Condividi

Uovo in raviolo: la ricetta del piatto che ha scritto la storia dell’alta cucina italiana

A inventarlo due leggendari chef, Nino Bergese e Valentino Mercatilli al San Domenico di Imola, ristorante rivoluzionario due stelle Michelin dal 1977. A seguire la ricetta per cimentarsi

Uovo in raviolo: la ricetta del piatto che ha scritto la storia dell’alta cucina italiana

E un giorno arrivò “l’uovo in raviolo”. Uno dei piatti simbolo della ristorazione italiana, non di quella popolare ma dell’alta cucina, di quella che i cuochi cucinavano per i loro padroni. L’uovo in raviolo parte dalla tradizione della cucina emiliana, ovvero la pasta fresca all’uovo, e lo arricchisce non solo con un morbido e tradizionale ripieno di ricotta e spinaci ma anche con una dolce sorpresa: un tuorlo cremoso che al taglio cola delicatamente al centro del piatto, sprigionando una serie di sapori e profumi che conquistano il palato. Il tutto condito con burro nocciola, parmigiano e tartufo bianco o nero a seconda della stagione.

L’uovo in raviolo: la storia

Il piatto risale alla metà degli anni ’70 e viene creato nelle cucine del San Domenico di Imola, un ristorante rivoluzionario, che oggi vanta la massima longevità fra le stelle Michelin (due dal 1977). Ma per capire le origini di un piatto che ha rivoluzionato la gastronomia italiana bisogna fare un passo indietro. Il protagonista di questa storia è Nino Bergese, nato agli inizi del ‘900, povero ma con una grande passione per la cucina. Iniziò a lavorare da giovanissimo nelle cucine delle grandi famiglie (al tempo non esistevano quasi i ristoranti), finendo con gli anni a cucinare anche per Umberto di Savoia e il duca d’Aosta Emanuele Filiberto. Alla fine della Seconda guerra mondiale, con la scomparsa del vecchio mondo dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, Bergese aprì il suo primo ristorante a Genova, “La Santa”. Differentemente dalle osterie popolari, il suo ristorante presentava una cucina raffinata, una perfetta fusione tra quella francese e italiana. Tanta apprezzata da conquistare due stelle Michelin e attribuire a Bergese l’appellativo di “cuoco dei re, re dei cuochi” dal gastronomo e giornalista Luigi Veronelli, diventando una vera celebrità nel settore grazie anche alle sue ricette pubblicate nel libro “Mangiare da re”.

Poi arrivò Gianluigi Morini, un ricco e appassionato della gastronomia che decise di aprire un ristorante nella sua casa di famiglia, nel cuore di Imola. E decise di chiamare Bergese alla guida della sua brigata, anche se nel frattempo l’uomo si era ritirato a vita privata. Ma differentemente da “La Santa”, il ristorante imolese aveva una cucina diversa che attingeva dall’esperienza italiana, ma con la voglia di scrivere un nuovo capitolo nella storia dell’alta cucina tricolore.

E così venne il giorno de “l’uovo in raviolo”. Era il 1974 quando venne ideato da Bergese insieme al giovanissimo Valentino Marcattili, ma il celebrity chef italiano aveva dei dubbi sul suo successo, nonostante le materie prime fossero quelle tipiche di molti tortelli tradizionali. Ma invece, la ricetta segnò per sempre l’alta gastronomia nazionale, tanto che il giornalista gastronomico francese Henri Gault – fautore della definizione di “nouvelle cuisine” – lo descrisse come “uno splendido e gustoso quadro vivente”.

Dopo la morte di Bergese, Marcattili ha passato anni a formarsi in Francia, quando tornò in Italia prese la guida della cucina del San Domenico, passando poi il testimone al nipote Massimiliano Mascia classe 1983, grande talento della cucina italiana contemporanea.

Ancora oggi, questo iconico piatto è ancora in carta. Anche se una volta venne tolto perché metteva in ombra altri primi. Decisione che scatenò una vera e propria rivolta, tempo due giorni e il prestigioso raviolo ripieno tornò in lista per non essere più rimosso.

Accanto a questo, però, ci sono anche altri piatti che hanno scritto la storia della gastronomia italiana, come la “torta fiorentina”, preparata per il compleanno del principe Umberto, la “mattonella di fegato d’oca” con purea di mele golden, brioche e gelatina al porto, il “controfiletto di vitello di Nino Bergese” con una crema di latte al guanciale affumicato.

E la storia continua

La ricetta dell’uovo in raviolo

Ingredienti:

Per i ravioli:

200 g farina di grano tenero tipo 00

40 g spinaci

200 g ricotta di pecora,ù

100 g parmigiano reggiano 24 mesi

7 uova

olio extravergine di oliva

sale

pepe

noce moscata

Per il condimento:

200 g burro di malga

100 g parmigiano reggiano 24 mesi

50 g tartufo bianco

Procedimento:

Per prima cosa preparare la pasta. Impastare la farina con 2 uova e un pizzico di sale fino a ottenere un impasto omogeneo, coprire con un canovaccio e lasciare a riposo per circa mezz’ora. Nel frattempo, lavare e pulire gli spinaci (privandoli dei gambi), saltarli in padella con un filo di olio e un pizzico di sale. A cottura ultimata lascarli raffreddare in abbattitore e, una volta freddi, frullarli con 50 grammi di ricotta. Unire il resto con 100 grammi di parmigiano grattugiato, il tuorlo di un uovo, una grattata di noce moscata, il sale e il pepe amalgamando senza frullare.

Riprendere la pasta e tirare l’impasto in una sfoglia molto sottile. Bisogna ricavare 8 dischetti di 12 centimetri di diametro. Versare il ripieno in una sac à poche con bocchetta liscia da 8 millimetri e formare sulla metà dei dischi un pozzetto alto circa 3-4 centimetri, disponendo al centro di ognuno un tuorlo d’uovo e un pizzico di sale. Richiudere i ravioli con quelli rimasti vuoti inumidendo i bordi con l’albume avanzato, in modo che i lembi sia ben saldati fra di loro.

A questo punto lessare i ravioli, uno alla volta, in acqua bollente salata per 2 minuti esatti, prelevarli delicatamente con una e adagiaterne uno per ogni fondina.

A parte, in una casseruola, sciogliere e far soffriggere il burro fino a quando raggiungerà il color nocciola. Cospargere l’uovo in raviolo di parmigiano, affettare il tartufo bianco, e completare il piatto versando a filo il burro che scioglierà il parmigiano. Al taglio il tuorlo dovrà rimanere morbido.

La ricetta è rimasta la stessa, dalla forma al contenuto fino alla cottura. Rispetto all’originale però cambiano alcune dosi del condimento, alleggerito nell’apporto di burro e parmigiano dato che negli anni’70 si mangaiava diversamente. Poi c’è il tartufo sempre crudo ma scaldato dal burro nocciola.

Commenta