La sostenibilità è una scelta di business e una filosofia che ridisegnerà il volto del capitalismo. Detto in altre parole, il nuovo capitalismo non può che essere sostenibile se vuole restare profittevole. E nel mondo dell’energia, sostenibilità vuol dire transizione energetica: reti digitali, fonti rinnovabili, mobilità elettrica, idrogeno verde. Su questi pilastri Enel sta conquistando un ruolo di leadership e affermando un modello di impresa che coinvolge direttamente la finanza con strumenti innovativi. Alberto De Paoli, CFO di Enel, sostiene il concetto di stakeholder capitalism e spiega l’importanza di questa svolta in questa intervista a FIRSTonline in cui discute anche di ripresa, Recovery plan e cessione di Open Fiber.
Partiamo dalla trimestrale dell’Enel appena pubblicata e che ha confermato i target per il 2021: se la sente di dire che il peggio è passato? O l’effetto della pandemia peserà ancora sulle vostre attività in America latina?
“Direi di sì, il peggio è passato. Tutti gli indicatori mostrano un certo grado di ripresa dell’attività economica che si riscontra sulla domanda elettrica. I prezzi delle commodity sono tornati ai livelli pre-crisi. I diritti sulla CO2 sono molto alti favorendo la sostituzione di impianti termo con quelli rinnovabili. Ci aspettiamo di recuperare i livelli pre-Covid già quest’anno e di recuperare tassi normali di crescita già dall’anno prossimo. Come dicevo, il nostro business sta migliorando e gli effetti li vedremo già nel 2021 ma l’evidenza piena della ripresa si vedrà nel 2022: bisogna considerare che l’energia si vende un anno in anticipo, il 2021 sconta i prezzi 2020 e non beneficia ancora del recupero in corso. L’unico effetto negativo che potrebbe persistere ancora un po’ è quello sui cambi in America Latina, legati al Covid e all’uscita della pandemia.
Si è parlato di un impatto di circa 1 miliardo sui conti di quest’anno.
“L’impatto è esclusivamente legato all’impatto cambio ed è valutato tra 800 milioni e un miliardo di euro ma si tratta di cifre mark to market, quindi ai cambi in vigore oggi. Il conto preciso si potrà fare solo a fine anno”.
La cessione di Open Fiber porterà un incasso di 2,65 miliardi all’Enel e una plusvalenza di 1,7 miliardi. Il closing è previsto a novembre. Come contribuirà ai target di quest’anno, porterà un aumento degli investimenti?
“Quest’anno la cessione di Open Fiber contribuirà al raggiungimento dei target già annunciati nelle comunicazioni al mercato, consentendo contestualmente di finanziare uno sviluppo organico incrementale della società che contribuirà positivamente al profilo di crescita negli anni futuri”.
Data l’importanza della cessione, non prevedete la distribuzione di un extradividendo per gli azionisti?
“Da quest’ultimo piano strategico 2021-23 abbiamo adottato una politica di distribuzione dei dividendi diversa, orientata sul nuovo concetto di stakeholder capitalism. Cerchiamo infatti di offrire ai nostri azionisti un concetto di total return di medio lungo periodo per l’azionista. Da un lato abbiamo una componente di dividendi garantiti e fissati con un andamento crescente per i prossimi anni non più legati alla variabilità dei risultati; dall’altro abbiamo la crescita del valore della società trainato dalla sua crescita sostenibile. La combinazione di questi due fattori può offrire ai nostri azionisti una prospettiva di rendimento del 12-13% nell’orizzonte dei prossimi 10 anni. In questa logica, il concetto di extradividendo perde significato, l’importante è un total return che abbia al centro lo sviluppo sostenibile e i giusti pesi al suo interno”.
Sostenibilità e transizione energetica camminano insieme. Proprio nei giorni scorsi Enel ha rinnovato il programma di emissione di commercial paper in dollari Usa portandolo da 3 a 5 miliardi e collegandolo all’obiettivo di sviluppo sostenibile SDG 13 dell’Onu. Come procede il vostro programma di finanza sostenibile? E quali risultati sta dando?
“Su questo punto credo sia necessario mettere a fuoco alcuni aspetti. Vorrei ricordare che siamo partiti tra i primi, alcuni anni fa, con l’emissione di green bond. Tra il 2017 e il 2019 ne abbiamo emessi per 3,5 miliardi, erano gli unici strumenti allora disponibili legati alla sostenibilità. Sono strumenti fatti per finanziare progetti specifici ma che presentano diverse criticità tra cui il fatto che non finanziando il core business di una società ma specifici progetti sostenibili non possono essere collegati ad una strategia distintiva della società emittente e per questa specifica natura non possono dare un vantaggio di costo all’emittente. Invece un’azienda che si presenta con una proposta di business sostenibile non è definibile in una somma di progetti ma in una logica che muovendo da una rivisitazione in chiave di sostenibilità della sua business proposition tende ad una maggiore profittabilità e minore rischiosità e quindi ad una maggiore creazione di valore. In questo caso un finanziamento legato a questi presupposti deve costare meno. Quando abbiamo messo a fuoco questi concetti, abbiamo cercato sul mercato uno strumento che li potesse sintetizzare ma non lo abbiamo trovato”.
Quindi?
“Quindi, abbiamo creato il prodotto finanziario più adatto a rappresentare la scelta di un business concept imperniato sulla sostenibilità. È così che è nato il primo SDG-linked bond legato agli obiettivi di sostenibilità (Sustainable Development Goals) individuati dall’ONU. Si trattava di emettere obbligazioni non vincolate ad alcun progetto ma al concetto di sostenibilità e creazione di valore intrinseco nella nostra business proposition: lo strumento è emesso a sconto perché la prospettiva indotta dal nostro sviluppo sostenibile tende a garantire tassi maggiori di profittabilità e di minor rischio ma se l’obiettivo che dichiari di voler centrare non viene raggiunto paghi una penalizzazione che restituisce di fatto lo sconto al mercato. Serve una profonda trasformazione del business model dell’azienda per potere accedere a questo genere di prodotti finanziari. Nel 2019 abbiamo emesso quasi 4 miliardi di questi nuovi bond. Durante il primo anno dell’emissione abbiamo ricevuto grossi apprezzamenti e anche delle critiche. Anche perché il prodotto era molto innovativo e quindi richiedeva un periodo abbastanza lungo di discussione. Durante questo periodo lo strumento mancava di una standardizzazione internazionale e la BCE, per motivi tecnici non era ancora pronta a acquistarlo nell’ambito dei sui programmi di acquisto di bond. Nel giro di poco tempo è cambiato tutto. L’ICMA (International Capital Market Association) ha provveduto a standardizzare lo strumento e la BCE ha cambiato parere sugli acquisti e i nuovi bond che ora, diventati mainstream, stanno diventando sempre più centrali nel finanziamento della transizione energetica”.
Insomma, un successo.
“Assolutamente. Tutta la nostra finanza sarà gradualmente tramutata in finanza sostenibile con strumenti SDG-linked. Quest’anno abbiamo inoltre deciso di estendere il modello a tutti gli strumenti che adottiamo: obbligazioni, commercial paper, loans, assicurazioni. Ci siamo dati l’obiettivo di raggiungere nel 2023 un primo traguardo del 48% di finanza sostenibile in rapporto al debito lordo ma penso che anticiperemo questo target. Come detto, si tratta di prodotti che abbiamo emesso a sconto, parliamo di 20 punti base in meno rispetto agli strumenti normali. Ed è giusto così: stiamo dimostrando che la scelta della sostenibilità crea valore e migliora la curva di rischio/rendimento”.
Si tratta di una massa di circa 25 miliardi in strumenti sostenibili su 50 di debito. Non pochi. Il messaggio è arrivato ai grandi Fondi. A giudicare almeno dalla presa di posizione di colossi come Blackrock.
“I fondi d’investimento hanno colto il messaggio e lo hanno recepito. Così pure i risparmiatori e gli altri stakeholder. All’appello mancano solo le agenzie di rating: continuano a dare giudizi in cui questa valutazione di merito del credito non è integrata ma stanno anche loro convergendo sui concetti che abbiamo discusso”.
La transizione energetica è uno dei temi forti del Piano di ripresa e resilienza, il PNRR. Il vostro piano strategico già indicava un’accelerazione degli investimenti su rinnovabili e reti: quali nuove opportunità si aprono ora grazie all’arrivo dei nuovi fondi europei?
“Enel in Europa opera principalmente in quattro Paesi: Italia, Spagna, Romania e Grecia che hanno tutti presentato i propri piani nell’ambito del Recovery Fund. I nostri programmi in questi Paesi sono omogenei e articolano la transizione energetica su reti, mobilità elettrica, rinnovabili, idrogeno. Complessivamente contiamo di investire nel triennio 24 miliardi anziché i 15 miliardi del precedente piano con una decisa riallocazione degli investimenti in Europa visti i fondi già disponibili nel bilancio europeo.
Arrivo al Next Generation EU, il cosiddetto Recovery Fund: abbiamo presentato progetti in questi stessi ambiti e pensiamo di poter incrementare del 10-15% gli investimenti in Europa rispetto a quanto avevamo definito. Tenendo ben presente che non ci può essere transizione energetica se non si parte dalle reti. È il primo punto da cui partire: non si può investire nella transizione senza che le infrastrutture siano coinvolte. Così come è impensabile di poter navigare a 10 Giga senza una rete in fibra ottica, altrettanto è impossibile pensare di triplicare i consumi elettrici, utilizzare solo fonti rinnovabili nelle generazioni o collegare da 5 a 10 milioni di veicoli elettrici nel 2026 con le reti attuali”.
Un’ultima annotazione in chiusura. Lei ha parlato di stakeholder capitalism: è una definizione nuova, ce la può spiegare?
“Non si tratta di un concetto nuovo, ma oggi sta tornando ad assumere grande rilevanza. Identifica un approccio rinnovato al capitalismo, secondo cui un’azienda opera in una logica di sostenibilità e con la finalità di creare valore condiviso per tutti i suoi stakeholder. Questo si declina in termini di trasparenza fiscale così come di governance, innovazione, attenzione alle comunità e all’ambiente. L’approccio è in piena sintonia con il nostro Purpose e per questo, come Enel, lo stiamo promuovendo a tutti i livelli con l’intenzione di far convergere su questa impostazione sempre più grandi gruppi industriali. Per chi opera nel nostro settore, questo concetto coincide con la transizione energetica”.
E’ molto interessante questa nuova visione del ruolo dell’impresa ma non crede che se guardiamo ai colossi tecnologici – i Big Data come Facebook, Google, Amazon e Apple – concetti come lo stakeholder capitalism siano ancora lontani anni luce?
“Quando abbiamo iniziato a parlare di sustainable value, due-tre anni fa, eravamo davvero pochi. Ora molte cose sono cambiate. In quanto Cfo dell’Enel sono vice presidente della task force del Global compact dell’Onu dove, con altri Cfo di grandi multinazionali, stiamo lavorando per una definizione comune di sostenibilità e sviluppo. E devo riconoscere che le aziende internazionali stanno evolvendo in questa direzione. Perciò sono abbastanza ottimista”.