La Pinacoteca Züst organizza con continuità più mostre all’anno accanto alla collezione permanente, che è sempre esposta a rotazione. Uno dei filoni oggetto di approfondimento conduce alla scoperta di raccolte private presenti sul territorio, che hanno talvolta per oggetto temi curiosi e ancora poco conosciuti. Questa rassegna presenta piccoli capolavori, che fondono estrema perizia e narrazione artistica grazie a tecniche raffinate e inconsuete.
Si tratta di manufatti affascinanti risalenti al XVIII-XIX secolo che conducono il visitatore sulle tracce del Grand Tour, il celebre viaggio di formazione intrapreso attraverso l’Europa da nobili, intellettuali e giovani aristocratici. La meta era l’Italia e le tappe imprescindibili Venezia, Firenze, Roma e Napoli. Sovente i viaggiatori effettuavano con grande interesse una deviazione per visitare Ginevra, la città di J. J. Rousseau.
La prima collezione è dedicata a un’espressione artistica mista, che fonde sapientemente pittura perlopiù all’acquarello e ricamo su un supporto di solito in seta: i tableau brodé, realizzati in epoca neoclassica da donne di origine ugonotta, il cui nome è quasi sempre sconosciuto. In mostra vengono presentati una cinquantina di pezzi rappresentativi dei vari temi: da quelli ispirati a opere di Rousseau, in questa sala, ai soggetti riferiti al mondo classico, esposti nella balconata. Al piano superiore si trova anche la seconda raccolta, che riunisce una serie di gioielli in micromosaico realizzati con minuscole tessere in pasta vitrea, diventati di gran moda tra Sette e Ottocento. Tali gioielli riscontrarono un enorme successo grazie all’interesse di viaggiatori colti e facoltosi che, giunti in Italia, li acquistavano come preziosi souvenir.
In questa occasione vengono presentate anche due sale della Pinacoteca riallestite con opere della collezione permanente. Nella prima viene ospitato il progetto didattico “Destinazione museo” con opere di Valeria Pasta Morelli (1858-1909), realizzato dalla scuola elementare di Riva San Vitale (v. allegato). Nella seconda si trovano invece le nuove acquisizioni della Pinacoteca: opere di Ernesto Fontana – il Ritratto di Annamaria Agustoni, a cui è dedicato l’asilo di Caneggio, costruito con le elargizioni del padre Giuseppe Agustoni –, Alessandro Ruga, Fausto Agnelli, Ettore Burzi ed Emilio Oreste Brunati giunte a Rancate grazie a donazioni e acquisti.
I TEMI DELLA MOSTRA
1. I dipinti-ricamo
L’uomo che ha più vissuto non è quello che ha potuto contare un più gran numero d’anni, ma colui che ha sentito di più la vita. Jean-Jacques Rousseau
I dipinti-ricamo erano realizzati da donne ugonotte colte e di classe sociale agiata, che spesso possedevano un notevole grado di istruzione generale. Nella zona lemanica e di Neuchâtel, a differenza che in altri paesi, dove ci si limitava a copiare dipinti celebri o scene religiose, sono anche la vita e le opere di Rousseau ad influenzare profondamente parecchie appassionate artiste. Queste tradussero in pittura e ricamo i brani che più le avevano toccate: dalle Confessions e le Rêveries d’un promeneur solitaire, a passaggi della Nouvelle Héloïse, a immagini sull’educazione dei ragazzini nell’Emile. Il comune denominatore è regolarmente un paesaggio allo stato naturale dove la vegetazione lussureggiante prende il sopravvento e dialoga quasi con i protagonisti dell’opera.
Spesso, nella progettazione di tali lavori, diventati di gran moda, la conoscenza e l’osservazione di incisioni e dipinti di paesaggi svizzeri, diffusissimi e ambiti dai gran turisti, hanno portato le artiste, appartenenti alla buona società, a riprenderne accuratamente alcuni dettagli, tanto che l’ambientazione en plein air è quasi sempre riconoscibile.
In mostra sono esposti anche due dipinti-ricamo di particolare interesse. Uno è stato eseguito dalla madre del generale G. Henri Dufour, Pernette, che per mantenere il figlio agli studi impartiva lezioni private di disegno e ricamo per realizzare tableau brodé. L’altro è stato dipinto e ricamato dalla graziosa e colta moglie del generale, Suzanne nata Bonneton.
2. Jean-Jacques Rousseau: appunti biografici
La semplicità della vita campestre mi arricchì di un bene inestimabile, aprendo il mio cuore all’amicizia.
Jean-Jacques Rousseau nacque a Ginevra il 28 giugno del 1712. La madre morì nel darlo alla luce e questo diede inizio ad un’infanzia priva di punti di riferimento.
Dall’età di sedici anni iniziò una vita errabonda in Savoia, praticando anche umili mestieri, finché andò a vivere ad Annecy con Madame de Warens, una giovane vedova svizzera convertitasi al cattolicesimo che lo convinse ad abbracciare la sua fede. I due si trasferirono vicino a Chambéry, dove il filosofo trascorse un periodo felice, immerso negli studi e a contatto con la natura, anche se qui iniziarono a farsi sentire i problemi di salute che lo avrebbero afflitto per il resto della vita.
In seguito Rousseau, allontanatosi dalla de Warens, si trasferì a Lione e poi a Parigi, dove conobbe Denis Diderot, che divenne un suo grande amico. Trascorse un periodo a Venezia, come segretario dell’ambasciata francese; qui entrò in contatto diretto con la musica italiana. Rientrato a Parigi, coltivò interessi operistici e collaborò all’Encyclopédie.
Nel 1745 Rousseau iniziò a frequentare Thérèse Le Vasseur, una giovane stiratrice quasi analfabeta che gli sarà accanto per tutta la vita: il filosofo la sposò solo molti anni dopo e diede all’ospizio dei trovatelli tutti i cinque figli avuti da lei. Nel 1754 tornò a Ginevra, dove si riconvertì al calvinismo; in seguito fu invitato con Thérèse presso i duchi di Montmorency. Ruppe con gli “enciclopedisti” e si dedicò alla stesura del suo romanzo preromantico epistolare La nouvelle Héloïse. La tranquillità del luogo gli permise di scrivere anche altri due capolavori, Le contrat social e l’Emile. Questi testi furono osteggiati e bruciati sulle pubbliche piazze e Rousseau condannato dai tribunali di Parigi e Ginevra. Costretto alla fuga, nel 1762 si trasferì a Môtiers, dove trovò l’ostilità dell’ambiente calvinista, fomentata da un libello anonimo scritto dal suo grande antagonista Voltaire. Dovette scappare di nuovo e si riparò sull’isola di Saint-Pierre, sul lago di Bienne, dove però lo raggiunse un altro decreto di espulsione da parte di Berna. Nuove peregrinazioni lo portarono in Inghilterra, invitato dal filosofo David Hume. Presto però le manie di persecuzione di Rousseau lo costrinsero a ripartire. In Francia terminò, insieme ad altri scritti, le Confessions. Psicologicamente instabile e malato, si spense il 2 luglio 1778 a Ermenonville, nella proprietà del marchese de Girardin. Le sue spoglie riposano nel Panthéon di Parigi.
3. Gioielli in micromosaico
Non sono per natura portato all’entusiasmo… ma a distanza di venticinque anni non posso dimenticare né esprimere come vorrei la profonda commozione che agitò il mio animo la prima volta che entrai nella “Città eterna”. Dopo una lunga notte insonne calcai con passo leggero le rovine del Foro… Edward Gibbon
In questa sala viene presentata una collezione privata svizzera di raffinati gioielli in micromosaico, molto in auge tra Sette e Ottocento, realizzati con tessere minuscole in pasta vitrea. Secondo la tradizione fu Giacomo Raffaelli, nel 1775, il primo ad esporre nel suo laboratorio a Roma i mosaici finemente lavorati; alcuni splendidi pezzi presentati in mostra escono dal suo atelier. I gioielli così realizzati riscontrarono un enorme successo grazie all’interesse dei viaggiatori colti e facoltosi che compivano il Grand Tour e che amavano portare questi preziosi in patria quale ricordo dell’esperienza vissuta. Non a caso, parecchi artisti del Vaticano aprirono i loro negozi – con atelier nel retrobottega – prediligendo il quartiere frequentato dai gran turisti, ovvero i dintorni di Piazza di Spagna. Lo stesso Napoleone, grande estimatore di questi oggetti affascinanti, fece istallare a Parigi una manifattura per produrli. I soggetti rappresentati sui gioielli della collezione coprono tutto il repertorio utilizzato per queste creazioni e spaziano dalle vedute della Roma classica a Piazza San Pietro, ai motivi decorativi scoperti nelle ville pompeiane, alle raffigurazioni alludenti all’epoca paleocristiana, greca e romana. Non mancano anche esempi di sentimental jewel: farfalle, cani, colombe e rose che simboleggiano l’anima, la fedeltà, la purezza e l’amore.
La qualità di questa forma artistica andò calando verso la metà del XIX secolo. Un’eccezione è costituita dalla famiglia Castellani, celebri gioiellieri romani, antiquari e collezionisti di scavi, che rivoluzionarono l’arte del micromosaico raggiungendo di nuovo livelli di grande raffinatezza. Alcuni pezzi da essi eseguiti sono esposti in mostra. Nel 1870, nella sola Roma, erano state censite centotrenta botteghe che operavano nel settore e a queste vanno aggiunti gli artigiani dipendenti dallo Studio del mosaico vaticano. Una folla di artisti anonimi che ci ha lasciato tanti piccoli, preziosi capolavori.
In questa sala sono inoltre presentate incisioni di Giovanni Battista Piranesi (1720-1778), del figlio Francesco (1758-1810) e di Luigi Rossini (1790-1857), cugino del celebre compositore Gioachino, raffiguranti monumenti della Città Eterna, e alcuni libri che danno testimonianza del clima culturale dell’epoca.