Quale sarà l’Arabia Saudita dell’era post-petrolio? Alzi la mano chi ha pensato al Cile, la terra benedetta delle energie rinnovabili, più che mai ambite dopo la pubblicazione del rapporto Ipcc sull’ambiente. Eppure il governo di Santiago del Cile, pur impegnato in una delicatissima revisione della carta costituzionale che risale ancora agli anni di Pinochet, ha lanciato in questi giorni un fondo (50 milioni di dollari) per sostenere progetti di sviluppo della filiera delle rinnovabili e avviato una sorta di diplomazia “verde” al servizio di un obiettivo ambizioso: diventare il leader mondiale della produzione di “idrogeno verde”, il gas pulito che si ricava via elettrolisi che serve a far funzionare, senza emissioni dannose, industrie ad alto tasso di inquinamento come la siderurgia (vedi i piani Snam sull’Ilva di Taranto).
A sostenere i piani del Cile, accelerati dopo il blocco delle forniture di gas dall’Argentina nel 2007, c’è la geografia, che fa del Paese sudamericano una sorta di Eden per la produzione di energia rinnovabile. Lungo i 4.500 chilometri entro cui si snoda il territorio tra l’Oceano Pacifico e le catene montuose andine, s possono produrre in pratica tutte le forme di energia rinnovabili del pianeta: vale per il torrido deserto di Atacama, battuto dai raggi solari più intensi del pianeta, così come per i 4 mila chilometri di costa o le pianure della Patagonia, entrambi battute da folate di vento forti ed insistenti. Caratteristiche ideali per l’energia solare e per quella eolica cresciute di dieci volte dal 2015 in poi, grazie ai forti investimenti delle multinazionali, sotto la spinta dell’obiettivo governativo di chiudere tutte le centrali a carbone entro il 2040.
In questa cornice il fondo Usa EIG Global Energy ha sfruttato le caratteristiche climatiche (e il clima politico favorevole a questi investimenti) destinando 800 milioni di dollari alla costruzione della prima centrale termodinamica del Continente, in grado di garantire l’elettricità a 250 mila abitanti grazie al calore emesso da una turbina che funziona grazie al vapore acqueo.
Ma il Cile rappresenta ormai più di un laboratorio sul campo per i grandi dell’energia, a partire da Enel, uno dei protagonisti assoluti di questa trasformazione. Enel Green Power da tempo sfrutta le caratteristiche eccezionali del Cile operando nel solare e nell’eolico, ma anche con investimenti nell’energia idroelettrica e nel geotermico con investimenti in 44 impianti che hanno mobilitato più di 4 mila lavoratori e permesso di concludere più di 300 contratti di fornitura di energia da rinnovabili senza consumo di CO2. Ora la vera sfida riguarda l’idrogeno verde: nella regione di Magallanes, nella Patagonia, Enel Green Power assieme a Siemens ed altre multinazionali (Porsche, Enap e la cilena Andes Mining & Energy) sta sviluppando da tre anni un progetto per estrarre idrogeno verde dall’acqua tramite un processo di elettrolisi supportato da energie rinnovabili. L’impianto, che entrerà in produzione l’anno prossimo, è alimentato da una turbina eolica da 3,4 Megawatt da un impianto di electrolyzer da 1,25 Mw. Un sistema che si completerà con la creazione di impianti per immagazzinare l’energia.
Qui sta in cuore delle ambizioni cilene di diventare un grande protagonista della rivoluzione dell’idrogeno verde. A differenza che nel nord, in Patagonia non manca l’acqua necessaria per la produzione garantita dall’energia eolica. E la vicinanza alle rotte marittime dello stretto di Magellano verso l’Europa rende credibile l’obiettivo di esportare entro il 2035 i due terzi dell’idrogeno prodotto dalla nazione andina, che ambisce al titolo di Arabia verde.