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Sale l’inflazione? Prestiti più cari e risiko spingono le banche

Molti investitori e analisti sono convinti che inflazione, aumento dei tassi e Borsa in rialzo possa convivere. E le banche si preparano ad un anno di gloria dopo la dura crisi, spinte anche dalle aggregazioni. Ecco perché

Sale l’inflazione? Prestiti più cari e risiko spingono le banche

Ma l’inflazione è sempre un male? “Non sempre -risponde  Emmanuel Cau di Barclays – Almeno quando i risultati delle imprese sono solidi. In questo caso il timore per il rialzo dell’inflazione serve ad evitare una fiducia eccessiva. In questo senso credo che il rialzo dei prezzi in Borsa possa convivere con l’inflazione”. 

Quest’opinione trova conferma in un sondaggio condotto ad inizio settimana da Bank of America: il 69% degli operatori è convinto che nei prossimi dodici mesi l’inflazione sia destinata a salire obbligando la Fed ad anticipare il primo rialzo dei tassi; non più il 2023, come promesso, ma nell’autunno del 2022. Ma per il 78% degli intervistati la Borsa potrà continuare a salire. Magari cambiando cavalli: meno titoli di crescita, più attenzione alle banche che, ribaltando una tendenza negativa che dura in pratica dalla crisi del 2007/ 09, possono aspirare a rendimenti più elevati sui capitali che prestano.

L’andamento di Wall Street giustifica questa diagnosi: l’indice KBW guadagna da inizio anno il 37%, tre volte tanto l’S&P 500 (+11%). Un rialzo che accomuna il listino dei colossi, caratterizzato tra l’altro dall’ottima risposta del mercato alle grandi emissioni di bond di JP Morgan ed i Bank of America, e quello delle banche regionali, L’esatto opposto di quanto avvenne nel 2020, anno di tassi calanti, in cui il settore bancario ha accusato una perdita del 14% contro il 16% guadagnato dall’indice generale. E la tendenza, che ha favorito l’arrivo di 32 miliardi di dollari nel comparto sembra destinata a proseguire a mano a mano che si spegne l’appeal per i titoli tech, almeno quelli che non lasciano sperare in un dividendo in tempi ragionevoli.

Anche sulla nostra sponda dell’Atlantico il settore bancario sembra destinato a vivere il suo anno migliore dopo non pochi anni magri. L’indice delle banche italiane si è spinto su del 26,5% da inizio anno, su nuovi massimi dal febbraio 2020 ben sopra l’incremento del Ftse Mib (meno dell’11%). A favore del settore, poi, giocano le indicazioni in arrivo dall’Unione Europea, sia la prossima fine del divieto a distribuire dividendi che  il via libera al Tesoro italiano perché rinnovi  per un anno la garanzia sulle cartolarizzazioni di sofferenze (Meccanismo GACS), un provvedimento utile per continuare il processo di de-risking del sistema. Secondo i dati raccolti da Banca Ifis, nel 2020, su 38 miliardi di euro di transazioni, il 37% è stato effettuato utilizzando il meccanismo GACS. Infine, la prospettiva di crescita del Pil (+4,2% nell’anno) è senz’altro un toccasana per il sistema, dopo anni di credito diaponibil con il contagocce.

E’ in questa cornice che il mercato si accinge a partecipare a quella che si annuncia una stagione calda di scelte per il consolidamento del sistema. Oltre all’incrocio Generali/Mediobanca, sotto la pressione di Leonardo Del Vecchio, si fa rovente la partita attorno a Banco Bpm. L’ad Giuseppe Castagna avrebbe spiegato nell’ultimo Cda come un’operazione con BPER sia l’obiettivo principale e alla portata dell’istituto. Ma, secondo la Repubblica, da due mesi Carlo Cimbri, CEO di Unipol (primo azionista di BPER), avrebbe interrotto i colloqui per una possibile operazione in tal senso. E il presidente di Bpm, Massimo Tononi, assieme ad alcuni azionisti di peso della banca siano favorevoli ad un’operazione di integrazione con Unicredit, già allettata dal Tesoro con il rinnovo dei benefici fiscali legati all’acquisizione di Mps per cui, peraltro, si profila un possibile spezzatino delle filiali.  

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