È una guerra fra titani quella scoppiata in Cina tra i giganti della tecnologia domestica: si combatte a colpi di M&A, di decine di miliardi, di fallimenti e di colpi bassi. E poiché si tratta di player mondiali, la contesa ci riguarderà presto da vicino. TCL, primo produttore cinese e terzo mondiale di tv, nel gennaio 2021 ha cercato di impadronirsi, tramite un’asta pubblica giudiziaria online non amichevole, di tutto il capitale di Guangdong Homa Appliances (fatturato 8 miliardi di dollari), della quale già detiene il 20%. La cosa sorprendente è che Homa è il primo terzista mondiale del freddo e che nessuno al di fuori della Cina lo conosce. TCL (fatturato sopra i 11 miliardi di dollari) ha continuato ad aumentare la propria partecipazione spendendo una prima tranche di 152 milioni di dollari tramite il mercato secondario di Hong Kong, chiedendo a più riprese di riunire il board per sostituirne i vertici e ricevendo molti rifiuti, finché in aprile è riuscita a nominare un nuovo presidente del consiglio, Hu Dianqian, e una serie di altri alti dirigenti.
Questa operazione è solo una delle tante che stanno agitando il mondo delle multinazionali della tecnologia asiatica. All’origine di tutto, come ha sottolineato il quotidiano giapponese Nikkei Asia, il fatto che i conti dei big cinesi non tornano più come una volta e per cinque pesanti ragioni: mercato interno ormai saturo, capacità produttiva in eccesso, prezzi del made in China in costante discesa, consistenti crepe nei bilanci a seguito della pandemia e domanda in forte flessione per la fascia media e bassa, il core business della produzione cinese. Il mercato cinese, però, vuole soprattutto beni di fascia alta e infatti, mentre le vendite degli apparecchi di gamma media e bassa crollano da tempo, crescono a due cifre quelli degli apparecchi di qualità, originalità e design.
MADE IN CHINA, SCARSO APPEAL
Per la prima volta sono stati resi noti dati affidabili sugli indici di saturazione nelle famiglie urbane e rurali e sono molto alti: ogni100 famiglie nella Cina vi sono 122,8 televisori, 102,5 frigoriferi, 148,3 condizionatori d’aria, 99,2 lavatrici, 72,2 computer, 98,2 scaldabagni e 81,7 cappe aspiranti. L’indice di saturazione rurale è molto vicino a queste percentuali (fonte: Ufficio nazionale di statistica cinese). Inoltre, nel 2020 i consumi complessivi di elettronica di consumo ed elettrodomestici delle famiglie sono scesi dell’11% dopo che anche il 2019 era andato male. E poiché ad andare peggio sono stati i prodotti “bruni” (tv, pc, tlc, games eccetera), con un -13%, le multinazionali del settore, come TCL, hanno deciso di diversificare le attività, comprando piccole e medie aziende nei più diversi settori, in particolare nel “bianco” e nella sanità.
Ma gli analisti sono scettici, perché non è facendo shopping e diversificando che i bilanci e i profitti torneranno a salire e perché, secondo il Global Times, i prezzi unitari degli apparecchi made in China, già molto bassi, non potranno salire a breve. Un esempio per tutte le categorie: i tv del gigante cinese TCL costano la metà di quelli di Samsung e LG perché – sostiene l’inglese Omdia – l’immagine del made in China è da troppo tempo sinonimo di prodotti di qualità medio-bassa. All’origine, la guerra feroce dei prezzi e la contraffazione, che i terzisti cinesi hanno condotto senza sosta per decenni per contendersi le commesse dei marchi europei, americani, coreani e giapponesi. E anche in patria, oggi il made in China è sinonimo di prodotto entry level.
Homa, fondata nel 2002 e primo terzista mondiale del freddo, ha un fatturato di oltre 8 miliardi di dollari ed è specializzata nella progettazione e produzione di frigoriferi, a prezzi estremamente contenuti, per i maggiori brand mondiali. Consegna prodotti finiti e collabora da anni con una società italiana di engineering, comunicazione, design e tecnologie digitali, il varesino Studio Volpi. La società cinese esporta oltre l’80% della produzione, una quota – secondo Huajing Research, specialista in ricerche di mercato – di gran lunga superiore a quella della maggior parte delle aziende cinesi.
Se si guardano i cataloghi dei grandi e piccoli produttori di majap, le pagine del freddo mostrano modelli molto simili fra loro proprio perché una buona parte di questi proviene dalle fabbriche di Homa (fanno eccezione le versioni di alta e altissima gamma). Una serie di speculazioni finanziarie del maggior azionista – poi uscito dalla società – ha poi messo in crisi un gigante che stava crescendo con percentuali a due cifre e che per le sue elevate quote di esportazione era da tempo nel mirino dei competitor.
M&A MILIARDARIE
Diversificare sta diventando la parola d’ordine per i colossi cinesi dell’hi tech. A marzo, Hisense (elettrodomestici e condizionamento), che sta lanciando televisori di fascia alta in Nord America con il marchio Toshiba, ha acquisito una partecipazione di controllo in Sanden Holdings, società giapponese di componenti per auto, che al momento è in difficoltà. Hisense aveva già preso nel 2018 il controllo totale della Gorenje, quarto fabbricante europeo di grandi elettrodomestici. Non solo: la stessa azienda ha in programma di acquistare il comparto semafori della Siemens e altri sistemi di controllo del traffico stradale per quasi un miliardo di dollari.
Midea Group, invece, ha da poco acquisito il 29% del produttore cinese di apparecchiature mediche Beijing Wandong Medical Technology, dopo aver inglobato nel 2017 il produttore tedesco di robot industriali Kuka. È anche entrata nel settore automotive (acquistando società specializzate nella produzione di veicoli a energie alternative), negli ascensori e in altri campi, attraverso il controllo di Hecang Xinneng, Lingwang Elevator e altre società minori.
Quanto al numero uno mondiale degli elettrodomestici, Haier, ha deciso di potenziare il proprio comparto dei biomedicali, mentre Gree Electric (climatizzazione) ha lanciato con grandi risorse finanziarie una nuova società nel settore sanitario. Un solo settore è off limits per tutti, quello dell’intrattenimento, dominato dalla superpotenza di Internet, l’intoccabile Tencent Holdings.
E PER LA PRIMA VOLTA CAMBIANO ANCHE I VERTICI
Il cambio di strategia dei giganti della tecnologia non poteva non provocare effetti ai vertici della società. Lo si è visto con gli annunci arrivati all’Appliance & Electronics World Expo (AWE) 2021, il principale evento espositivo cinese di elettrodomestici che si svolge a marzo a Shanghai. Si è dimesso infatti a novembre il fondatore della Haier, Zhang Ruimin, indiscusso artefice del successo mondiale dell’azienda, che non ha mai voluto far adottare al gruppo politiche commerciali troppo aggressive, preferendo l’acquisizione di marchi storici di gamma medio-alta e molto alta.
Anche i capi di China White Power, Gree, Midea e Haieryuan, hanno lasciato la scena. Si era dimesso, ma poi è stato di nuovo confermato, anche il presidente di Hisense. Il vero problema, però, secondo molti giornalisti occidentali, è il management cinese, preparato in modo impeccabile dal punto di vista tecnologico, ma decisamente privo di quelle doti di flessibilità e conoscenza dei diversi mercati mondiali che diventeranno fondamentali per resistere ai prossimi grandi cambiamenti.