gestione ordinaria non subordinata agli esiti dei futuri assetti societari”, perché “l’ex Ilva è un asset strategico per l’intero sistema industriale del nostro Paese”.
I sindacati chiedono a Draghi di intervenire, ma la fonte dei guai è nell’accordo concordato da Conte
In conclusione, Fim, Fiom e Uilm “chiedono per l’ennesima volta, una netta presa di posizione del Governo e la predisposizione di adeguati strumenti e interventi”. Ma la radice dei problemi di oggi è a monte ed è quel fallimentare accordo definito nel 2018 dal Governo Conte che va prioritariamente ridiscusso, essendo poco vantaggioso per l’Italia e per l’azionista pubblico (rappresentato senza adeguati poteri al vertice di Acciaieri d’Italia da Invitalia). E chissà che, sotto traccia, Draghi non ci stia pensando.