Vola il prezzo del caffè, balzato martedì ai massimi da dieci anni all’International Exchange di New York: 2,50 dollari per una libbra di arabica in uscita dalle piantagioni brasiliane o dagli altipiani etiopi, funestati dalla guerra civile. Ma non è questa l’unica disgrazia che spiega l’aumento dei prezzi della materia prima, in pratica raddoppiati dall’inizio dell’anno. Complici i “colli di bottiglia” che stanno frenando la logistica un po’ a tutte le latitudini ed i problemi provocati dal clima si sono create le premesse per squilibri destinati a sconvolgere il mercato nei prossimi o forse anche più in là, con la prospettiva che l’insostituibile tazzina di “ristretto” al bar possa diventare uno degli esempi più diffusi dell’aumento dell’inflazione che batte alle porte.
L’impennata dei prezzi dei futures sul mercato di New York, secondo gli esperti, non è provocato in quest’occasione dalle incursioni speculative che periodicamente investono questa commodity, esposta più di altre ai capricci delle gelate. Stavolta dietro gli acquisti a termine ci sono i traders “fisici” del caffè, preoccupati dal rischio di non poter fare fronte alla richiesta della domanda. Non è solo questione di produzione, anche se i problemi non mancano in Brasile, come in Etiopia ed in Vietnam, leader nel mercato della meno pregiata qualità robusta. Ma in queste settimane che precedono il Natale (stagione del picco dei consumi) i traders faticano a trovare le navi per trasportare le merci verso i porti d’approdo, compresa Trieste, la piazza leader d’Europa già tormentata dalle agitazioni no vax. In cifre, secondo Coffee Exporters Council of Brazil, l’organizzazione più importante a livello globale, i volumi di merce in viaggio lo scorso ottobre risultavano del 24 per cento più bassi rispetto all’anno precedente.
Non solo. La difficoltà a trovare un passaggio marittimo ha non solo provocato un forte aumento del prezzo dei noli per il trasporto ma ha anche favorito il fenomeno dell’accaparramento da parte di mercanti i produttori. “ Molti coltivatori – si legge nel bollettino del dipartimento dell’agricoltura americano – stanno trovando più conveniente fare default, pagando le penali sui contratti sottoscritti a suo tempo, e rivendere la merce ai prezzi attuali,. Ovvero al doppio”. E presto anche di più visto che le previsioni parlano di quotazioni oltre i 3 dollari per libbra già nel 2022, anno in cui la produzione rischia di essere ancora più bassa della domanda.
Diversi fattori favoriscono la tesi rialzista. A partire dai problemi del raccolto In Brasile, afflitto dalla siccità, il raccolto è stato funestato a luglio dalle improvvise gelate che non hanno tanto compromesso il raccolto quanto danneggiato gli alberi rendendoli più vulnerabili all’arrivo della Nina, foriera di siccità. In Vietnam, invece, il rischio è rappresentato dal rischio di nuove esplosioni del contagio che stanno mettendo a dura priva l’intera economia dell’ultima tigre asiatica, dai maglioni di Gap (che forse non arriveranno in Usa in tempo per Natale) ai raccolti di Robusta. E l’Etiopia, paese chiave per la fornitura della qualità Arabica, è investita dal conflitto.
Insomma, la tazzina di caffè darà il suo contributo a render sempre meno “transitoria” l’ondata di inflazione in arrivo. Anche perché, a fronte del carovita, sale la risposta dei baristi. Dopo Amazon è Starbuck ad essere investita in questi giorni dalla richiesta di creare un sindacato, prospettiva contro cui l’azienda ha già mobilitato una campagna miliardaria.