Più che un ristorante è un laboratorio di napoletanità giovanile, autentica, appassionata, entusiasta. Una napoletanità ricercata nella proposta gastronomica basata sul ricordo dei tempi passati, quelli dei buoni sapori delle nonne, nella voglia di atmosfera rilassata, nel gusto dell’intrattenimento, ma anche nel determinato proposito di non cedere alla nostalgia, al retrò avvinto dalle ragnatele delle rimembranze, bensì di interpretare questo grande patrimonio in maniera raffinata ed elegante.
Aveva le idee ben chiare Fabrizio Gargiulo, oggi 30 anni appena compiuti, sorrentino da generazioni, quando, a 22 anni puntò gli occhi sul ristorante di uno zio a Marina Grande di Sorrento, il borgo marinaro straordinaria quinta scenografica di un film che ha fatto epoca “Pane, amore e…” simbolo della commedia italiana anni Cinquanta con una esuberantissima Sophia Loren, un grandioso Vittorio De Sica, vincitore di un David di Donatello, dove tutto sembra essere rimasto fermo nel tempo, a quei meravigliosi anni ’50. E dove ancora oggi a distanza di settanta anni, i turisti arrivano a scoprire le tracce di quel film evergreen campione di incassi. Il fatto è che lo zio aveva deciso di cambiare vita per dedicarsi alla sua professione preferita, quella di maestro d’ascia per realizzare la sua idea dei celebrati gozzi sorrentini. Fabrizio che in quel ristorante aveva lavorato fin dall’età di tredici anni in sala per guadagnarsi un piccolo stipendio e qualche mancia, gli propose di acquistare il vecchio ristorante, un po’ retrò, in linea con analoghi locali che a Marina Grande vivono di turismo estero e di conseguente standardizzata qualità.
Aveva idee chiare e anche tanta voglia di mettersi in gioco. Ottenere il fido in banca fu un’impresa per la sua giovane età. Ma ottenne fiducia spiegando con determinazione il suo progetto innovativo.
Un po’ ti ricorda, con i suoi capelli arruffati, Angelo Branduardi, e con il grande cantautore condivide non solo il taglio dei capelli, ma anche la capacità di far dialogare con passione passato e presente: il musicista nella ricerca di un nuovo genere musicale in grado di coniugare la musica antica (in particolare medievale e rinascimentale) con la musica folk tradizionale e di tradizione celtica e nord-europea; il giovane ex garzone, ora novello manager, nel voler realizzare un progetto gastronomico che volge la testa indietro alla ricerca delle radici, quelle delle nonne, dei racconti degli anziani, dei vecchi pescatori, ma poi è pronto a compiere grandi voli pindarici di innovazione, a rinnovare per dare nuova luce e gusto alla tradizione. Una scelta che in sei anni lo ha portato ad attestare il suo ristorante Soul&Fish, proteso sul mare di un braccio di Marina Grande, come uno dei più raffinati ed esclusivi di questo angolo di paradiso.
Il segreto? Una forte motivazione che ha galvanizzato tre fratelli e due cugini, un laboratorio di armonia familiare, che si è dimostrato vincente. Un’avventura collettiva sospinta dall’energia giovanile di un gruppo di ragazzi decisi a dare un tocco di vitalità alla gloriosa cucina di tradizione familiare con l’entusiasmo che solo una carica giovanile può rendere possibile.
E dunque al momento dell’acquisto il giovane Fabrizio chiamò a raccolta la famiglia, il cugino Vincenzo Incoronato, lo chef, allora 26enne, richiamato in patria da un ristorante in Norvegia che aveva incontrato grande successo nella proposta di cucina italiana di tradizione nel paese scandinavo; la sorella Fiorenza, allora ventenne, che frequentava l’Università a Napoli per laurearsi in Comunicazione che si dedicò all’immagine, il fratello Francesco allora 25enne da sempre appassionato di vino che si laureerà sommelier AIS, l’altro cugino Antonino Incoronato, allora ventenne fatto crescere in fretta come responsabile di sala.
Neanche 120 anni in cinque, ma tutti animati da una forte voglia di dimostrare che potevano farcela ad affermare qualcosa di nuovo in un settore, quello della ristorazione della Marina, a dire la verità un po’ troppo fermo sulla tradizione, sul quale hanno gravato non poco in questi due ultimi anni gli effetti del covid. Ma non per loro che non si sono mai persi d’animo.
Intanto la prima scelta, quella del nome da dare al ristorante. In tutta la costiera solitamente si trovano tantissimi “Da Nino”, “Da Antonio”, “Da Maria”, nomi ammiccanti di facile memorizzazione per i turisti esteri. Fabrizio Gargiulo ha intuito che bisognava cambiare aria fin da subito e andando in controtendenza ha scelto un nome estero “Soul & Fish”, un azzardo, ma con un preciso obiettivo, puntare a fidelizzare un pubblico locale, per sottrarre il suo ristorante alla stagionalità turistica, per conquistare con una proposta innovativa una clientela spalmata lungo tutto il corso dell’anno.
“E’ stata dura- dice – abbiamo firmato il contratto ad aprile e senza perdere tempo siamo entrati nei locali e abbiamo aperto il nostro “nuovo” ristorante buttandoci a capofitto in questa avventura costruita giorno dopo giorno. Per due anni tutto quello che abbiamo guadagnato non è andato nelle nostre tasche, lo abbiamo reinvestito rinnovando le cucine, l’impiantistica e le infrastrutture”.
Poi è stato tutto una marcia forzata verso la qualità, la materia prima. Il pescato è non a km0 ma a pochi metri dal locale. Perché proprio di fronte al braccio di mare su cui si affaccia “Soul&Fish”, c’è il porto della piccola flotta peschereccia sorrentina, quella autentica non quella che fa pescaturismo. Li vedono partire e quando attraccano i pescherecci uno di loro è sempre fra i primi ad acquistare quello freschissimo che arriva dal mare.
Ristorante di pesce assoluto ed esclusivo dunque dello specchio di mare del Golfo, dove il sapore della napoletanità è assicurato. E per le verdure? Tutto arriva dalla famiglia dello Chef che ha una ricca campagna a Trasaella, vicino ai colli di Fontanelle. Per chi non conosce la zona siamo su un crinale assolato che si affaccia sul golfo di Napoli da una parte e il Golfo di Salerno dall’altra, una zona sui quattrocento metri che gode di un clima particolare di cui beneficiano numerosi orti di quest’area dove, non a caso, ogni anno si tiene per tre giorni la sagra dei prodotti tipici dell’agricoltura peninsulare che risale al 1980.
E per i formaggi, inutile dirlo, la vicinanza con i monti Lattari (nomen omen) dove la produzione casaria è una tradizione che risale ai tempi dei romani, garantisce una miniera di tesori gastronomici di alto livello.
“Non ci siamo mai seduti sugli allori in questi anni – dice ancora Gargiulo-Branduardi – abbiamo raggiunto importanti traguardi, abbiamo conquistato una importante clientela, ma guardiamo sempre avanti per migliorarci, per apprendere qualcosa di più, siamo appassionati…”.
Una passione che li spinge, nei giorni di chiusura del locale a esplorare l’entroterra alla ricerca di artigiani, tradizioni, cultura gastronomica genuina, per distinguersi.
E’ proprio esplorando cantine e aziende agricole che Francesco Gargiulo, il sommelier della famiglia, ha scoperto delle vere e proprie chicche enologiche che oggi arricchiscono la sua carta di vini ma che sono entrate anche nella lista di altri ristoranti.
E si aggira curioso, fra libri di storia e massaie nei mercati, Vincenzo Incoronato, lo Chef uscito dalla Scuola Alberghiera di Vico Equense, la stessa in cui sono nati Antonino Cannavacciuolo e Gennarino Esposito, i giganti della montagna culinaria italiana, alla ricerca di ispirazioni, di vecchie ricette da reinterpretare in proposte innovative e creative che vogliono essere una chiave di accesso moderna ai tesori gastronomici della penisola sorrentina.
Perché passato e presente convivono in questo locale fortemente radicato nel territorio. Oggi il vecchio ristorante di tradizione è una moderna e raffinata location. Con un format originale, da una parte il ristorante, da un’altra una spiaggia dove è stato conservata una testimonianza del vecchio stabilimento balnere, attivo fino alle 18 poi si sbaracca tutto per la cena “per rimanere nelle nostre origini “, come dice con orgoglio, Fiorenza Gargiulo, e dall’altra una veranda riservata solo ai tavoli a due, per una atmosfera romantica giovanile (e non solo) perché alla Marina Grande, come dice una vecchia canzone di Libero Bovio di inizio secolo, ripresa dall’indimenticabile Fausto Cigliano “E’ ‘o mare che canta, ‘stu mare lucente. E ‘a canzone se chiama “Surriento”. E ‘a Luna, ch’ ‘a sente, s’ ‘a ‘mpara ‘e cantà”.
La ricetta proposta questa settimana ai lettori di Mondo Food dallo Chef Vincenzo Incoronato è una Caponatina di mare, ricordo di una cucina povera di un tempo quando si recuperavano gli avanzi del giorno, per preparare una merenda saporita per spezzare l’appetito dei ragazzi, con pescato di mare, taralli integrali insaporiti dalle arance, dal finocchietto selvatico. Incoronato la ripropone con un tocco di fantasia come una armonia di sapori e di profumi che rappresentano la sintesi della sua cucina ma al tempo stesso l’omaggio di cinque ragazzi alla loro Sorrento.
La ricetta della Caponatina di mare e terra dello Chef Vincenzo Incoronato
Ingredienti per 4 persone
800 gr di seppie fresche sporche
400 gr di rucola selvatica
5 arance di Sorrento
3 limoni
200 gr di pistacchio in polvere
4 biscotti integrali al finocchietto di Agerola
olio evo qb
sale qb
Procedimento:
Pulire le seppie privandole delle interiora e della pelle; nel frattempo preparare una pentola con acqua e una scorza di limone per portarla a bollore.
Cuocere le seppie pulite per circa 20 minuti, per poi raffreddarle tempestivamente in una ciotola con acqua e ghiaccio.
In seguito, tagliare le seppie a listarelle sottili e riporle in un recipiente abbastanza capiente per poterle condire con sale, olio, succo di limone e della scorza di arancio grattugiato.
Successivamente aggiungere la rucola pulita e le arance pelate a vivo e tagliate a tocchetti.
Preparare, a parte, una ciotola con acqua, sale e olio per immergervi i biscotti agerolesi, lasciandoli in ammollo per qualche secondo.
Infine, riporre gli stessi sul fondo del piatto adagiandovi l’insalatina di seppie appena preparata, senza dimenticare di chiudere con una spolverata di pistacchio.
Enjoy!