Scusate il grave ritardo. Avevamo aperto una parentesi negativa con il cinema italiano e ci era sfuggito un titolo importante. Speriamo vivamente di essere perdonati: siamo da poco usciti dalla visione di “Ennio”, documentario di Giuseppe Tornatore sulla vita e le opere di Ennio Morricone. Un piccolo capolavoro: forse, abbiamo visto uno dei migliori prodotti cinematografici degli ultimi tempi. Forse, abbiamo visto una delle sintesi più efficaci, convincenti e complete di storia del cinema italiano, e non solo, dove si racchiudono i titoli migliori degli ultimi 60 anni.
Ci eravamo lasciati lo scorso febbraio con un articolo sull’ultimo film di Paolo Sorrentino dove abbiamo scritto su quelli che riteniamo i fondamenti della crisi della nostra industria cinematografica. Ne siamo ancora per buona parte convinti e il mancato Oscar per le nostre produzioni ne è stato prova. Abbiamo scritto della “trilogia” delle autobiografie di Carlo Verdone, Nanni Moretti e Paolo Sorrentino come segno tangibile di una debolezza strutturale di idee, di fantasia, di scrittura e, dopo aver visto “Ennio”, aggiungiamo anche di creatività musicale e ora ne siamo ulteriormente persuasi.
Anzitutto due parole, necessarie e doverose, di omaggio per il regista di “Ennio”: Giuseppe Tornatore e al suo capolavoro Nuovo Cinema Paradiso. Si tratta di un film che ha segnato un punto di svolta e riferimento per chi ama il grande schermo, anzitutto per i sentimenti che è in grado di sollecitare. In quella pellicola (1988), forse per la prima volta, il cinema italiano rende omaggio a se stesso non solo e non tanto per quanto ha prodotto e realizzato nella sua storia recente quanto più invece per le emozioni che la proiezione “di presenza” è in grado di suscitare nello spettatore.
Infatti, non ci sono televisori in alta definizione o la visione in streaming sul comodo divano di casa che possano reggere il confronto con quello che avviene nel buio della sala cinematografica. Durante la visione di Ennio, non abbiamo timore di scrivere che ci siamo emozionati. Rivedere immagini e brani storici, fondamentali del nostro cinema, è stato come tornare alla nostra più bella gioventù di quando abbiamo cominciato a frequentare la Sala Parrocchiale, di quando si andava con tutta la famiglia alle “arene”, di quando a Roma alla fine degli anni ’70 si passavano lunghe ore di cinema con le magiche notti dell’Estate Romana.
Come dimenticare la visione del Napoleon di Abel Gance, proiettato su tre grandi schermi, sotto il Colosseo e con l’orchestra dal vivo di 80 elementi? Ci siamo emozionati quando Tornatore con questo documentario ci ha ricordato che In ginocchio da te di Gianni Morandi e Se telefonando di Mina sono state musicate da Ennio Morricone; ci siamo commossi quanto ha riproposto la colona sonora di Sacco e Vanzetti cantata da Joan Baez ( ..here’s to you Nicola and Bart … Rest forever here in our hearts…); ci siamo turbati quando abbiamo rivisto frammenti di Allosanfan dei Fratelli Taviani come pure quando ha ricordato la voce di Dulce Pontes nelle canzoni di Sostiene Pereira di Carlo Faenza del 1995 (con un Marcello Mastroianni in una delle sue ultime prestazioni più mature). Ci siamo emozionati quando abbiamo visto Bruce Springstein che riprende e propone gli “attacchi” del Maestro Ennio nei suoi concerti e, infine, ci siamo commossi quando ricevendo l’Oscar lo ha dedicato alla moglie, sua nume tutelare.
Questi ricordi, questo viaggio nel passato, ci ricorda Tornatore, non si racchiude solo nei fotogrammi o nelle sequenze dei grandi film che il suo documentario ci ripropone, ma più ancora ci riporta nel cuore dei brani musicali che le hanno accompagnate. Per dire pure che “accompagnare” è un verbo limitato, che non riesce a racchiudere completamente il senso del rapporto tra immagini e musica. I film di Sergio Leone, il suo western globale e non “all’italiana”, potrebbero non essere stati la stessa cosa senza la colona sonora di Ennio Morricone. Nel documentario si ricorda come lo stesso Leone voleva che durante le riprese venisse diffusa la musica di accompagnamento alle scene che venivano riprese. Sul set, ricordano i testimoni, si creava quell’atmosfera “magica” che poi hanno reso possibile la nascita dei capolavori che conosciamo: la “trilogia dei dollari” con Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto e il cattivo.
Con questo documentario su Ennio Morricone, si propone e si realizza la sintesi perfetta della visione: le immagini e l’audio. Un “prodotto audiovisivo” è per buona parte testo, scrittura, e per altra buona parte, è musica. Il nostro più grande compositore di colonne sonore (e non solo) è nell’anima del Cinema nazionale con la C maiuscola e, in particolare, rivedendo la quantità e la qualità dei film con la firma di Morricone, si potrebbe senz’altro affermare che il grande cinema italiano si racchiude nella musica del Maestro e viceversa. Al termine speriamo, di due anni di oblio nelle sale per colpa del Covid, questo film ci è sembrato un ottimo augurio per una nuova primavera per il cinema italiano. Ce lo auguriamo perché se pure è in crisi per quanto è in grado di produrre oggi, non lo sarà mai per quanto ha realizzato nel passato. Questo film documentario di Tornatore si può vedere ed apprezzare, per non dimenticare, anche come una piccola antologia del “meglio di” quanto abbiamo visto, amato e apprezzato negli ultimi 50 anni di cinema. Sappiamo tutti che non è cosa da poco conto.
“Ennio” è ancora in distribuzione e vi consigliamo caldamente di prendervela comoda (dura circa 3 ore) e vederlo in sala, altrimenti lo trovate disponibile in streaming con diverse piattaforme.