Si intitola “Draghi o il caos. La grande disgregazione: l’Italia ha una via ‘d’uscita?” il nuovo libro di Lodovico Festa e Giulio Sapelli, edito da Guerini e goWare. Un libro colto ma che farà discutere per le proposte politiche che contiene, la principale delle quali è l’auspicio che Mario Draghi venga eletto Presidente della Repubblica. Un’opinione rispettabile ma che solleva un grosso interrogativo.
In tempi non sospetti FIRSTonline ha scritto che in realtà di Draghi ce ne vorrebbero due – uno per il Quirinale e uno per Palazzo Chigi – ma che, non potendo nemmeno SuperMario sdoppiarsi, sarebbe preferibile che restasse a Palazzo Chigi. Sapelli e Festa sostengono il contrario e non sono i soli. Ritengono che l’ascesa di Draghi al Colle sarebbe l’unico modo possibile per fermare la grande disgregazione che investe l’Italia. Ma, con tutto il rispetto che si deve alle scelte personali del premier e a quelle del Parlamento, c’è una domanda ineludibile che si pone se il premier salisse al Quirinale: senza Draghi, le forze politiche sarebbero in grado di formare subito un Governo in grado di attuare il PNRR e di completare le riforme nei mesi cruciali del 2022? Peggio ancora se si andasse a elezioni anticipate e all’interruzione della legislatura proprio nel momento cruciale in cui l’Italia, dopo un rimbalzo impressionante del Pil nel 2021, ha l’occasione irripetibile e unica di alzare il potenziale di crescita oltre l’emergenza. È vero o non è vero che il maggiore interesse nazionale è proprio questo? Quello cioè di creare le basi, modernizzando il Paese, per una crescita elevata e duratura, che richiede un Governo di qualità che faccia subito e fino in fondo la sua parte come sta facendo il Governo Draghi. In politica come nella vita il timing è tutto e questo momento magico è oggi e per coglierlo Draghi – con tutto il rispetto per la tesi dei due autorevoli autori – è più utile alla guida del Governo (dove non ha vere alternative) che al Quirinale.
Abbiamo raccolto in questo libro “Draghi o il caos – La grande disgregazione: l’Italia ha una via d’uscita?” molte analisi da entrambi svolte sullo stato politico ed economico-sociale dell’Italia.
L’Italia è certo pienamente inserita nelle tendenze sempre più unificate dei processi di globalizzazione in corso, che con tratto omogeneo si sono espresse anche nel contrasto alla pandemia scoppiata nel 2020. Ma dall’altro canto noi italiani facciamo i conti con una crisi della politica e delle istituzioni che è largamente originale.La democrazia è messa alla prova in tutto il mondo, regimi autoritari si affermano anche in Stati che avevano iniziato un percorso di affermazione delle libertà e dei diritti della persona. Però il tipo di crisi verticale dello Stato iniziato in Italia nel 1992, con la distruzione o lo sbandamento dei partiti fondamentali nella storia della Repubblica e con uno slittamento del potere dalle assemblee elettive alla magistratura, è un fenomeno originale.
Così come lo è, dopo il 2011, il sostanziale commissariamento del nostro governo da parte del Quirinale, d’intesa con l’asse franco-tedesco che egemonizza l’Unione europea.
Molti sono i motivi che spiegano questa nostra deriva: l’incapacità e la difficoltà di trasformare la nostra Repubblica, che aveva e ha alcune delle sue fondamenta nel contesto determinato dalla Guerra fredda. L’esigenza di affrontare la crisi finanziaria del 2008 e quella da debito sovrano del 2011 hanno spinto il vertice della Repubblica a cercare un rapporto speciale «d’emergenza» con la Commissione europea che per larghi tratti ha portato a quella sorta di commissariamento di cui dicevamo pocanzi.
Se le radici dei fenomeni che descriviamo sono comprensibili, non si può non osservare come il parziale e progressivo svuotamento della politica abbia provocato una profonda disgregazione della nostra società. Nel momento in cui scriviamo, ci pare, però, di cogliere un’opportunità per iniziare a invertire la tendenza alla quale siamo stati soggetti. La comparsa nel quadro istituzionale di una personalità come Mario Draghi, stimato per la sua competenza e per le sue relazioni internazionali, offre forse una chance per avviare un’opera di risanamento.
I destini dell’Italia possono essere diversi: se per un miracolo l’Unione europea divenisse una vera istituzione federale molte delle nostre contraddizioni sarebbero risolte a quel livello. L’ipotesi di una sorta di definitiva disgregazione della nostra nazione non è tuttavia da cancellare: così avvenne nel «vicino» 1400 quando eravamo all’avanguardia dell’Occidente.
Tuttavia anche la via del risanamento, non è ancora del tutto preclusa. Ma la condizione perché si affermi, non essendo prevedibili soluzioni autoritarie nel medio termine, risiede in una ripresa della politica come forma essenziale delle relazioni della società con le istituzioni.
La presidenza di Mario Draghi può aiutare l’affermarsi di un simile processo solo se eserciterà dal Quirinale una funzione di garante e di arbitro che lasci ai partiti (e ai cittadini ai quali deve essere consentito di dare, attraverso il voto, un indirizzo politico nazionale e non solo di esprimere una scelta di preferenza partitica) il ruolo centrale che spetta loro in uno Stato democratico. Garante nel contesto internazionale politico-finanziario; arbitro nel fissare alcune regole per le scelte politiche che, qui e oggi, non possono non tenere conto degli indirizzi dell’Unione europea. Sarebbe un peccato perdere questa occasione e pensare che la sola «competenza» possa rimediare ai guasti italiani, non valutando le questioni sistemiche che dobbiamo affrontare.
Questa convinzione ci ha spinto a scrivere un breve saggio diviso tra l’analisi di quel che succede ed è successo, e la proposta politica che ne deriviamo.
Premessa del Libro “Draghi e il Caos” di Lodovico Festa e Giulio Sapelli