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La Bioeconomia vale 317 miliardi e dribbla il Covid

Le aziende che utilizzano risorse biologiche per produrre beni e energia hanno generato un valore della produzione di 317 miliardi, con un peso del 10,2%. Italia ben posizionata. Ecco il risultato dell’ultimo Rapporto presentato da Intesa Sanpaolo con Assobiotec-Federchimica

La Bioeconomia vale 317 miliardi e dribbla il Covid

l bilancio è positivo: la Bioeconomica , ovvero l’insieme di aziende che utilizzano risorse biologiche per produrre beni e servizi, hanno resistito allo tsunami del Covid meglio dell’economia nel suo complesso. Non solo ha tenuto, ma si è rivelata più resiliente rispetto all’economia tradizionale. Una regola quest’ultima che vale per l’Italia, ben posizionata nel contesto internazionale, ma anche più in generale per le altre Bioeconomie dei Paesi nostri vicini.

E’ quanto emerge nel 7° Rapporto di Intesa Sanpaolo sulla Bioeconomia nel 2020, presentato da Intesa Sanpaolo con Assobiotec-Federchimica.

Lo scorso anno, dunque, la Bioeconomia in Italia, “ha generato un output pari a 317 miliardi di euro, occupando poco meno di due milioni di persone”.

Il bilancio è positivo guardando all’andamento del settore prima e nel corso della pandemia. Nel 2019 il settore ha infatti chiuso l’anno con un incremento dell’1,4%. Nel 2020 ha perso nel complesso il 6,5% del valore della produzione e tuttavia si tratta di “un calo inferiore rispetto a quanto segnato dall’intera economia (-8,8%): il peso della Bioeconomia in termini di produzione è pertanto salito al 10,2% rispetto al 10% del 2019 e al 9,9% del 2018”, mette i evidenza l’indagine curata dal Centro Studi di Intesa.

Il fenomeno si ripropone in tutti i Paesi europei: “Il valore della Bioeconomia, che comprende molte attività essenziali, ha registrato un calo meno rilevante rispetto al totale dell’economia, evidenziando una maggiore resilienza allo shock pandemico”, rileva il Rapporto.

Scendendo più nei dettagli e quindi ad un esame sull’intero territorio nazionale, regione per regione, il Rapporto mostra dati molto confortanti. “Le stime originali del valore aggiunto della Bioeconomia nelle regioni italiane, realizzate in collaborazione con SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno – si legge infatti – evidenziano un ruolo particolare della Bioeconomia nelle regioni del Nord-Est e del Mezzogiorno (rispettivamente dell8,2% e del 6,7% sul valore aggiunto regionale del 2028). Sotto la media italiana (6,4%) invece il peso della Bioeconomia nel Nord-Ovest (5,3%) e nel Centro (5,7%)”.

Del tutto a  sorpresa la Basilicata e il Trentino-Alto Adige vantano la presenza più incisiva in Italia:  con un’incidenza del 9,3% si posizionano ai primi posti per valore aggiunto della Bioeconomia sul totale. Seguono Toscana, Veneto ed Emilia-Romagna, con un peso compreso tra l’8% e l’8,7%. 

 Un discorso a parte merita l’attività della chimica bio-based, attività che – mette in evidenza lo studio –  “fatica ad essere colta attraverso le sole statistiche ufficiali vista la sua trasversalità e innovatività”. Il sistema, oggetto di una mappatura realizzata con il supporto del Cluster Spring, risulta popolato da oltre 830 soggetti. In questa galassia sia annoverano sia le 84 Università e centri di Ricerca (pubblici e privati) che le circa 730 imprese (con più di 500 start-up), a cui si affiancano altre istituzioni ed associazioni con ruolo di supporto e promozione.

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