Con lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina molti investitori si erano spostati sul mercato azionario Usa sia perché l’economia era percepita in buona salute, sia perché l’Europa era troppo vicina all’epicentro della crisi. Ma le cose potrebbero cambiare a breve. Gli Usa non hanno ancora prezzato segnali già sottotraccia di un cambiamento economico che potrebbe portarli a un netto rallentamento. E allora potrebbe esserci un forte ritorno sull’Europa degli investitori. Tutto ovviamente sub judice dell’evoluzione bellica. Lo spiega in un’intervista a FIRSTonline Salvatore Bruno, responsabile di Investimenti di Generali Investments Partners (GIP), la società di gestione controllata dal Gruppo Generali con portafogli obbligazionari, azionari tematici e multi-asset/bilanciati, oltre ad una gamma di strategie investite in private asset.
Come valuta il comportamento dei mercati dall’inizio del conflitto fino ad oggi? A che punto siamo?
“Da quando è iniziato il conflitto russo-ucraino, gli investitori sono cautamente usciti dall’Europa e gli Usa hanno giocato in sostanza un ruolo di mercato rifugio. Ma ora bisogna analizzare con attenzione i due mercati perché potrebbero avere sviluppi molto diversi nel prossimo futuro”.
Il mercato azionario Usa ha avuto una buona performance finora, secondo lei perché?
“Il mercato azionario Usa da una parte è stato sostenuto dall’annuncio da parte della Fed della sua politica monetaria più restrittiva perché le parole di Jerome Powell sono state lette come la constatazione che l’economia Usa era molto forte e in grado di assorbire i contraccolpi monetari. Dall’altra gli investitori hanno preferito allontanarsi da un’Europa, così vicina all’epicentro della guerra, ma anche agli effetti delle sanzioni contro la Russia. Ecco che l’azionario Usa ha assunto per un certo periodo il ruolo di una sorta di mercato rifugio”.
C’è qualcosa che ancora il mercato Usa deve esprimere?
“L’attuale situazione Usa potrebbe cambiare in un tempo non lontano. Infatti quello che l’investitore non ha ancora colto a pieno e che non ha ancora ben prezzato sul mercato è quella parte dell’annuncio Fed che riguarda il quatitative tightening: Powell ha in programma di ridurre le dimensioni del suo bilancio operativo, il che significa drenare denaro togliendo liquidità agli asset più rischiosi e ciò in qualche modo andrà a impattare sul mercato azionario. Il mercato dei tassi ha già scontato quello che la Fed vuole fare, come vediamo nel mercato degli swap che prezzano già 6 o 7 rialzi da parte della Fed. Forse anche di più. Ma il mercato azionario non lo ha ancora prezzato e ciò potrebbe portare qualche appesantimento. Inoltre le aspettative di crescita degli utili negli Usa sono ancora piuttosto consistenti, ma dovranno essere un po’ riprezzati al ribasso e ciò impatterà sugli indici”.
Quindi l’economia Usa è davanti a un possibile rallentamento, ci sono già segnali in questo senso?
“Ce ne sono ormai parecchi di segnali in questo senso, anche se le tensioni belliche hanno annebbiato la visuale. Segnali che sono sotto la lente della Fed che deve fare scelte monetarie. Per esempio guardiamo al mercato del lavoro Usa: da una parte è partito l’aumento dei salari, dall’altra c’è una disoccupazione che ha raggiunto livelli veramente molto bassi e quindi da questo punto in poi non può che risalire. C’è poi il comparto immobiliare, settore chiave negli Usa perchè finanzia anche i consumi, dove stanno aumentando i tassi sui mutui, il che influenza tutto il settore rental e quindi anche l’inflazione. Da osservare poi l’inversione della curva dei tassi Usa nel segmento 5-10 anni, nel 5-30 anni e ora sta succedendo nel 2-10 anni. C’è molto dibattito sul fatto che un’inversione della curva davvero sia un segnale di una fase di recessione, ma sicuramente ci sta dicendo che qualcosa non va.
In sintesi, potremmo trovarci davanti a uno svolta quando il mercato Usa inizierà a prezzare quei segnali ora sottotraccia e a quel punto – sempre che non si realizzino eventi catastrofici in Europa – ci potrebbe essere un riposizionamento degli investimenti al di qua dell’Atlantico. E non sarebbe strano vedere segnali di rallentamento nell’economia Usa già alla fine di quest’anno”.
Come ci si potrebbe muovere sul mercato europeo?
“La situazione europea ha caratteristiche ben diverse dagli Usa. Intanto la situazione macro è meno flessibile, meno reattiva, deve gestire purtroppo il fatto di essere vicina all’epicentro delle tensioni geopolitiche e soprattutto risente di più dell’impatto finanziario delle sanzioni che stanno colpendo il settore energetico e delle materie prime.
Anche l’inflazione è di tipo diverso rispetto a quella Usa: si tratta di un’inflazione esogena, su cui pesano le materie prime. Il rischio di fondo è quello della stagflazione, se cioè accanto all’inflazione ci fosse anche recessione. Per questo la Bce si sta muovendo con grande prudenza, la sua azione sarà graduale e condizionata dagli sviluppi geopolitici. Quindi da questa parte dell’Atlantico conta di più la politica fiscale della politica monetaria, tant’è che si è parlato di nuovo di lasciare il Patto di stabilità in naftalina ancora per un po’.
Inoltre il mercato azionario europeo ha una composizione più value rispetto a quello Usa (che è più growth), con molti titoli bancari, industriali, auto, materie prime che sono più ciclici e quindi più sensibili in un’economia in ripresa e tassi in rialzo (che avrebbero il significato un’economia in buona salute), tant’è che quando si è parlato di tassi in rialzo i settori value hanno immediatamente sovraperformato”.
L’Europa potrebbe perciò beneficiare del cambiamento oltre Oceano? Se sì, in quali settori?
“L’Europa potrebbe avere la meglio quando gli Usa si accorgeranno che l’economia sta rallentando e dovranno riprezzare la crescita degli utili. A quel punto verrebbe meno il loro ruolo di mercato rifugio. In Europa un investimento attento potrebbe essere sul settore del credito (bond, obbligazioni, eccetera), dove ci sono interessanti opportunità pur con una selezione attenta dei settori (società, ma anche banche), privilegiando la qualità. In particolare, proprio il comparto dei bancari, in una prospettiva di rialzo dei tassi, potrebbe essere un buon investimento per tutelarsi dall’inflazione. Semmai il rischio per questo comparto sarebbe il profilarsi di una recessione. Inoltre punterei su settori più difensivi: alcuni comparti della tecnologia, alcuni dell’industria”.
In base alla crisi russo-ucraina?
“Tutto naturalmente è condizionato dagli sviluppi in Ucraina: se ci fosse un’escalation militare, con coinvolgimento della Nato, l’investimento finanziario sarebbe l’ultimo dei nostri problemi. Se invece si aprisse uno scenario che vede una guerriglia protratta nel tempo, l’attenzione andrà soprattutto per le fonti energetiche alternative o le fonti di approvvigionamento. In questo caso il parametro da guardare è la crescita: se riusciremo a salvarla, i mercati si abitueranno anche alla guerriglia. Se poi invece si dovesse tornare alla pace, ci sarà un ben movimento al rialzo (un relief rally) e poi si dovrà ricominciare a guardare ai fondamentali e all’inflazione che a quel punto sarà di tipo ciclico e avrà bisogno di mosse monetarie restrittive”.
Come valuta la fiammata sul comparto delle commodities?
“Certamente il punto di domanda maggiore è proprio sulle commodities. Ricordiamo che avevano avuto un balzo prima dell’accendersi della guerra, quando si era verificato quell’eccesso di domanda con la riapertura degli affari al termine della pandemia. Vedremo come si svilupperà la situazione, ma visto il netto rialzo avuto, un buon portafoglio dovrà prevedere un po’ di vendite su questo comparto”.
Si sono forse persi di vista i megatrend?
“Occorrerà tornare a guardare ai megatrend, transizione ecologica e mobilità sostenibile prima di tutto e il tema bellico potrebbe dare loro un’accelerata. Quindi attenzione per esempio ai molti titoli legati alla catena di produzione dell’idrogeno, alle energie rinnovabili, alle infrastrutture ferroviarie. Ma anche alle utilities specializzate in rinnovabili, all’economia circolare, alle ex municipalizzate che si occupano di gestioni dei rifiuti. Ci vorrà più tempo, ma sono temi che tra alti e bassi ritorneranno ad essere protagonisti. Altri settori importanti saranno quello medicale e dell’health care. Tenendo anche conto che c’è un trend di fondo che guarda a una de-globalizzazione con cui riportare alcune produzioni all’interno di alcuni confini, non necessariamente nazionali, ma europei. Interessante anche il settore dei private debt che hanno rendimenti superiori al 4% che compensano la mancanza di liquidità e che investitori istituzionali, con buon know how possono mettere nei loro portafogli”.
Geograficamente, vede altri mercati interessanti?
“Covid e Ucraina potrebbero portare cambiamenti dirompenti in molti campi. Per esempio il rapporto con i paesi produttori di materie prime va cambiato, perché non funziona. Si può guardare all’Africa per esempio, unico continente che avrà una netta crescita demografica nei prossimi 50 anni e avrà bisogno di case, scuole, infrastrutture. Ci sono già diversi Etf specializzati”.
Come potrebbe muoversi oggi un risparmiatore retail?
“Infine un risparmiatore retail che non voglia affidarsi a un fondo, occorre che si muova con molta prudenza e semmai puntare su quei settori interessanti dei megatrend che dicevamo prima. Occorre però che la diversificazione del portafoglio sia alla base della sua strategia che dovrà essere comunque molto flessibile: l’investitore retail cioè non deve affezionarsi a un proprio investimento, ma deve essere pronto a uscirne se la situazione mostrasse cambiamenti”.