La transizione energetica in Europa ha bisogno di una poderosa accelerata per centrare i propri obiettivi. E i numeri parlano chiaro: nel 2030 per raggiungere il taglio programmato del 55% di gas serra servirebbero 10.937 miliardi ma procedendo al ritmo attuale la Ue accumulerà un divario di ben 3.564 miliardi nei prossimi dieci anni. In Italia il gap sarà di 186 miliardi rispetto allo scenario elaborato dal Piano nazionale energia e clima (Pniec). Sull’altro piatto della bilancia ci sono i benefici legati alla realizzazione dei target: gli investimenti aggiuntivi, infatti, possono generare un effetto moltiplicatore più che raddoppiando il proprio impatto, generando una crescita del Pil europeo di 8.126 miliardi, mentre per l’Italia l’effetto positivo in termini di Pil è valutato in 424 miliardi.
Sono le cifre significative del rapporto su “La governance europea della transizione energetica” realizzato da Fondazione Enel con The European House Ambrosetti e presentato dall’Ad e direttore generale del gruppo elettrico Francesco Starace a Cernobbio. “La decisione dell’UE di ridurre le emissioni di gas serra del 55%, e non più del 40%, entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), accompagnata dalla recente proposta del pacchetto “Fit for 55”, conferma che la decarbonizzazione è al centro della costruzione dell’Europa del futuro”, ha commentato Francesco Starace. “Colmare il gap di investimento con circa 3.600 miliardi di euro necessari per raggiungere l’obiettivo del 2030 in Europa, di cui circa 190 miliardi solo in Italia, avrebbe un impatto cumulativo sul PIL di oltre 8.000 miliardi di euro, di cui oltre 400 solo nel nostro Paese. Tuttavia al passo attuale l’Europa centrerebbe il nuovo obiettivo al 2030 sulle rinnovabili soltanto nel 2043. Sarebbe troppo tardi e sarebbe un peccato perdere anche l’occasione di una creazione di valore economico così grande. Occorre quindi accelerare e dotarsi di un sistema di governance adeguato alla portata della sfida, che sappia tradurre in azione concreta le intenzioni e valorizzare le enormi opportunità che derivano da questo impegno.”
“L’impegno dell’Europa è stato confermato e ulteriormente corroborato dal recente pacchetto “Fit for 55”, che prospetta un percorso di transizione energetica molto ambizioso per il continente. L’Europa dovrà moltiplicare gli sforzi per implementare questo cambiamento – ha aggiunto Valerio De Molli, Managing Partner e Ceo di The European House – Ambrosetti – perché, di questo passo, il continente raggiungerebbe il nuovo obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) del 55% non nel 2030, bensì nel 2051, ossia con 21 anni di ritardo. Per quanto riguarda le energie rinnovabili, al passo attuale, il nuovo obiettivo del 40% fissato per il 2030 verrebbe raggiunto solo nel 2043. Dal punto di vista dell’efficienza energetica, con gli attuali livelli di miglioramento, l’Europa arriverà a quota +36% nel 2053 invece che nel 2030.”
E da questi numeri che parte la richiesta di un veloce cambio di rotta nella governance europea della transizione energetica per affrontare sia i meccanismi di gestione a livello comunitario sia a livello italiano dove la frammentazione dei centri decisionali, delle normative e delle conseguenti responsabilità rallenta, quando non blocca del tutto, la realizzazione dei piani di investimento e la loro accettazione da parte delle comunità locali.
Per uscire dal collo di bottiglia, il rapporto formula dunque sette proposte. A livello europeo, la richiesta è di “rafforzare la cooperazione nella governance della transizione energetica, riconoscendo ufficialmente il suo ruolo critico e di adottare un approccio regionale per favorire l’integrazione dei mercati europei”. Lo studio propone poi di incoraggiare a livello internazionale il Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM) e di promuovere meccanismi più efficaci per assicurare che i Nationally Determined Contributions (NDC) siano coerenti con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Per quanto riguarda invece direttamente l’Italia, la principale richiesta è sempre la stessa da anni – per quanto inascoltata finora dai decisori politici – e cioè di “semplificare le procedure di autorizzazione per gli impianti a fonte rinnovabile e promuovere interventi in favore dell’efficienza energetica. A questa se ne affiancano altre, più tecniche: “creare un meccanismo di interazione omogeneo e standardizzato tra le autorità locali da un lato e i distributori di elettricità (Distribution System Operator, DSO) e i gestori dei punti di ricarica (Charge Point Operator, CPO) dall’altro per favorire lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica, e infine di promuovere la piena integrazione di distretti industriali e cluster di imprese a livello locale, di ecosistemi di innovazione e di comunità energetiche con la rete di distribuzione nazionale”.