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G7: la sindrome cinese, il No agli autocrati e la web tax

Nel G7 in Cornovaglia, oltre a delineare una via democratica alternativa alla Cina, i Grandi firmano un accordo sulla Web Tax – Draghi rincara la dose contro “tutte le autocrazie”

G7: la sindrome cinese, il No agli autocrati e la web tax

Una foto a chiusura del G7 in Cornovaglia che dice tutto: al centro la Regina d’Inghilterra, alla sua destra l’asse francotedesco e alla sua sinistra la “fratellanza” tra Regno Unito, il figliol prodigo, e gli Stati Uniti. Così un G7 ben orchestrato dal neosposo premier inglese Boris Johnson, sul copione scritto da Biden anzitempo, si chiude con un accordo sulla Web Tax e voci che si rincorrono su una revisione del Memorandum of Understanding sulla Belt Road, la “Via della Seta” cinese.

WEB TAX: ACCORDO STORICO DIFFUSO A PROVA DI G20

Questo G7 ci regala una decisione storica che è stata condivisa come mai in passato dall’Unione Europea e dai Paesi del G20, con la presenza al tavolo anche del Fondo Monetario Internazionale. Toccherà al G20 di Venezia, a presidenza italiana, chiudere la partita definitivamente con il pieno consenso internazionale.

L’accordo riguarda una tassazione per le multinazionali che si basa su due pilastri:

  1. nei Paesi in cui operano, i gruppi pagheranno tasse pari al 20% dell’extra profitto, su ciò che supera il margine del 10% sui profitti stessi;
  2. è prevista inoltre una tassazione globale minima del 15%.

Al di là della soddisfazione di Facebook e Google e delle Big Tech, che dopo quattro anni di dibattiti hanno visto accantonata l’ipotesi peggiore di una tassa minima al 21%, agli analisti restano parecchi dubbi. È ovvio che gli Usa abbiano ricondotto il dibattito a più miti consigli per difendere le aziende globali americane dalle velleità dei Paesi europei, che si stavano già muovendo, pur con un certo disordine, a causa dei ritardi della Commissione europea, verso una digital tax. La versione italiana come imposta sui servizi digitali ha preso il via quest’anno e consta di un’aliquota del 3% sui ricavi tassabili in corso d’anno.

Da qui al G20 è in gioco il perimetro con il quale si vogliono considerare le multinazionali che saranno soggette alle nuove tasse, nonché l’evidente scoglio sui differenti criteri bilancistici che dovrebbero convergere sui metodi di calcolo della base imponibile. Due sfide piuttosto ardue che non fanno i conti con la Cina. Il fatto che l’Inghilterra abbia esteso l’invito al G7 a Corea del Sud, India e Australia rientra nella strategia “finto-soft “ di Biden nei confronti del colosso cinese, ma rischia anche di creare imbarazzi proprio in sede G20, dove la Cina non sarà più un convitato di pietra ma un attore principale.

LA CINA PREPARA LE CONTROMOSSE

In conferenza stampa il premier Draghi non solo non fa un passo indietro da quanto aveva già detto dopo il Sofagate, ma anzi rincara la dose nei confronti “di tutte le autocrazie”: i riferimenti sono precisi e riguardano Paesi ben definiti, che non vengono mai nominati ma sono comunque facili da identificare (Bielorussia, Russia, Cina e Turchia) quando il Presidente del Consiglio parla di rispetto dei diritti umani. Parole che son ben diverse dai contenuti del dossier sui rapporti tra UE e Turchia presentato da Joseph Borrel solo la scorsa settimana.

Ma parole che chiariscono come soprattutto nei confronti della Cina il G7 non debba aver timori, ma debba anzi definire una volta per tutte la sua linea su tre temi fondamentali: clima, competizione e cooperazione. Un discorso forte, di leadership globale, nel quale Draghi traccia l’architettura di una Presidenza del G20 forte, determinata e basata su regole multilaterali e visione del mondo comune e condivisa. E il richiamo all’accordo su transizione ecologica, ambiente e clima preannuncia una Conferenza COP26 di Glasgow il prossimo novembre a conduzione italoinglese che non mancherà di sorprendere.

Ma resta sempre lo scoglio più grande che risiede nel peso specifico di una Cina in grande accelerazione (sia del Pil che nella diffusione globale dello yuan), protagonista della guerra dei microchip con influenza su Taiwan e fronte avanzato nell’accaparramento delle commodities, partendo dalle terre rare. E con una crescita del PIL 2021 che le permetterà di raggiungere una quota del 27% sul PIL globale.

CONCLUSIONE

Con questo auspicio piuttosto complicato, Biden inizia il suo tour europeo condividendo con l’UE il rilancio del multilateralismo per mettere un freno a Russia e Cina. Il 14 giugno ci sarà il summit della NATO e poi il numero uno della Casa Bianca incontrerà prima il Presidente turco Erdogan e quindi il 16 giugno quello russo, e già si sa che non ci sarà una conferenza stampa con Putin dopo la riunione di Ginevra.

A onor del vero, gli europei si aspettavano qualche gesto concreto dagli Usa, che non ha ancora offerto alcuna apertura, ad esempio, per i turisti europei; anzi, son state irrigidite le restrizioni anche su visti e lavoratori. E ancora non son stati nominati gli ambasciatori Usa presso l’Ue e presso la Nato.

Il legame con la Russia per gli approvvigionamenti energetici e gli accordi sulla Belt Road con la Cina vedono i Paesi europei ben posizionati. La Germania è in prima fila sia sul progetto del gasdotto Nord Stream II sia sul fronte delle esportazioni verso la Cina.

Questa settimana sarà decisiva perché la partnership Ue-Usa riparta e se la chiave di volta deve essere un comune impegno sui valori della democrazia nel rispetto di regole condivise, forse il Consiglio europeo dovrebbe fare tesoro di questa esperienza che ha rinverdito il ruolo del G7 e decidere su una linea di non ritorno ad ambiguità e titubanze che sono già costate troppo in passato e che nell’era post Covid l’Unione Europea non potrà permettersi.

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