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L’America Latina ha fame di istruzione e innovazione, non di populismo

Le condizioni necessarie affinché gli investimenti privati gravitino verso la regione sono un contesto imprenditoriale credibile e la stabilità politica per le riforme. La pandemia ha acuito le disuguaglianze nel mercato del lavoro e l’aumento dell’inflazione minaccia di aggravare ulteriormente la situazione

L’America Latina ha fame di istruzione e innovazione, non di populismo

In America Latina la pandemia ha acuito le disuguaglianze strutturali nel mercato del lavoro: si vedano a questa proposito un’elevata correlazione tra la capacità di lavorare da remoto e l’istruzione, un rapporto molto elevato tra salario minimo e salario medio o mediano, e la predominanza del settore informale, dove i lavoratori non hanno accesso a un’assicurazione contro la disoccupazione. In questo contesto, la perdita di posti di lavoro e di reddito colpisce più duramente i lavoratori meno qualificati e non istruiti. Inoltre, le differenze professionali preesistenti in termini di sesso ed età si sono tradotte in maggiori disparità e vulnerabilità, dal momento che l’onere di ulteriori responsabilità di casa e assistenza si ripercuote sulle donne. Di conseguenza, il divario remunerativo è destinato a crescere ulteriormente.

Un allarmante aumento dell’inflazione minaccia di aggravare ulteriormente la situazione, dal momento che le spese per alimenti e carburante in percentuale del consumo totale sono esorbitanti nella regione. Euler Hermes stima che 80 milioni di persone (il 18 per cento della popolazione nelle sei maggiori economie dell’America Latina), rischino di scendere al di sotto della soglia di povertà. Le spese per alimenti e combustibili in percentuale del consumo totale vanno dal 32% in Messico al 53% in Argentina (negli USA si attesta al 12). Negli anni 2000, l’aumento dei prezzi delle materie prime ha contribuito a ridurre la disuguaglianza di reddito creando una maggiore domanda per agricoltura e lavoro minerario, a sua volta aumentando l’occupazione e i salari della forza lavoro poco qualificata. Tuttavia, la recente impennata dell’inflazione, arrivata dopo che livelli storici di liquidità sono stati iniettati nei mercati finanziari in risposta alla crisi, ha già costretto economie come Brasile e Messico a stringere i cordoni della borsa e ad aumentare i tassi di politica monetaria: ora si fermano al 4,25 per cento in entrambi i paesi. Sebbene gli shock che hanno scatenato l’aumento dell’inflazione siano temporanei, la diversità, l’entità e l’orizzonte esteso in cui hanno influito sul livello dei prezzi implicano un rischio per il reddito e il potere d’acquisto dei consumatori.

Dalla crisi finanziaria del 2008, le spese combinate energia e cibo sono aumentate costantemente. La pandemia a sua volta ha scatenato un’ulteriore impennata: in Argentina, i prezzi dei prodotti alimentari sono aumentati del 56% rispetto a marzo 2020; in Brasile, il cibo è più costoso del 17% rispetto all’inizio della pandemia; la Colombia ha registrato un aumento generalizzato del 12%, mentre il Messico ha affrontato un +7% e il Perù +5,5%. Solo il Cile ha tenuto a bada l’aumento dei prezzi (+5,8%). Gli analisti si aspettano che i prezzi delle materie prime consolidarsi in futuro, grazie all’aumento dell’offerta (da USA e OPEC+).

Allo stesso tempo, il reddito disponibile ha registrato un calo generalizzato. Questo divario tra l’aumento dell’inflazione e la crescita del reddito disponibile crea una pressione sul costo della vita. In Argentina, mentre il reddito disponibile è diminuito del 13,1%, l’inflazione è stata del 42%. Sebbene l’Argentina sia un caso particolare, in Brasile il reddito disponibile è diminuito del 5% mentre i prezzi sono aumentati del 3,2%. In Cile, l’inflazione è stata del 3,0%, mentre il reddito è diminuito del 7,7%. La Colombia si trova in una situazione simile con un tasso di inflazione del 3,5%, mentre il reddito disponibile è diminuito del 5,8%. Il reddito disponibile è diminuito in Messico del 10,4% e l’inflazione è stimata al 3,4%. In Perù, il reddito disponibile è diminuito dell’8,7% e l’inflazione è stata tenuta a bada sull’1,8%.

Nel campione Euler Hermes, la linea di povertà mobile, a causa delle variazioni nell’accessibilità economica del paniere dei beni di base, mette a rischio la posizione socioeconomica di 80 milioni di persone (il 18% della popolazione che guadagna tra i 2 e i 5,5 dollari al giorno). Per riferimento, la quota di questa popolazione vulnerabile nella popolazione totale varia dall’8,4% in Argentina e dal 13,4% in Cile fino al 21,1% in Messico e al 23,3% in Colombia. In questo contesto, la FAO stima che oltre 42,5 milioni di persone potrebbero essere ridotte alla fame, equivalente all’intera popolazione argentina, o il doppio di quella del Cile: non sorprende che vi sia un aumento dei governi orientati alla promessa di salvare le popolazioni dalla “trappola neoliberale della povertà“, ma facendo ben poco per attuare un percorso credibile che mantenga queste promesse, interessati più al potere.

Le condizioni necessarie affinché gli investimenti privati gravitino verso l’America Latina sono un contesto imprenditoriale credibile e la stabilità politica: il populismo e le narrazioni divisive non aiutano la causa di colmare il divario economico, semmai a peggiorarlo. Ecco allora che diventa essenziale un’attenzione particolare alle riforme dell’istruzione e della produttività. Gli investimenti nel settore dell’istruzione dovrebbero essere al centro della ripresa post-pandemia: con la diminuzione del reddito, le famiglie potrebbero sentirsi incoraggiate ad inserire troppo presto i giovani nella forza lavoro, abbassandone così i salari con ostacoli alla mobilità sociale. Un migliore accesso all’istruzione contribuirebbe a colmare il divario di competenze, stimolare l’innovazione e creare la crescita più inclusiva di cui l’America Latina ha bisogno.

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