La demografia dell’Italia è caratterizzata da livelli “estremi, da record, eccezionali” per almeno sei ragioni: la struttura invecchiata per età, la bassa fecondità, la lunga transizione dei giovani allo stato adulto, i forti legami familiari, la lunga durata della vita, la veloce crescita della popolazione straniera. È quanto emerge da una recente analisi dell’Associazione Italiana per gli Studi sulla Popolazione presentata giovedì al Cnel.
In particolare, secondo l’analisi, l’eccezionalità della demografia italiana è legata soprattutto alle nascite. Il minimo storico raggiunto nel 2020 con 404mila nati è solo l’esito estremo (provocato dal Covid) di una tendenza in atto ormai da tempo. A livello globale, l’andamento delle nascite negli ultimi 26 anni si può dividere in due periodi, ciascuno dei quali vede l’Italia in posizione estrema:
- la prima fase è quella della ripresa, che, a partire dal minimo da record mondiale del 1995 (1,19 figli per donna), caratterizza l’Italia fino alla recessione del 2011-2012, con un picco di 1,46 figli per donna nel 2010;
- nel periodo successivo, che gli studiosi chiamano “tempo dell’incertezza”, si sperimenta invece un declino quasi speculare al recupero precedente, con un nuovo minimo nel 2019 (1,27 figli per donna nel mondo, 1,18 In Italia).
“Non è un caso che la dimensione della famiglia sia associata inequivocabilmente al rischio di povertà, in modo particolare nel nostro Paese – spiega Cecilia Tomassini, consigliera del Cnel e vicepresidente dell’Aisp – Cambiano i comportamenti familiari, ma il welfare italiano rimane eccezionale, in senso negativo, nell’incapacità di sostenere le famiglie numerose”.
Allo stesso tempo, l’Italia ha registrato un significativo aumento della speranza di vita alla nascita, che prima della pandemia aveva sfiorato il record mondiale, superando gli 83 anni nel 2018.
Tuttavia, negli ultimi anni, a sostenere il saldo demografico dell’Italia non è stata tanto la longevità dei suoi abitanti, quanto l’incremento dell’immigrazione. Lo studio rileva che il «saldo migratorio», cioè la differenza tra immigrati ed emigrati nel corso di un anno, è passato da negativo a positivo negli anni 90 del secolo scorso e da allora non ha più cambiato segno. Al contrario: durante l’ultimo ventennio la popolazione straniera residente nel nostro paese è aumentata di quattro volte, raggiungendo l’8,8% del totale al primo gennaio 2020.
Infine, il rapporto sottolinea che l’Italia si caratterizza anche per l’assenza di politiche rivolte alle nuove generazioni. “La debolezza del welfare verso i giovani italiani li ha resi, oltre che più vulnerabili, anche più scoraggiati rispetto ai loro coetanei europei nella ricerca di un lavoro nel proprio Paese”, si legge.
“Insieme al livello di istruzione, all’età e alla generazione di appartenenza, un altro fattore importante che genera diseguaglianze all’interno della popolazione italiana è il luogo dove si nasce e si cresce. Il territorio italiano è eccezionalmente eterogeneo: oltre allo storico divario Nord-Sud, da qualche decennio si fa riferimento anche al divario centro-periferie, con comuni che attraggono, comuni che rimangono stagnanti e comuni che perdono in termini demografici”.