Due gli obiettivi principali dell’ultimo Forum economico eurasiatico che si è svolto a Verona il 28 e 29 ottobre a Verona. Uno è stato svelato da Antonio Fallico, presidente di Banca Intesa Russia e ideatore dell’evento annuale alla sua XIV edizione. L’altro è stato scritto nero su bianco nell’appello finale al G20 e al B20, letto sempre da Fallico in chiusura dei lavori. Quello a braccioha riguardato la fine delle sanzioni e degli embarghi. Quello scritto ha chiesto ai Grandi di usare tutta l prudenza possibile nel momento delle transizioni digitali ed energetiche. Bruxelles le cancelli.
Il presidente Fallico è conoscitore attento e grande amico della Russia, che segue da professionista fin dal 1995 da quando cioè fu accreditato dalla Banca centrale della Federazione Russa come direttore dell’ufficio di rappresentanza di Mosca di Banca Intesa San Paolo. Con gli anni ha intensificato il lavoro di connessione fra i due Paesi e per questo impegno è stato premiato da entrambi. Dalla Russia ha ricevuto l’Ordine dell’amicizia, nel 2008, la medaglia del ministero degli affari esteri, nel 2015, e l’Ordine d’Onore, nel 2017. Dall’Italia ha ricevuto l’Ordine al Merito del lavoro, nel 2006. L’incontro annuale di Verona nasce su sua ispirazione nel 2007 quando fonda Conoscere l’Eurasia. L’obiettivo dell’associazione è quello intuibile: fare in modo che russi (e eurasiatici) e italiani dialoghino per trovare insieme risposte alle domande del tempo. Da allora ogni anno Verona ospita un forum-evento potente per i numeri, per la qualità dei partecipanti, per gli obiettivi che si propone.
Prendiamo quello di quest’anno: in due giorni hanno preso la parola nei 10 panel su tutti i temi più caldi nell’agenda della politica mondiale, dalla transizione energetica a quella digitale, al futuro dopo la pandemia, 70 relatori, tutti di calibro alto, come si dice. Da parte italiana, per citare solo i più noti fra i protagonisti , si sono avvicendati sul palco allestito nel bellissimo palazzo di Gran Guardia, Giovanni Bazoli, Romano Prodi, Marco Tronchetti Provera, Emma Marcegaglia, Paolo Scaroni, Francesco Profumo, Paolo Gallo. Per la parte russa nomi di altrettanto prestigio, dal consigliere di Putin Valery Fadeev, allo scienziato Sergey Karaganov, ai due scopritori del vaccino Sputnik, Kostantin Chernov e Aleksandr Gorelov, al presidente degli industriali, Aleksandr Shokhin , al presidente di Rosneft, la prima compagnia petrolifera del Paese, Igor Sechin.
Si diceva degli appelli. Per quel che riguarda le sanzioni economiche a Mosca, ricordiamo che furono introdotte nel 2014 all’indomani dello scontro fra Russia e Ucraina dopo l’annessione della Crimea da parte dei russi. Sono state confermate da allora di sei mesi in sei mesi e saranno in vigore fino al giugno del 2022. A meno che Mosca non rispetti gli accordi di Minsk, firmati nella capitale bielorussa, e che prevedono fra l’altro una riorganizzazione dell’area contesa di comune accordo fra ucraini e russi. Finora Putin ha fatto finta di niente, volendo dimostrare che le sanzioni non gli fanno paura. Eppure innocue non lo sono state.
Dal punto di vista politico hanno escluso Putin da vertici bilaterali Ue-Russia e dal G8; quanto all’economia, sono stai colpiti il mercato dei capitali da e verso la Russia, quello delle armi e quello della collaborazione tecnologica nel settore petrolifero; senza contare che sono stati vietati l’ingresso nella Ue e bloccati i fondi di 164 persone e 44 entità che hanno avuto a che vedere con la guerra.
E le esportazioni di petrolio russo verso la Ue? Quanto soffre Mosca? Qui tutto è più incerto. E’ vero che la contrazione è stata significativa dopo le sanzioni arrivando in alcuni momenti fino al -43%, ma è altrettanto vero, come dimostra uno studio dell’Ispi, che essa ha coinciso con la crisi di petrolio e gas il cui crollo dei prezzi è iniziato proprio nel giugno del 2014, quindi pochi mesi dopo l’entrata in vigore delle sanzioni.
Così le importazioni europee da Mosca di petrolio e gas non sono diminuite e, paradossalmente, se nel 2014, subito dopo la crisi ucraina, come riporta sempre l’Ispi, la quota era scesa al 30%, nel 2018, siamo tornati ai valori massimi, 41%.
La verità – e si capisce a questo punto il senso dell’appello del Forum di Verona – è che il contraccolpo sull’export Ue dopo le contro-sanzioni di Mosca, per le aziende non è stato indolore. Si è calcolato un calo di affari in circa 50 miliardi di dollari in meno in cinque anni, sebbene questa cifra – fanno notare gli esperti – sia pari solo alla 0,9% delle esportazioni totali della Ue. Più significativo l’impatto sul mercato italiano: la mancata esportazione di macchinari ha fatto registrare una contrazione di oltre 2 miliardi di euro nel periodo pre-covid; mentre altri settori di punta, tipo abbigliamento, calzaturiero e mobili, hanno avuto una contrazione fino al 55% rispetto al 2013. Anche il settore agroalimentare è stato colpito registrando un 45% in meno di esportazione.
Insomma quel “togliete le sanzioni” conclusivo del Forum è sicuramente un atto di amicizia verso la Russia, ma lo è ancora di più verso le aziende italiane che da 7 anni lavorano part time con il grande colosso euroasiatico. I tempi sono maturi, hanno detto imprese, scienziati ed economisti a Verona. Certo, ci vorrebbe anche un po’ di buona volontà da parte di Mosca. Magari mostrando di voler applicare quegli accordi che in fin dei conti sono stati firmati anche da Putin.
Quanto all’appello scritto sulla transizione energetica, ricordando che “l’Europa e l’Asia hanno bisogno di più gas naturale per fermare e invertire la loro dipendenza dal carbone, riemersa di recente, nella produzione elettrica”, da Verona è partita “una forte richiesta, quella di accorciare le distanze tra le irrealistiche ambizioni di risolvere in poche settimane gli immensi problemi legati al cambiamento climatico, e la necessità di avere un affidabile sistema energetico già dal prossimo inverno, su cui parlare, dalla primavera in poi, delle grandi sfide che tutti noi abbiamo davanti”.