Nella cultura popolare della Liguria di Levante è noto come la “moneta nel piatto”, un tipo di pasta fresca dalla ricetta molto semplice: farina 0, uova, acqua e un pizzico di sale. La particolarità sta nella forma e nel modo in cui la si ottiene: la pasta viene stesa e ritagliata con appositi stampi cilindrici in costruiti a mano dagli artigiani locali grazie ai quali si ottengono dei “dischetti” che portano impresso il disegno inciso sul legno stesso. Un procedimento che ricorda quello con cui si coniano le monete.
Ma il Croxetto è molto di più di una pasta sia pure del tutto particolare per la sua forma, è l’identità di una cultura gastronomica strettamente limitata all’area di Varese Ligure, in provincia di La Spezia che si tramanda da secoli.
In giro per la Liguria – e anche nella regione francese della Provenza si trovano diversi tipi di pasta chiamati crosetti, curzetti o cruxetti. Ma è solo nell’estremo Levante ligure, tra Chiavari, Lavagna, Sestri Levante e Varese Ligure, che i croxetti si legano saldamente alla storia e alla cultura gastronomica identitaria di un territorio. Una cultura che proprio in quanto strettamente legata all’artigianalità degli incisori locali che si sono tramandati, di padre in figlio questa particolare tecnica, e per gli accadimenti della vita e delle diverse formazioni generazionali, rischiava di estinguersi. Pericolo scampato fortunatamente con l’entrata in scena di Slow Food che ha inserito i Croxetti fra i presidi da tutelare e promuovere.
Anche se l’origine di questa pasta fresca non è facilmente databile, non ci sono dubbi sul fatto che le prime notizie vadano cercate diversi secoli fa, forse addirittura nel tardo medioevo.
«Il fatto stesso che il nome croxetto – afferma Edmondo Colliva, referente Slow Food del Presidio, appassionato e vivace cultore di tradizioni gastronomiche locali – mantenga la x è una prova di quanto antica sia la tradizione. Questa lettera dell’alfabeto, che nel dialetto ligure viene pronunciata come una g dolce, ai tempi della Serenissima di Genova era, infatti, molto diffusa. E il nome stesso, potrebbe derivare da crosetto, il termine con cui si indicavano le monete coniate ai tempi della Repubblica di Genova e sulle quali veniva spesso raffigurata una croce”.
Piatto simbolo delle grandi occasioni, come si è detto, il croxetto non rappresenta però soltanto una tradizione culinaria: in queste zone del Levante ligure, infatti, per secoli si è tramandata l’usanza che il padre dello sposo omaggiasse la futura nuora con un vassoio di croxetti corredati dal relativo stampo in legno. I disegni degli stampi erano forme semplici, geometriche, o tuttalpiù poteva trattarsi di un disegno richiesto dalla famiglia che ne commissionava la realizzazione.
«Ancora oggi, non c’è famiglia di Varese Ligure che non porti in tavola almeno una volta all’anno, per un’occasione importante, questa pasta» racconta Colliva. Eppure il rischio che questa tipicità venga perduta c’è: benché diffusa, l’abitudine a preparare i croxetti rimane, infatti, perlopiù «famigliare, privata»
Dunque una lunga storia che parte dal periodo storico occupato dalla Repubblica Marinara di Genova (1200-1815) periodo questo in cui la stessa oltre ad assolvere tutti i compiti e le questioni relative alla gestione dell’importante territorio – ricorda Colliva – faceva anche tutte quell’insieme di azioni pratiche che necessitano e competono ad uno stato vero e proprio quale era, uno di questi era quello di battere moneta.
Il fatto poi che quasi in tutte le monete fosse riportata la croce contribuì sicuramente alla denominazione della pasta fatta in casa di cui noi ora stiamo parlando. Perché però arrivare a coniare in casa con questa metodologia tipica delle Zecche, la cosa deriva dal fatto che, anche se erano sotto il dominio della Serenissima, le varie Podesterie, soprattutto quelle più isolate nell’interno, battevano anche proprie monete locali per cui sull’onda di questa pratica pensiamo si sia inserita questa per osmosi o meglio ancora “Frenesia da Conio”. Era la pasta delle grandi occasioni e delle feste.
Ma il Croxetto oltre alle tradizioni familiari ha avuto anche momenti di grande gloria aristocratica. Come avvenne quando Elisabetta Farnese principessa di Parma e Piacenza, passando da Varese Ligure nel suo viaggio di trasferimento verso la Spagna per andare in sposa al re Filippo V, soggiornò presso la famiglia nobile del luogo, i Cesena, la quale cucinò in suo onore, il piatto riservato ai giorni importanti o di festa, i Croxetti.
Si possono trovare con dimensioni (65/55 mm) e disegni diversi, semplici o elaborati come stemmi nobiliari di famiglia, a seconda di chi aveva commissionato il “conio” ma tutti volti a lasciare un fugace segno sulla pasta che si vanificava col suo consumo, per riapparire come di incanto la festa successiva. Più che legato ad uno specifico luogo, durante lo studio di ricerca sulla storia della particolare pasta fresca – racconta Colliva, che è una miniera di informazioni – abbiamo rilevato che la presenza e la tradizione dei Croxetti riguarda , si tutto il levante, ma si è conservata intatta nel nome e nella formula degli ingredienti solo e particolarmente nell’entroterra meno soggetto a contatti e contaminazioni dovute alla presenza di genti diverse, è il caso della Val di Vara e nello specifico di Varese Ligure. Relativamente alla manifattura del conio in legno esistono due tipologie di diametro e di fattura diversa, sulla zona del Tigullio più piccolo 55 mm. e meno curato come cesello,mentre nella zona di Varese Ligure di diametro Maggiore 65 mm. con intaglio a cesello più curato e soprattutto funzionale allo scopo nel suo utilizzo, facendo sì di poter lavorare meglio la sfoglia o quantomeno di staccarla con facilità dallo stampo inferiore e superiore, grazie ad una lavorazione circolare a diamante vicino all’estremità del bordo del cerchio.
LA RICETTA
La ricetta per preparare i croxetti alla ligure per 4 persone
Ingredienti per la pasta:
6 etti di farina, 2 uova, una noce di burro, una manciata di parmigiano, un bicchiere d’acqua, sale.
Ingredienti per la salsa ai pinoli:
150 g di pinoli, mezzo spicchio d’aglio, un po’ di maggiorana, olio quanto basta, un po’ di latte (per ammorbidire) e una noce di burro.
Preparazione:
In una spianatoia fate una montagnola con la farina, aggiungete tutti gli ingredienti, impastate fino a ottenere una pasta omogenea, stendetela, schiacciatela bene con il croxetto per tagliare il medaglione e contemporaneamente incidere bene il disegno. Lasciate riposare. Per preparare la salsa, tritate i pinoli con mezzo spicchio d’aglio e un pugnetto di maggiorana. Unite l’olio, un po’ di latte e il burro. Fate bollire la pasta per 5 minuti circa, colate e condite con battuto di pinoli.
I CONDIMENTI
All’inizio i condimenti erano molto semplici quasi basici, mutuati dalle dominazioni medievali della Serenissima in Oriente per cui troviamo praticamente l’utilizzo dell’aglio abbinato ad altri ingredienti come semi oleosi, noci e pinoli oltre alle scontate erbe aromatiche o aromi come in primis la maggiorana e comunque sempre In abbinamento all’olio di oliva ed al formaggio, che nel periodo della Repubblica di Genova consisteva quasi esclusivamente del pecorino sardo e corso, solo alla fine del settecento e primi dell’ottocento tra gli ingredienti compare l’utilizzo del Parmigiano Reggiano, del burro (per mantecare) e del basilico. Con l’aumento degli allevamenti di bestiame, soprattutto nell’entroterra, abbiamo un passaggio all’utilizzo della carne nei sughi primo e più conosciuto tra questi è quello di vitella o manzo nella coscia o nella culatta chiamato “Tuccu”, anche se non mancavano altre variabili con animali a carne bianca da cortile.