Nessun Paese Nato vuole accollarsi gli effetti negativi di una guerra per il gas all’indomani della pandemia. Usa e Russia, però, sembrano ignorare questo punto: non considerano che i loro partner, in questo momento, hanno a cuore la ripresa economica e non vogliono esasperare un elettorato già messo a dura prova dalle restrizioni pandemiche, che pure sono in via di attenuamento.
Nato e Russia in affanno
A sei mesi dal ritiro dall’Afghanistan e dopo l’uscita recente dal Mali, la Nato è in affanno, ma lo è anche la Russia. Dopo la repressione delle manifestazioni in Bielorussia e l’intervento di forza in Kazakistan, Mosca ha compreso che il cordone di sicurezza ai confini con l’Europa – costituito dai Paesi ex satelliti insieme all’Ucraina – si sta sgretolando. Il processo, peraltro, era già iniziato anni fa con l’adesione alla Nato della Polonia e delle Repubbliche Baltiche: una strada che ora vogliono seguire anche la Norvegia e, soprattutto, l’Ucraina.
In caso di invasione russa, la Nato non avrebbe alcun obbligo di proteggere l’Ucraina, ma tutti sanno che americani, inglese e turchi continuano a rifornire Kiev di armi per contrastare Mosca. Quanto ai russi, dopo la Crimea sembra chiaro che vogliano assicurarsi definitivamente le regioni contese nell’Ucraina orientale. E intanto sfiorano il milione i residenti del Donbass che hanno chiesto la cittadinanza russa, mentre oltre 750mila l’hanno già ottenuta.
La situazione in Ucraina
Dalla rivoluzione arancione del 2004, non c’è pace per l’Ucraina. Negli anni il Paese ha intessuto legami sempre più stretti con l’Unione europea e la Nato, ma è anche passato da una crisi politica all’altra, zavorrato da un alto tasso di corruzione (l’Ucraina è al 122esimo posto su 180 nel Transparency Index). Poi, nel 2014, è iniziato il conflitto nel Donbass. Da allora l’ex “granaio d’Europa” ha evitato la bancarotta ed è riuscito ad affrontare la pandemia solo grazie agli aiuti del Fondo Monetario Internazionale. I finanziamenti sono arrivati in cambio della promessa di riforme economiche e strutturali, che però sono state ostacolate dalle recessioni e dalla mancanza di volontà politica.
Dopo la ristrutturazione del debito del 2015, due anni fa è stata prima congelata e poi sbloccata una nuova linea di fondi per cinque miliardi di dollari a 18 mesi: la prima tranche da 700 milioni è stata sborsata a dicembre e le ultime due arriveranno solo dopo le verifiche di marzo e giugno sull’avanzamento delle riforme.
Intanto il presidente ucraino Zelensky, costretto a fare i conti con un tasso di popolarità in calo e con una povertà sempre più diffusa, ha approfittato della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza per ribadire la propria richiesta di aiuto. Un intervento che, insieme ai toni scelti dagli americani, ha contribuito a mettere in difficoltà l’Unione europea.
Europa: con la guerra stop al gas e addio ripresa
Alla fine della Conferenza, l’asse centrale del potere europeo formato da Francia, Germania e Italia ha rispedito al mittente l’ipotesi di misure preventive contro la Russia. La priorità è affrontare il problema su cui si sono bloccati i negoziati, ossia il possibile ingresso dell’Ucraina nella Nato, auspicato dagli Usa e visto dai russi come un affronto inaccettabile che richiederebbe una risposta armata.
Un eventuale rafforzamento delle sanzioni contro Mosca si trasformerebbe un boomerang per l’Occidente, perché a subire le ripercussioni peggiori di queste misure non sarebbe l’economia russa, ma quella europea. Per di più in un periodo già difficile a causa dei ritardi nelle forniture e del rincaro dell’energia, che supera il 100% e, nel medio termine, potrebbe diventare insostenibile per molte industrie.
Intanto, però, le ultime sanzioni Usa un risultato l’hanno ottenuto: bloccare i lavori sul Nord Stream 2, ossia il raddoppio del gasdotto che collega la Russia alla Germania.
In sintesi, quindi, l’invasione russa dell’Ucraina permetterebbe a Putin di mettere fine alle contese territoriali, ma allo stesso tempo spingerebbe la Nato a inasprire le sanzioni, causando problemi soprattutto all’Unione europea. La Russia, infatti, chiuderebbe per ritorsione i rubinetti del gas, privando l’Europa dell’energia necessaria per alimentare la ripresa, visto che il gas americano è troppo costoso e non può che rappresentare un palliativo a breve termine. L’obiettivo annunciato 12 anni fa dall’UE di ridurre la dipendenza energetica dalla Russia non è mai stato raggiunto e ora paghiamo il conto di questo fallimento.
Energia: è vitale accelerare sulle rinnovabili
In Italia, la produzione di gas è ai minimi dal 1954 e oltre il 45% del nostro fabbisogno è coperto dalle forniture russe. Mentre in Germania le fonti rinnovabili arriveranno a coprire l’80% del fabbisogno nazionale entro il 2030 (riducendo la dipendenza dal gas al 16%), oggi il nostro Paese non arriva al 40% di energia rinnovabile. Per questo è cruciale utilizzare i fondi europei dedicati alla transizione ecologica anche per accelerare sulle rinnovabili. Le materie prime restano al centro del destino dei mercati finanziari, ai massimi dal 2014, perché questa guerra riguarda l’energia, che ha alimentato l’inflazione imponendo un cambio di rotta alle banche centrali. L’Ue corre un grave rischio: accettare passivamente le decisioni di Usa e Russia e non impegnarsi per mantenere aperto il dialogo causerebbe danni economici ai cittadini e all’industria europea, vanificando il recupero post-pandemia.
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