Parte alla grande la settimana finanziaria di Piazza Affari, dopo un’ottava volatile, ma illuminata nel weekend dalla promozione del rating del debito sovrano del paese da parte di Fitch (da BBB- a BBB+ con outlook stabile). Sul secondario lo spread tra decennale italiano e tedesco scende a 127 punti base (-2,67%) e il tasso del Btp cala a +0,88% (scende anche il Bund a -0,39%).
Il Ftse Mib chiude la seduta con un rialzo dell’+2,16%, 26.498 punti ed è tra i migliori in Europa, dietro solo a Madrid +2,35%. Sono leggermente più arretrate Francoforte +1,4%, Parigi +1,48%, Amsterdam +0,8%, Londra +1,57%.
Il clima positivo nel Vecchio Continente, nonostante le perdite registrate dalle Borse asiatiche, è stato favorito da commenti ottimistici sulla pandemia e, nel pomeriggio, dall’andamento di Wall Street, contrastata in avvio, ma ora in deciso rialzo, con il Dow Jones oltre la soglia dei 35mila punti.
Sono incoraggianti le notizie provenienti dal Sud Africa sul Covid, secondo cui i contagiati da variante Omicron mostrano solo sintomi moderati. Inoltre Anthony Fauci, massimo consigliere della Casa Bianca in questo campo, ha detto alla Cnn che “non sembra ci sia un alto grado di severità nella variante Omicron”.
Di conseguenza si muove in rialzo il petrolio. I future di Brent e Wti sono attualmente in progresso del 2,5% circa, intorno 72 e 68 dollari al barile. La scorsa ottava entrambi hanno sofferto il sesto ribasso settimanale consecutivo, ma ieri l’Arabia Saudita ha annunciato l’aumento dei prezzi da gennaio di tutte le varietà di greggio vendute in Asia e negli Usa fino a 80 centesimi. Inoltre sembra allontanarsi la prospettiva di un ritorno delle esportazioni iraniane, dopo la conclusione infruttuosa di un altro round di trattative indirette tra Iran e Stati Uniti per rivitalizzare l’accordo del 2015 sul nucleare.
Sul mercato dei cambi sale il dollaro contro cui l’euro mostra un cross intorno a 1,127. Recupera leggermente il bitcoin, dopo il recente crollo e vale circa 49mila dollari.
In Piazza Affari sono positivi i titoli oil, in particolare Eni +2,35%. Brilla Maire Tecnimont +2,13%, che si è aggiudicata contratti per 3,5 miliardi di dollari negli Emirati Arabi.
A dominare il listino principale però sono soprattutto i titoli industriali, le utility e le banche. Il primo piano è per Italgas +3,66%, Pirelli +3,61%, Hera +3,6%. Volano i titoli della galassia Agnelli: Cnh +3,49%, Stellantis +3,48%, Juventus +3,48%.
Tre le banche nella top ten: Bper +3,15%; Intesa +3,1%; Banco Bpm +3,02%. È poco più timida Unicredit, +2,7%, in attesa del piano industriale, che verrà illustrato giovedì. Gli analisti di Jp Morgan hanno intanto incrementato il target price sull’istituto guidato da Andrea Orcel, portandolo da 12 euro a 15 euro.
Il colosso Enel sale del 3,02%, dopo aver perfezionato la cessione della partecipazione in Open Fiber (pari al 50% del capitale) in favore di Macquarie Asset Management e di CDP Equity, a seguito del verificarsi di tutte le condizioni previste dai contratti con essi stipulati. Il corrispettivo complessivo incassato da Enel è di 2,73 miliardi di euro, per una plusvalenza di circa 1,76 miliardi di euro, oltre a un effetto sull’indebitamento finanziario netto consolidato di circa 2,42 miliardi di euro.
In evidenza Generali +2,31% e Banca Generali +1,57%. Secondo notizie stampa Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone starebbero preparando un controllino che farà perno sul risparmio gestito.
Recupera le perdite iniziali e chiude in progresso Leonardo, +1,3%, nonostante il taglio di giudizio di Bofa Merryll Lynch, che non vede di buon occhio un possibile avvicinamento del gruppo a Fincantieri (+2,25%).
Nella parte bassa del listino trovano spazio solo pochi titoli, in particolare Diasorin -2,49% e Amplifon -0,24%.
Fa storia a sé Telecom, -1,38%, che resta sotto i riflettori dopo la manifestazione d’interesse del fondo Kkr. Sull’umore di oggi pesano le contromosse dell’azionista Vivendi (24% del capitale) che, dalle pagine di Repubblica, dice di essere pronto a valutare un progetto per il passaggio del controllo della rete allo Stato, se fosse propedeutico a un disegno strategico a guida istituzionale e preservando il valore del proprio investimento. In passato i francesi erano sempre stati restii al passaggio di controllo della rete.